Tra il difficile teatro di Pirandello e quello popolare di Ficarra e Picone
Dopo circa tre anni di pandemia, durante i quali, ligi alle regole, ci siamo segregati in casa, è finalmente venuto il momento di dire basta al confinamento, di uscire per qualche passeggiata all’aperto e anche di tornare alla vecchia passione della cinematografia d’autore.
E quale migliore occasione di riprendere a frequentare una sala cinematografica con un film molto strano, ben compendiato dal titolo “La stranezza”, messo in circolazione da pochi giorni, del regista Roberto Andò, che ha filmato tante opere importanti, interpretato da attori di primo piano, Toni Servillo nel ruolo di Luigi Pirandello, Ficarra e Picone nel ruolo di due becchini che si dilettano di teatro popolare, mettendo in scena commedie che fanno sbellicare dalle risate gli spettatori.
“La stranezza” di Roberto Andò “è probabilmente il film italiano più bello dell’anno, il più colto e il più singolare -ha scritto un critico- non so immaginare un modo più obliquo e meno rituale per fantasticare sulla genesi dei “Sei personaggi in cerca d’autore”.
La sopita competizione tra il teatro dotto ed ermetico di Pirandello e quello popolare, comico, provocatorio e sboccato di Ficarra e Picone si traduce in una contrapposizione tra due modi di vedere la vita, la società, e di vivere la socialità.
Tutti gli altri personaggi, ad eccezione di quello di Giovanni Verga, impersonato dal pure ottimo attore partenopeo Renato Carpentieri, sono l’utile contorno ai quattro “big” citati.
Il film è stato dedicato a Leonardo Sciascia, che è stato il vero “suggeritore” di Andò per questo film fuori norma, quando ha scritto: “In Pirandello c’è una specie di invenzione del teatro, egli inventa nel senso più proprio, trova il teatro nella vita, nell’impetuoso scorrere di tragedia e commedia”.
Grazie a Sciascia, il regista ha scoperto la biografia del drammaturgo scritta da Gaspare Giudice, e con quella, “una visione folgorante del labirintico intreccio di vita e arte di cui si compone il tortuoso universo di Pirandello”. Il film è dedicato proprio a Sciascia.
Nel 1920 Luigi Pirandello (Toni Servillo) torna in Sicilia, nella sua Girgenti (oggi Agrigento), per l’ottantesimo compleanno di Giovanni Verga; le esequie dell’amatissima balia Maria Stella gli fanno incontrare i becchini Nofrio (Picone) e Bastiano (Ficarra), teatranti per diletto.
Per immergere i tre nella palude delle inevitabili “mazzette” cimiteriali, Andò inventa un labirintico ‘archivio dei morti’, che sembra uscito dalle pagine di José Saramago, scrittore, giornalista, drammaturgo, poeta, critico letterario e traduttore portoghese, insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1998.
Le visioni spettrali e gli incubi di Pirandello, tormentato dall’idea ancora confusa per un dramma, vanno di pari passo con le prove della nuova farsa paesana di Nofrio e Bastiano: “La trincea del rimorso, ovvero Cicciareddu e Pietruzzu”.
Il dialogo con Giovanni Verga (Renato Carpentieri) è illuminante. Pirandello gli confida “Ho in mente una stranezza che è diventata quasi una ossessione”. E Verga: “Tu hai messo una bomba sotto l’edificio che a fatica noi abbiamo costruito”.
La curiosità porta Pirandello nel teatrino dove i ‘dilettanti professionisti’ vanno in scena con grande spasso dei compaesani. E lì si compie quell’intrusione della realtà, della vita, dell’imprevisto nella rappresentazione che sarà la scintilla dei “Sei personaggi in cerca d’autore”.
La prima dei “Sei personaggi” al Teatro Valle di Roma, nel 1921, scatena un pandemonio, tra lo stupore dei becchini-giullari: “Sono tutti attori, anche il pubblico”, sentenzia Bastiano-Ficarr,.
Ma è il disastro prima del trionfo mondiale: la scena, girata nel vero Teatro Valle, sembra cronaca filmata.
Ma vediamo cos’è il dramma “Sei personaggi in cerca d’autore” di Luigi Pirandello, intorno al quale ruota il film di Andò.
E’ l’opera che ha caratterizzato maggiormente il teatro pirandelliano, un’opera teatrale composta nel 1921 circa e rivisitata dall’autore quattro anni più tardi.
Le tematiche che l’autore presenta nei “Sei personaggi…” vengono anticipate in altri scritti che, diversamente da altri drammi, non è suddiviso in atti, ma è comunque possibile darle una ripartizione in base alle naturali interruzioni che si creano nel susseguirsi delle vicende.
L’antefatto della tragedia descrive l’arrivo di sei personaggi (il Padre, la Madre, la Figliastra, il Figlio, il Giovinetto e la Bambina), i quali irrompendo sul palcoscenico, già popolato dagli Attori, illustrano al meglio la loro vicenda per farla inscenare.
Il Padre spiega come il tradimento di sua moglie con un altro uomo sia stata la causa della fine della loro storia d’amore. La Madre, moglie del Padre, fu pertanto privata del Figlio, nato dal matrimonio con il Padre, e successivamente fu privata anche dell’amore del convivente, il quale morendo, lasciò la donna e i tre figli (la Figliastra, il Giovinetto e la Bambina) da lei avuti.
Lo spiacevole evento creò un tale disagio economico da costringere la Madre a lavorare come sarta nella bottega di Madama Pace, la quale nascondeva nel retrobottega una casa di appuntamenti. Qui la Figliastra si prostituiva per dare un ausilio economico alla famiglia.
Alla interruzione si sussegue la prima parte della commedia da fare, la cui scena esordisce con un grido di sgomento della Madre che evita l’incesto tra Padre e Figliastra che si incontrano nel retrobottega-casa di appuntamenti della sarta.
La storia continua con la figura del Padre (maschera del rimorso), il quale impietosito dalle condizioni di miseria della Madre (maschera del dolore) e dello spiacevole evento presentatosi con la Figliastra (maschera della vendetta), decide di accogliere tutta la famiglia nella sua dimora.
La narrazione procede ponendo attenzione al silenzio del Figlio (maschera dello sdegno), sinonimo della sua disapprovazione, al continuo affannarsi della Madre nel tentativo di recuperare l’ormai perduto rapporto con il Figlio e al contrastato rapporto tra Padre e Figliastra.
Tale situazione si ripercuote nelle due figure più ingenue dell’opera: la Bambina, che muore annegata nella vasca del giardino, e il Giovinetto, che si suicida con un colpo di pistola.
L’opera degrada a tal punto da far intimorire e disorientare gli Attori, che fuggono dal palco.
L’opera teatrale rilascia e infonde negli spettatori, inclusi gli Attori, un senso di malinconia e turbamento, accentuato, a maggior ragione nella parte conclusiva, dalla stridula risata della Figliastra, risata che non implica uno stato d’animo gioioso, ma ricalca la derisione nell’esigere un senso unitario.
Quale è il significato dell’opera?
L’autore tenta invano di giungere ad un significato universale, che sia concorde con tutte le verità dei Personaggi; ma si accorge che questa ardua missione è impossibile. La realtà borghese è contraddittoria, e l’impossibilità di trovare un senso comune, provoca la fuga dell’autore, la rinuncia alla tragedia e, di conseguenza, il rifiuto dei Personaggi.
Pirandello, nella Prefazione del 1925, dice di assistere al passaggio dalla tragedia alla commedia, nel momento in cui i Personaggi entrano in conflitto con le loro verità dei fatti, che variano a seconda dei propri sentimenti, valori e ragioni.
Il motivo dell’umorismo (come quello del riso) pone in risalto il tema del doppio contrasto tra realtà e finzione: la prima analizza, approfondisce e sviscera il dramma delle vicende vissute dai singoli Personaggi, mentre la seconda mette a nudo le convenzioni teatrali date dagli Attori.
Con il tema dei “Sei personaggi…” Pirandello affronta il tema della comunicabilità, ovvero il rapporto tra capocomico e compagnia teatrale che segue senza poter far nulla le vicende dei sei personaggi.
I “Personaggi” chiedono al Capocomico di dare loro una vita artistica e di mettere in scena il loro dramma. Dopo molte resistenze la compagnia acconsente alla loro richiesta e i personaggi raccontano agli attori la loro storia perché essi possano rappresentarla.
L’ opera, ritenuta la più famosa di Pirandello, e quella che gli fece vincere il Premio Nobel nel 1934, venne rappresentata per la prima volta, il 9 maggio 1921, al Teatro Valle di Roma, dove si scatenò una durissima protesta tra i (pochi) sostenitori e i (molti) denigratori, e si rischiò lo scontro fisico.
Il chiarimento presente nella prefazione del 1925 aiutò a comprenderla meglio e probabilmente contribuì al successo dell’opera e al riconoscimento del Nobel.
I contenuti della comunicabilità tra i personaggi sono sviluppati nella famosa trilogia pirandelliana, composta da “Sei personaggi in cerca d’autore”, “Ciascuno a suo modo” e “Questa sera si recita a soggetto”.
È proprio da questi drammi che si evincono i punti cardine del teatro pirandelliano, nonché l’acquisizione da parte dei personaggi di una piena autonomia, che sfocia nello smascheramento degli artifici teatrali, e pone il teatro come anticipazione della realtà.
Pirandello si era posta una precisa finalità: mettere in discussione il teatro, e lo indusse ad una reale innovazione: porre il teatro come finzione scenica e il metateatro (teatro nel teatro) come discussione sulla finzione teatrale.