scritto da Filippo Falvella - 26 Marzo 2025 17:02

L’egoismo del fanciullo: l’odio verso il non possedibile

Questo senso di disfatta che causa il disfare stesso rende l’invidia un senso di impotenza su un qualcosa verso la quale si riteneva di avere un potere, o addirittura una forma di controllo, il quale in una mente debole sfocia in odio e violenza

Per “egoismo del fanciullo” mi permetto di intendere quella attitudine, tipicamente puerile, che impronta i bambini a provare un’invidia, spesso ingiustificata, nei riguardi delle cose degli altri, nonostante essi siano in una situazione di possesso talvolta “razionalmente” maggiore. Questo avviene di consueto dopo un regalo d’un gioco che in un primo momento il pargolo sembrava non desiderare più, per poi rinnovarne l’interesse nel momento in cui egli nota la gioia che quell’oggetto, dapprima ritenuto noioso, porta all’altro bambino. A formare un uomo però non sono gli anni che scorrono, ma le esperienze avute in quegli anni, rendendo così la crescita una più matura gestioni degli impulsi, impulsi però che non perdiamo del tutto. L’egoismo del fanciullo trova dunque sfogo nel fenomeno di cui stiamo per trattare, quello dell’aggressione tramite acido nei riguardi di un proprio ex partner.

L’aggressione con acido

Il fenomeno dell’aggressione con acido, anche nota come “vitriolage”, attanaglia la nostra società ormai da qualche anno e si tratta una forma di violenza premeditata consistente nell’utilizzare una sostanza corrosiva su di una vittima al fine di sfigurarla. Qui torna il precedentemente citato egoismo del fanciullo, poiché a muovere una azione di così alta codardia altro non è che una forma d’invidia assolutamente puerile consistente nel brocardo infantile del “o con me o con nessuno”.

L’invidia

Erodoto estendeva il sentimento dell’invidia anche agli Dèi, raffigurandoli come entità gelose del loro potere, capaci di punire chiunque in qualche modo tentasse d’avvicinarsi, seppur meritatamente, a quella gloria che loro detenevano. Nella mitologia Greca tanti sono i racconti che trattano e demonizzano l’hýbris, ovvero quella colpevolezza di tracotanza che urta gli Olimpici nella loro grandezza, basti vedere gli esempi di Icaro o Bellarofonte. Ma poiché ormai da secoli la cima dell’Olimpo s’è scoperta vuota l’invidia rinuncia alla sua giustificazione divina, manifestandosi come limite umano del saper godere di se stesso. Søren Kierkegaard riscoprì nell’invidia una velata ammirazione nei riguardi d’un qualcuno, là dove incapaci a raggiungere da noi o partecipare di quel suo status scegliamo di diventare invidiosi di quella stessa cosa che prima ammiravamo, perdendo lentamente noi stessi. Neanche in filosofia l’invidia trova una sua legittimazione, seppur riconosciuta universalmente nel suo essere parte integrante del nostro Io. Siamo dunque portati, spesso nell’impotenza, a volere il male di chi prova il bene, poiché questo ci renderebbe meno “soli”. Ma tutto questo non è sufficiente a poter determinare un vero motivo o addirittura una soluzione a tale difficoltà.

L’educazione del fanciullo

I limiti della nostra possibilità d’apprendere sono ogni giorno ampliati da quelle risposte che tentiamo di dare agli stessi, ma in nessun modo questo frena l’uomo dalla sua naturale propensione a migliorarsi. Questo senso di disfatta che causa il disfare stesso rende l’invidia un senso di impotenza su un qualcosa verso la quale si riteneva di avere un potere, o addirittura una forma di controllo, il quale in una mente debole sfocia in odio e violenza. Nessuno può pretendere d’esser trattato per un qualcosa che non è, e chi di fatti chi agisce come un fanciullo richiede di conseguenza quella stessa istruzione di cui un bambino necessiterebbe. Siamo abituati sin dalla tenera età ad essere educati, orientati e proiettati verso il mondo di cui faremo attivamente parte, che sia la parte educativa istituzionale o parentale.

Ogni bambino ed ogni uomo è materia grezza, una x con infinito potenziale pronta a determinarsi verso un valore, ma ogni valore richiede per esser tale un altro numero alla quale essere confrontato, le altre persone. Siamo esseri sociali, viviamo insieme e godiamo della vita insieme, ed è proprio per questa nostra propensione che una istruzione a tale tipo di società diventa sempre più necessaria. Sin da piccoli dovremmo essere orientati verso il rispetto, verso quella capacità di poter partecipare dell’altrui bene anche se non facendone parte direttamente, di quel sapere lasciar andare un qualcosa che più non ci appartiene, se mai qualcosa ci apparterrà davvero.

L’invidia è un sentimento e i sentimenti non possono essere eliminati, perché parte integrante del nostro stesso essere, ma possono essere controllati, da distruttivi resi costruttivi e ovunque si presenti un tipo di mancanza di questo tipo è giusto che ci sia un intervento atto a far considerare la bellezza della condivisione e della giusta rinunzia. Che sui banchi non ci si limiti ad insegnare la vita, ma che si tenti d’insegnare a viverla, poiché mai sarà possibile in una società dove la giustizia non è conosciuta attuarla nella forma che merita.

Ho 24 anni e studio filosofia all'Università degli studi di Salerno. Cerco, nello scrivere, di trasmettere quella passione per la filosofia ed il ragionamento, offrendo quand'è possibile, e nel limite dei miei mezzi, un punto di vista che vada oltre quel modo asettico e alle volte superficiale con cui siamo sempre più orientati ad affrontare le notizie

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