scritto da Mariano Avagliano - 27 Agosto 2019 08:26

La Deriva del Linguaggio

Un’altra crisi di governo ci attende. Il Presidente Mattarella, da solo, in quasi quattro anni ne ha viste tre, una per anno quasi. Da un alto è come se fossimo talmente bravi da fare difficoltà a scegliere per un anno chi ci debba governare tra tutti i bravi eccellenti che ci sono. Dall’altro, meglio non dirlo per risparmiare inchiostro e spazio, l’esatto contrario.

D’altronde, come succede con gli individui – ci sono alcuni che non riescono a stare senza elementi critici e relazioni pericolose come se si sentissero svuotati e privi di senso – può anche darsi che il nostro Paese, il nostro Bel Paese, non viva e non conosca altro momento di vita se non quello della Crisi, questa fase romantica in cui tutto e il suo contrario, da un momento all’altro, può accadere e in cui tutte le infinite possibilità degli infiniti mondi di Liebniz si aprono all’improvviso.

Siamo, forse a questo punto, il Paese che vive, cresce e si esalta per e nella Crisi. Sarà anche arrivato il momento che, dopotutto, ce ne facciamo una ragione.

Tralasciando l’attuale Crisi di Governo, tuttavia, ci sono aspetti che rendono necessario interrogarsi e provare a dare una lettura, e uno sforzo di comprensione, dall’alto, sollevandosi, anche poco, dal marasma quotidiano.

Da qualche tempo, forse un anno o poco più, assistiamo, quotidianamente, a una deriva pericolosa. Un trascinamento nell’arena gladiatoria del trivio dell’elemento che – insieme all’arte, al senso del bello e del buon gusto – ha fatto e fa l’essenza della nostra grandezza nel mondo: il linguaggio, il modo in cui, rappresentiamo il Mondo sia reale che immaginario e con cui stabiliamo relazioni con chi ci sta attorno.

Da tempo accade che quasi ogni giorno, c’è un articolo, un frammento, una dichiarazione, un tweet o un post in cui un personaggio pubblico si fa beffe del linguaggio ma non, semplicemente, in termini di grammatica e ortografia che sarebbe comunque cosa, nei limiti ovviamente, recuperabile e sanabile.

La deriva a cui assistiamo riguarda, invece, il “tono” del linguaggio utilizzato inteso, anzitutto, come impostazione con cui vengono scelti i termini ed espressi i concetti che si vogliono comunicare.

Si tratta, in sostanza, di un tono del linguaggio in cui si possono riscontrare elementi di odio e insulto nei confronti di questa o quella categoria e, in breve, ci da la rappresentazione di un Paese frammentato, sfilacciato e in lotta con sè stesso prima ancora con fantomatici nemici esterni. Il tutto pari pari al ritratto che, poco più di un anno fa, faceva De Rita inaugurando il termine “sovranismo psichico” per descrivere l’atteggiamento di ostilità e di odio che in pochi anni, complice forse anche la crisi economica e l’assenza di opportunità, è cresciuto nel Paese. Quasi come volendo risvegliare antiche rivalità e ancestrali tendenze autodistruttive.

Questa deriva del linguaggio, d’altronde, è un dato preoccupante per due ordini di motivi. Anzitutto per il contenuto, velenoso, di realtà ideologiche che quotidianamente viene sversato nel dibattito pubblico e nel contesto delle relazioni sociali.

In secondo luogo, dettaglio più preoccupante, questo trascinamento verso il basso trova innanzi a sè null’altro se non il Silenzio e l’indifferenza. In sostanza, la cosa che spaventa è che, attualmente, non c’è nessuno nel Paese che si sia fatto seriamente promotore di un azione di contrasto o che si sia messo in mezzo ostacolando questa deriva.

A cominciare, innanzitutto, da coloro che, per nascita, fortuna, tradizione e professione, avrebbero tutta la forza e il merito nel mettersi in mezzo. Gli intellettuali, per esempio, ove questa categoria esista ancora e abbia, ancora, un compiuto senso.

Nessuno, insomma, di fronte a questa deriva sembra, anzitutto, consapevole del problema e, in secondo luogo, intenzionato a reagire e a mettersi nel mezzo per affermare una visione, alternativa si ma soprattutto di buon senso.

Quello che preoccupa è che i grandi movimenti totalitari della storia hanno trionfato non solo perché, in una travagliata fase storica, sapevano proporre una realtà alternativa – illusoria e campata in aria – riscuotendo il seguito di molti ma soprattutto perché non hanno trovato nessuno pronto a sbarrargli la strada e a mettersi nel mezzo per difendere un ordine differente.

Si tratta, auspichiamo, di paragoni azzardati ma tuttavia bisogna sempre rimanere vigili affinché le istituzioni e gli usi del buon vivere civile abbiano sempre la meglio sugli istinti ancestrali che più di una volta, in varie epoche storiche, hanno fatto vergognare l’umanità di sé stessa.

Ha iniziato a scrivere poesie da adolescente, come per gioco con cui leggere, attraverso lenti differenti, il mondo che scorre. Ha studiato Scienze Politiche all’Università LUISS di Roma e dopo diverse esperienze professionali in Italie e all’estero (Stati Uniti, Marocco, Armenia), vive a Roma e lavora per ItaliaCamp, realtà impegnata nella promozione delle migliori esperienze di innovazione esistenti nel Paese, di cui è tra i fondatori. Appassionato di filosofia, autore di articoli e post, ha pubblicato le raccolte di poesie “Brivido Pensoso” (Edizioni Ripostes, 2003), “Esperienze di Vuoto” (AKEA Edizioni, 2017).

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