scritto da Nino Maiorino - 22 Luglio 2024 08:08

L’autonomia differenziata è legge: a rischio l’unità del Paese?

Per comprendere cos’è la cosiddetta “autonomia differenziata”, approvata il 19 giugno 2024, dobbiamo partire dalla nostra Costituzione la quale, all’art. 5 del Titolo 1, prevede che la Repubblica è una e indivisibile, ma riconosce e promuove le autonomie locali, il più ampio decentramento amministrativo, adeguando i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.

Poi, al Titolo V, con gli artt. dal 114 al 133, ne stabilisce le modalità.
Articolo 114 – La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione.
È da rilevare che la indicazione degli Enti locali parte dai Comuni, che sono più vicini ai cittadini.
Tralasciamo gli art. 115 (abrogato) e 116 che riguarda realtà locali.
Importante è l’art. 117 con il quale la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Ma lo Stato ha legislazione esclusiva in molte materie: politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea; immigrazione;  rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose; esplosivi; moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle risorse finanziarie; organi dello Stato e relative leggi elettorali; ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali; ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale; cittadinanza, stato civile e anagrafi; giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa; determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; norme generali sull’istruzione; previdenza sociale; legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane; dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale; pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale; opere dell’ingegno; tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Ma c’è un punto importante riguardante le materie di legislazione concorrente (cioè quelle che possono essere eventualmente delegate) relative a rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni, commercio con l’estero, tutela e sicurezza del lavoro, istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale, professioni, ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi, tutela della salute, alimentazione, ordinamento sportivo, protezione civile, governo del territorio, porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, ordinamento della comunicazione, produzione trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, previdenza complementare e integrativa, coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali, casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale, enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato, come spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.

La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.

Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.
La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni, come pure nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato.

Un guazzabuglio incredibile che prevede tutto e il contrario di tutto, nel quale è facile sbagliare e far scaturire contenziosi tra Stato centrale ed Enti locali.

Questo è il motivo per il quale, in qualche occasione, abbiamo espresso l’opinione che, dopo tanti anni, qualche lavoretto di revisione delle norme costituzionali sarebbe stato opportuno, in considerazione che la nostra Costituzione è stata scritta appena dopo la tragedia del fascismo e della guerra, e che già dopo qualche decennio qualche presupposto incominciava a venire meno.
Purtroppo chi ci ha messo le mani evidentemente non è stato all’altezza del compito, e gli italiani rischia ora di pagarne le conseguenze.
Tutti gli altri articoli, dal 118 al 133 sono di carattere normativo e burocratico, alcuni sono abrogati, il 131 indica le Regioni che costituiscono la nostra Repubblica, cioè: Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzi, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna.

La riforma del Titolo V, dopo un lungo iter partito nel 1999 (Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, Presidente del Consiglio Massimo D’Alema), è avvenuta con legge costituzionale 3 del 2001, entrata in vigore il 18.11.2001 (Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, Presidente del Consiglio Giuliano Amato).

Resta il fatto che questa autonomia differenziata spacca l’Italia e acuisce le differenze esistenti tra le regioni ricche e le altre; ed è per questo che i cittadini e almeno 5 regioni si sono attivate per chiederne l’abrogazione.
Ma di questo parleremo in un prossimo intervento.
(1 –  segue)

Classe 1941 – Diploma di Ragioniere e perito commerciale – Dirigente bancario – Appassionato di giornalismo fin dall’adolescenza, ha scritto per diverse testate locali, prima per il “Risorgimento Nocerino” fondato da Giovanni Zoppi, dove scrive ancora oggi, sia pure saltuariamente, e “Il Monitore” di Nocera Inferiore. Trasferitosi a Cava dopo il terremoto del 1980, ha collaborato per anni con “Il Castello” fondato dall’avv. Apicella, con “Confronto” fondato da Pasquale Petrillo e, da anni, con “Ulisse online”.

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