scritto da Filippo Falvella - 10 Settembre 2023 07:59

Le Petit Prince: lo spirito del fanciullo nell’esistenzialismo di Heidegger

Lo spirito dell’esistenzialismo affrontato attraverso differenti frammenti de “Il piccolo principe”, analizzato attraverso gli spunti offerti dallo stesso, con richiamo alla figura del fanciullo e lo spirito acritico di quest’ultimo, in una analisi filosofica delle tematiche affrontate.

Il piccolo principe

L’espediente narrativo per l’incontro che avviene tra un aviatore, caratterizzante probabilmente della figura di Saint-Exupéry stesso, e il piccolo principe, è quello di un’avaria del suo mezzo, che lo costringe ad atterrare nella desolazione del deserto del Sahara.

Repente ode una voce, che preme per la seguente richiesta: «Disegnami una pecora!».

A parlare è un bambino, il principe del lontano asteroide B-612, su cui viveva in compagnia di tre vulcani, di cui uno inattivo, ed una rosa vanagloriosa, partito per esplorare il cosmo che lo circonda, ed incontrando personaggi quanto curiosi quanto caratteristici, ognuno dei quali sarà manifesto di una façon d’être, imparando da ciascuno le piccole grandi verità che compongono il mosaico della saggezza umana.

Il racconto gode di una fortissima impronta poetica e filosofica, che attraverso la forma dell’opera letteraria per ragazzi affronta tematiche di grande profondità, vivendo allo spettro dell’esistenzialismo una antifrastica critica, attraverso gli occhi di un fanciullo, dell’essere uomo nelle sue sfaccettature, degna della scrittura Pariniana de “Il giorno”.

L’esistenzialismo

Dovendo affiancare al racconto una corrente filosofica, la più adatta è sicuramente quella dell’esistenzialismo, che comprende quegli indirizzi di pensiero che concepiscono la filosofia non come sapere sistematico e astratto, ma come impegno del singolo nella ricerca del significato e della possibilità dell’ “esistenza”, il modo cioè d’essere specifico dell’uomo, caratterizzato dall’irripetibilità e dalla precarietà. E sono proprio queste costanti, irripetibilità e precarietà, che fanno da sfondo ad ogni figura incontrata, ogni ente, dal piccolo principe, che tendono a svelare una realtà assolutamente umana nell’esagerazione e nell’esasperazione della stessa, affermandone la sua esistenza. E l’esistenza dell’ente non può essere discussa senza porla in relazione con l’uomo, l’unico che si distingue per la sua capacità di comprendere l’essere stesso.

L’alétheia  è possibile, per Heidegger, in senso storicistico o di “fatticità” della nostra vita: la nostra soggettività, lungi dall’essere un elemento a-storico, è sempre connessa con l’hic et nunc in cui agiamo, e il nostro Dasein ,”esser-ci”, è sempre connesso alla temporalità, e la nostra comprensione è sempre una pre-comprensione. Alla luce di questo breve “excursus” del pensiero Heideggeriano, sicuro fondatore dell’esistenzialismo stesso, vorrei adesso porre in analisi un frammento dell’opera trattata, ed accostare ad esso un sintetico vaglio assolutamente introspettivo, guidato dalla corrente appena descritta.

Il serpente, la vittoria sulla morte

La morte del principe a causa del morso di un serpente va vista in un’ottica di maturazione. La morte stessa non è vista con pessimismo, ma come un fatto naturale e ineluttabile che fa parte del ciclo delle cose e della vita.

Non solo: la morte del Piccolo Principe è di fatto un semplice abbandonare il proprio corpo sulla Terra e poter tornare dalla sua rosa. In questo modo un evento altrimenti triste diventa un inno alla fanciullezza e alla semplicità con cui un bambino guarda il mondo, anche la prematura morte trova un senso nel raggiungimento della sua rosa, come una fuga da quella crescita, inevitabile, che lo avrebbe portato a tramutarsi in uno dei personaggi da lui incontrati, uno sfuggire alla minorità e alla tristezza di questi ultimi attraverso l’immediato raggiungimento di quanto più ama, amore di cui ha potuto prendere atto proprio grazie alle tante figure che hanno accompagnato il suo viaggio. La morte del fanciullo rappresenta l’eterna giovinezza di quest’ultimo, che vede il serpente come mezzo d’evasione e usbergo della sua figura incorrotta, pretta, quasi platonica, rimanendo sempre legato ad un’esistenza dove la meraviglia, lo stupore e la semplicità regnano sovrani.

La morte sovrasta l’esserci, e non è affatto una semplice presenza non ancora attuatasi, non è un mancare ultimo ridotto ad minimum, ma è, prima di tutto, un’imminenzache sovrasta. Ma all’esserci, come essere nel mondo, sovrastano molte cose, il carattere d’imminenza sovrastante non è esclusivo della morte. Ed è proprio a fronte di questa imminenza che la nobiltà dei sentimenti del principe riducono la morte ad un semplice passaggio da un luogo ad un altro ecome Orfeo tramite la piuma di Ovidio, attraverso il suo Creatum, i rapporti simpatetici che ha stabilito, l’intrepidezza dei valori percepiti, egli affronta questa catabasi annichilendo il senso ultimo della morte portando in enfasi una vittoria sulla stessa, dovuta all’uomo, e dovuta alla sua fanciullezza.

Ho 24 anni e studio filosofia all'Università degli studi di Salerno. Cerco, nello scrivere, di trasmettere quella passione per la filosofia ed il ragionamento, offrendo quand'è possibile, e nel limite dei miei mezzi, un punto di vista che vada oltre quel modo asettico e alle volte superficiale con cui siamo sempre più orientati ad affrontare le notizie

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