Si chiamava Ugo Russo, oramai è diventato il simbolo di una gioventù (ma era appena un adolescente, aveva solo 15 anni) senza più nulla: né famiglia, né valori, né impegni, né ideali, nulla che possa dare un barlume di prospettiva per la vita a venire.
Ugo è ormai senza passato né futuro, perché il passato l’ha perduto nel vuoto che ha sempre avuto intorno a sé, il futuro l’ha perduto per la bravata, il tentativo di rapina e i tre colpi di pistola che lo hanno freddato; e chi sa quanti altri Ugo dovremo ancora piangere.
Ho detto in altra sede che il vero, forse l’unico assassino di questo ragazzo è la famiglia, che non ha saputo dargli non solo qualche ideale, qualche prospettiva, qualche valore, ma probabilmente lo ha istruito alla furbizia, alla delinquenza, al soldo facile, da procurarsi magari con uno scippo o una rapina, che ha armato la sua mano, e chi sa quante volte il povero ragazzo ha visto qualche suo familiare maneggiare armi, smontarle e rimontarle, caricarle e armarle …
Una delle foto che tutta la stampa e i media tv hanno pubblicato mostra il volto di un adolescente, poco più di un ragazzo, col viso un tantino imbronciato, con la mano sinistra paffutella che strige al petto un cuscino, probabilmente la stessa mano che ha poi stretto la pistola con la quale ha tentato la rapina; la mano di ragazzo, paffutella e ben fatta, una mano che dovrebbe essere innocente, che dovrebbe stringere la biro o la matita, ma che, purtroppo, qualcuno, per disinteresse, superficialità, scarsa o nessuna preparazione alla genitorialità, ha armato, una mano che avrebbe potuto stringerne chi sa quante altre, ma che ha voluto stringere solo una pistola che ha annientato la sua vita e quella di una intera comunità.
Ho grande stima e rispetto per Don Maurizio Patriciello, il Parroco di Caivano sempre in prima linea contro tutte la criticità della zona nella quale vive, e che spende la sua vita ad aiutare il prossimo, sia nella zona delle terra dei fuochi, dove si muore per inquinamento dei terreni, sia in tutto il napoletano per tutte le altre criticità.
Don Patriciello in un articolo pubblicato il 3 marzo sul quotidiano Avvenire, ha detto nobili parole di pietà e compassione per il ragazzo morto, iniziando con «Breve come il tuo nome è stata la tua vita, Ugo. Quindici anni per sempre, un leggero battito d’ali, un sussurro appena. Quasi la stessa età del venerabile Carlo Acutis (uno studente cattolico morto all’età di 15.anni per leucemia, proclamato venerabile da Papa Francesco, in odore di santità – ndr).»
Molto di ciò che ha scritto Don Patriciello è condivisibile, ma c’è qualche passaggio che non mi sento di condividere, perché, anche se umanamente comprensibile, sposta l’attenzione su un aspetto sociale che farebbe passare in secondo piano l’aspetto criminale e camorristico, ottenendo il risultato di ridurre la grande responsabilità del piccolo criminale e dei suoi familiari per spostarla sulla intera società, con una operazione di osmosi che rischia di diventare più pericolosa della stessa azione commessa, e che potrebbe indurre altri ad analoghe azioni con l’alibi che la vera responsabilità delle stesse sono di altri.
E l’accostamento del piccolo delinquente al generoso coetaneo Carlo Acutis, non mi sento affatto di sposarlo perché rischia di portare verso una specie di beatificazione di Ciro in quanto vittima più che colpevole, e in questa manicomiale società ci sono già altri eclatanti precedenti, uno per tutti quello di Carlo Giuliani, anch’egli giovanissimo delinquente, pure esso vittima di una sua azione criminosa che indusse un altro giovane carabiniere ad ammazzarlo, e che è stato quasi santificato: ovviamente i contesti sono completamente diversi, ma un’azione criminale rimane tale, e una tentata violenza rimane violenza.
Questo povero adolescente assassino ha diritto a tutta la nostra umana pietà, è troppo facile classificarlo e trattarlo solo come un criminale, anche se quello che ha fatto è proprio da criminale; ma quanti sono coloro che lo hanno fatto diventare tale, più delinquenti e criminali di lui, i veri responsabili della sua morte, i familiari in testa, che ora, in una reminiscenza di lucidità e consapevolezza, o forse solo per lavarsi la coscienza, o magari per fare scena, hanno invitato ad elargire le somme per l’acquisto dei fiori a favore del Pronto Soccorso dell’Ospedale Vecchio Pellegrini di Napoli, incomprensibilmente devastato da una banda di giovani teppisti (i quali poi si sono resi responsabili di una azione di guerriglia nei confronti del Comando Regionale dei Carabinieri di Napoli) a ristoro dei danni provocati da quella bravata.
I fatti sono ormai noti a tutti, quindi è inutile ripeterli, rimane compito della magistratura stabilire cosa sia accaduto e se ci sia responsabilità da parte del Carabiniere che ha sparato.
Rimane però una serie di circostanze che vanno evidenziate, prima fra tutte il fatto che il ragazzo non frequentasse nessuna scuola e che facesse qualche lavoretto che gli rendeva qualche entrata per le sue spese e per non gravare sulla famiglia.
Ma quello che guadagnava non bastava per le serate in discoteca, magari per ingurgitare anche qualche cocktail a base di alcool e di qualche altra cosa, e cosa c’è di più semplice e remunerativo che incrementare il gruzzolo rapinando un altro giovane, portandogli via l’orologio o lo smart-phone da svendere al mercato nero? E viene da riflettere che la tentata rapina ai danni del carabiniere sembra facesse seguito ad un’altra analoga “positivamente” compiuta, poco prima.
Questo è ciò che va tenuto in considerazione e che la umana pietà non può nascondere o sminuire.
E allora ben vengano tutte le teorie riguardanti le varie mancanze della società, specialmente quella meridionale, nei confronti dei giovani, ma la “filosofia” spicciola del popolo o quella eccelsa degli specialisti non può distoglierci dal considerare un criminale come tale: punto e basta.
4 marzo 2020 – By Nino Maiorino – Probabilmente per mia negligenza, nell’articolo è saltata una frase, dallo scritto di Don Patriciello, che avrebbe meglio chiarito il mio pensiero.
Rimedio ripubblicando qui l’intero periodo, tratto proprio dall’articolo del Sacerdote.
“”Don Patriciello in un articolo pubblicato il 3 marzo sul quotidiano Avvenire, ha detto nobili parole di pietà e compassione per il ragazzo morto, iniziando con «Breve come il tuo nome è stata la tua vita, Ugo. Quindici anni per sempre, un leggero battito d’ali, un sussurro appena. Quasi la stessa età del venerabile Carlo Acutis (uno studente cattolico morto all’età di 15.anni per leucemia, proclamato venerabile da Papa Francesco, in odore di santità – ndr). Sono certo che in paradiso Carlo ti sarà venuto incontro, magari ti avrà spiegato che nessun uomo ha il diritto di fare male a un altro uomo, ma solo il dovere di amarlo.» “”