Le conseguenze della strage di Cutro
L’ottimo articolo del Direttore Petrillo, ispirato dall’editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corsera, pubblicato su questo giornale in data 16 marzo scorso, dal titolo “La destra di governo e il peso delle parole” (vedi link https://www.ulisseonline.it/opinioni/la-destra-di-governo-e-il-peso-delle-parole/) ha chiarito definitivamente un aspetto importante che riguarda la vicenda tragica di Cutro, ma non solo.
Una compagine governativa così massiccia, che si candida a cambiare il paese nell’arco di cinque anni durante il quale conta di governare, non può trascurare una efficiente comunicazione, riguardante non solo gli aspetti politici, tecnici e procedurali derivanti dagli interventi legislativi messi in atto, ma anche, diremmo principalmente, gli aspetti umani, che riteniamo importantissimi (forse più degli altri) per fare presa sulla cittadinanza, specialmente quella che non ha votato la compagine che governa, e che la Meloni dovrebbe tentare di conquistare se presume di andare avanti per un quinquennio.
E non può essere solo lei ad apprendere la lezione, ma anche i suoi collaboratori più diretti, i Ministri e i Sottosegretari che in tantissimi casi assumono atteggiamenti assolutamente censurabili, e si lasciano andare a considerazioni e discorsi sui quali è preferibile stendere un pietoso drappo.
Non sono solo Delmastro e Donzelli, delle cui intemperanze abbiamo già ampiamente parlato, perché ad essi quotidianamente si uniscono altri uomini del governo che dicono cose a volte incomprensibili, a volte censurabili.
Come il Ministro della Giustizia, figura importante e di riferimento in un governo, che dice e poi si contraddice, che non prende decisioni e al momento opportuno si defila: questo modo di fare non solo rende una pessima immagine di sé e della sua pregressa esperienza di alto magistrato, ma getta ombre, per non dire altro, sul governo.
E non parliamo del Ministro degli Interni, che in presenza di un dramma come quello di Cutro, non ha trovato di meglio che criticare le partenze dei disperati piuttosto che esprimere una parola pietà per le vittime e di cordoglio per i familiari.
Vien da dire, con la spontaneità partenopea, “ma almeno statte zzitto”.
Ora speriamo che tutti abbiano imparato la lezione, comunque suggeriamo a tutti loro di fare un corso accelerato di “bon ton” finalizzato ad evitare che in futuro assumano ulteriori atteggiamenti irritanti che, alla fine, danneggiano solo se stessi e danno spago all’opposizione che sta iniziando, anche grazie alla nuova Segretaria del PD, a battagliare e contrastare il governo con efficacia.
Ma non possiamo concludere queste considerazioni senza riportare una voce del panorama italiano, derivante dalle opinioni autorevoli della cristianità.
Sembra che tra il Vaticano e la Meloni sia sceso un grande gelo, a causa delle molte ipocrisie emerse proprio in conseguenza della tragedia di Cutro, perché il naufragio era prevedibile.
Dure le parole del Cardinale Michael Czerny S.I., Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, stretto collaboratore del Papa: “A Cutro non si è voluto o saputo rispondere al dramma”.
“Voluto o saputo”, termini inusitati da parte del Vaticano, nonostante Papa Francesco ci abbia abituato ad un linguaggio di estrema chiarezza.
La lapide che la Premier Meloni ha fatto erigere a Cutro, riportante le parole del Pontefice, che sono state considerate strumentali, ha provocato la reazione del Vaticano: la Meloni ha tentato di dimostrare che anche Papa Francesco aveva avallato le tesi del governo sulla necessità di fermare i migranti, ma la furbizia dei governanti ha fatto arrabbiare pure il Vaticano.
-Il problema è “anche” quello dei trafficanti- sottolinea in un’intervista a Vatican News il cardinale Michael Czerny, che senza reticenze “rimette in mare” il dilemma delle responsabilità. -Non è stata una tragedia annunciata, ma una tragedia denunciata. Credo che sia ipocrita dire non è stato possibile dare una risposta, è l’affondo del Cardinale di fronte alla linea Maginot del governo per il quale la portata del disastro è da imputare solo agli scafisti.
“No, non abbiamo saputo o voluto anticipare. Nella Chiesa, a cominciare da Papa Francesco, in tanti lo hanno sottolineato mille volte: non c’è nessuna sorpresa in queste vicende, sono cose previste e molto politiche, oltre che tristissime”.
Al porporato della Curia romana fa eco il cardinale Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena, secondo il quale “al centro va posta la questione dell’accoglienza, intelligente e non caotica, degli immigrati, stando proprio all’insegnamento del Papa. Non dobbiamo leggere il fenomeno migratorio solo in termini di emergenza, va piuttosto strutturato con scelte politiche il più possibile condivise, senza lasciarsi prendere dalla paura data dal fatto che sbarcano in Italia uomini e donne di religione e colore della pelle diversi dai nostri”.
Gli fa eco l’Arcivescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva, Giovanni Gravina, Presidente di Pax Cristi: “Quello è stato uno spettacolo indecente e indecoroso -grida il prelato- la premier ha strumentalizzato il Papa. Vuole davvero seguire Francesco? Allora lei, che si definisce cristiana, perché non è andata a raccogliersi in preghiera sulla spiaggia del naufragio, come fece lo stesso Pontefice a Lampedusa? Sul luogo del disastro Meloni non si è vista. Troppo facile prendersela con gli scafisti, quando sappiamo benissimo che dietro questi malviventi si nasconde una regia ben più potente”.
Netto anche il pensiero dell’arcivescovo di Ferrara, Giancarlo Perego,presidente della Commissione episcopale per le migrazioni, che boccia il decreto legge varato dall’esecutivo: “Nulla di nuovo, se non l’inasprimento delle pene per gli scafisti, confusi con i trafficanti, e la riproposizione della crescita dei centri di permanenza per il rimpatrio. Siamo lontani da un governo delle migrazioni. Manca un rafforzamento del soccorso in mare e della rete di accoglienza diffusa”.
E ci fermiamo qui, con la viva speranza che i destinatari di questo messaggio non continuino a fare orecchie da mercante.