La condanna del parto di Pan: come l’uomo sta distruggendo il suo grembo
Considerazioni sull’uomo nello stato di natura e del suo essersi fatto capo di stato senza elezioni, in una analisi sul deturpamento dell’ambiente attraverso la filosofia naturalista.
Volessimo provare ad immaginare il Pantheon come un vecchio college americano degli anni ’80, ad esser chiuso nell’armadietto da parte del ben più piazzato quarterback della squadra di football, chiaramente capitanata dall’uomo, sarebbe sicuramente il povero Pan. Da che l’uomo ha avuto consapevolezza di possedere due pollici opponibili non ha mai mancato di sfruttare, in base alla possibilità del tempo, i non pochi frutti che il grande albero della vita ha sempre generosamente offerto a chiunque volesse coglierli. Ma se in un primo momento della sua gloriosa storia l’interesse dell’uomo era quello di prendere quanti frutti gli bastassero ad aver gonfia la pancia, man mano che il suo presunto dominio sulla natura si espandeva così si espandeva la sua bramosia di tali frutti, arrivando a pretenderli in misure di cui neanche necessitava. In questa sede ci occuperemo di trattare il rapporto tra questi due studenti e del curioso fenomeno autodistruttivo alla quale l’uomo sta sottoponendo l’intero college.
L’INQUINAMENTO AMBIENTALE
Inquinamento è il termine tramite la quale si fa riferimento all’alterazione dell’ambiente, tendenzialmente ad opera dell’uomo attraverso la antropizzazione, ovvero quell’insieme di interventi da parte dell’uomo atti a modificare l’ambiente secondo suo aspetto e necessità. Attraverso tale intervento, il più delle volte l’uomo si fa autore di situazioni di disequilibrio rispetto ai cicli naturali di una data zona.
Ora, in una visione panteistica delle cose, è chiaro che nel momento in cui l’uomo danneggia l’ecosistema in cui vive sta, seppur indirettamente, danneggiando se stesso.
Il punto d’indagine, o addirittura d’inchiesta, di questo articolo è il seguente: Come può l’uomo, nonostante le chiare avvertenze mossegli dai suoi simili più attenti, nonché dalla natura stessa, perseguire in questa folle attitudine autodistruttiva? A questa domanda, come sempre, non risponderemo nei termini che sono già stati ampiamente dibattuti, poiché dell’ecologia e dell’ambiente s’è già sufficientemente trattato in molteplici scritti oltre il seguente.
Quello che c’interessa e provare a dare una motivazione che sia, nella sua impraticità, assolutamente pratica e assolutamente conforme a quello che sia il vero vivere.
Non è mio interesse trattare su quanto sia ingiusto nuocere alla natura, nostra genitrice, o quanto grande sia il danno che ci stiamo arrecando, queste sono cose che sappiamo, il mio interesse è appunto quello di “motivare”, in senso strettamente filosofico e psicologico, tali atteggiamenti.
IL NATURALISMO
Il naturalismo è quella corrente di pensiero filosofica che antepone l’interesse allo studio della natura nei suoi fenomeni ad ogni altro tipo di indagine. Secondo un naturalista per comprendere la realtà devo prima comprendere tutto ciò che ne fa parte, porgendo la mia mano verso quelle leggi, intrinseche nel mondo anche se prive di scrittura, della natura.
Priva di qualsiasi fine teleologico, questa corrente di pensiero è investita dalla materialistica praticità di cui abbiamo bisogno per continuare la nostra trattazione, che vuole porre un accento non tanto sulla moralità dell’atto dell’inquinare, ma sulla sua motivazione. Tralasciando la prima fase del naturalismo, quella trattata dai filosofi di Mileto ed orientata verso la ricerca dell’archè, la causa prima, apprestiamoci a trattarne subito la fase rinascimentale.
I due nomi che brevemente interloquiremo sono i seguenti: Giordano Bruno e Tommaso Campanella. Entrambi i filosofi concordavano sull’intendere la natura come realtà “senziente”, là dove questo essere senziente si nasconde, almeno per Bruno, Dio.
L’intera natura percepisce ed è animata da un’idea che la rende “viva”. Tutto questo ci serve per affermare una singola cosa, con la volontà di rafforzare per poter infine concludere il topos della discussione: la vita umana coincide con quella naturale, e la stessa coincidenza alberga nell’essere senziente della natura e conseguenzialmente dell’uomo.
L’uomo è, oltre che abitante e partecipe, parte integrante della natura stessa, ne è padre e figlio, attore e regista, e qualunque azione che compie nei suoi riguardi, che sia questa diretta o indiretta, è compiuta nei riguardi di se stesso.
LA CONDANNA DEL TEMPO
Abbiamo a questo punto compreso che uomo e natura sono trascendentalmente collegati in un tutt’uno, in un’unica grande che sfera che agisce, la quale azione sarà sempre e solo riferita a se stessa. E proprio su questa ragione possiamo finalmente comprendere che il danno che l’uomo infligge alla natura non è più arrecato a sé o alla natura stessa, ma al domani.
Chiunque è ben consapevole che un domani ,ormai sempre più vicino, tutto il male che stiamo arrecando a Pan finirà per ritorcersi contro di noi, con un esito talmente disastroso da non permettere più che questo danno sia possibile, l’estinzione.
Allora com’è possibile che tale danno continui? E’ possibile proprio nell’analisi temporale di tale fenomeno. I danni che stiamo facendo oggi, ci portano lo stesso giorno un bene, un arricchimento, di cui possiamo ancora usufruire gratuitamente.
Tutti i danni della generazione odierna, saranno un problema di quella futura, il ricco magnate novantenne che si gode i suoi ultimi anni di vita con la trivellazione del suolo, non ha in nessun modo la possibilità di vedere o vivere il male che sta facendo, semmai può solo godere del momentaneo beneficio.
L’inquinamento si basa su una totale irresponsabilità verso le generazioni future, un godere spropositatamente di tutti i frutti che miravano a nutrirci per l’eternità. Chi ha avuto la fortuna di vivere prima si sta nutrendo anche al posto di chi avrebbe dovuto nutrirsi dopo, semplicemente perché non dovrà vivere il terribile confronto con tutto il male che ha portato.
L’uomo sé fatto padrone di una casa che ha però solamente affittato, come chi pernottando una sola notte in una stanza d’albergo non si pone il problema di chi dovrà dormirci il giorno successivo, lasciandola sporca e inutilizzabile.
Per combattere la tirannia del tempo l’uomo s’è fatto a sua volta tiranno, dittatore d’un popolo che ancora deve nascere, e dunque impossibilitato a rispondere dei soprusi che ancora non sa d’aver ricevuto.