Non credevo di dover scrivere questo articolo in onore di Sergio Marchionne, nella convinzione che, nonostante tutte le previsioni negative, non avremmo dovuto piangere la sua morte e commemorarne la vita al di là della stessa.
Sergio Marchionne, checché se ne dica, è stato un gigante nel mondo industriale italiano che, pure se dominato da una grande e diffusa imprenditoria, ancora oggi fa fatica a decollare in quanto i moltissimi imprenditori illuminati e bene inseriti nel nuovo sistema economico globale, hanno ancora le ali tarpate da consuetudini, protezioni, lobby, stratificazioni, ostacoli che purtroppo stentano a morire.
Non tutti hanno ancora capito che il mondo, quello fatto di persone che vogliono essere al passo con i tempi, confrontarsi con l’economia globale, competere con produzioni extraterritoriali, in una sola parola “intraprendere”, va avanti a grande velocità, e che a tale velocità debbono adeguarsi se non vogliono essere tagliati fuori.
La vera imprenditoria, quella che regge questa società, l’ha capito e cerca di adeguarsi, superando mille difficoltà: gli ostacoli della politica, dei sindacati, delle lobby, delle corporazioni, di tutti i meccanismi creati in oltre un secolo di relazioni che stentano a riformarsi, ad adeguarsi ai tempi, con la illusione che ancora oggi, grazie ai paletti che per decenni hanno ostacolato o rallentato un vero e consolidato progresso, possono ancora vivere, contare, condizionare il progresso e l’evolversi dei tempi.
Marchionne l’aveva capito in anticipo e già oltre quindici anni addietro a tali nuovi regole si è ispirato ed ha avuto il successo che tutti gli riconoscono, anche se molti lo hanno contestato, criticato e ostacolato.
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Sergio Marchionne era figlio di un maresciallo dei Carabinieri che aveva sposato una donna dalmata; era nato 66 anni fa, il 17 giugno 1952, a Chieti. La famiglia, andato in pensione il padre, si era trasferita in Canada per iniziare una nuova vita.
Aveva conseguito la prima laurea in Filosofia presso l’Università di Toronto, contro il parere del genitore il quale gli aveva assicurato un bel futuro di tassista. Ma il figlio non si lasciò condizionare e proseguì gli studi laureandosi in Economia e in Giurisprudenza, poi partecipò presso la University of Windsor dell’Ontario ad un Master in Business Administration. Successivamente intraprese numerosi di studi e corsi di vario genere, approfondendo sempre di più le sue conoscenze specialmente economiche e manageriali.
Dopo gli studi esercitò una intensa attività lavorativa, durata fino all’inizio dell’avventura in Fiat, iniziando dal nord America, sia nel campo legale ed economico, sia in quello imprenditoriale, che gli fece maturare numerose esperienze presso grandi aziende e organismi finanziari, e proseguì anche in Europa, in Svizzera.
Ma il suo esordio sullo scenario mondiale avvenne nel 2003 entrando a far parte del Consiglio di Amministrazione del Lingotto su designazione di Umberto Agnelli, alla morte del quale Sergio Marchionne divenne Amministratore delegato del gruppo FIAT il 1° giugno 2004.
A giugno 2009 assunse la carica di Amministratore Delegato di Chrysler Group, ora FCA US. Contemporaneamente ha coperto cariche in anche in altre aziende della galassia Fiat – Chrysler.
Aveva scelto di domiciliare in Svizzera con la compagna Manuela Battezzato dalla quale ha avuto due figli, Alessio e Tyler; ma l’uomo dal maglioncino nero, ha vissuto gli ultimi anni tra Torino e Detroit, guidando la ‘rivoluzione’ che ha portato in Borsa anche Cnh Industrial e Ferrari.
Era un accanito fumatore, scaramanticamente ad ogni sigaretta che accendeva diceva “questa mi porterà alla morte”: così sembra sia stato in quanto proprio un cancro al polmone, sembra diagnosticato durante un intervento chirurgico alla spalla effettuato nel mese di giugno 2018, l’ha condotto alla morte, pure se al momento non v’è la conferma ufficiale di ciò.
E’ stato un Manager anticonformista nel lavoro come lo è stato nell’abbigliamento: tutti infatti lo hanno visto quasi sempre con il maglione (ne aveva una trentina) anche nelle ricorrenze ufficiali, e pochissime volte ha usato giacca e cravatta.
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Sono convinto che Marchionne, definito un “Manager globale”, è stato veramente, più che un “tassista” come prevedeva il padre, il traghettatore di grandi aziende in un mercato globale, vincendo tutti i condizionamenti ai quali facevo cenno prima.
Ha ereditato una Fiat in grandi difficoltà e l’ha portata ad essere uno dei primi produttori di auto del mondo; ha rilevato la Chrysler americana sull’orlo del fallimento, l’ha risanata con capitali pubblici, poi restituiti, e l’ha resa competitiva sul mercato mondiale anche grazie alla integrazione con i prodotti italiani della Fiat, introdotti nel mercato statunitense che non aveva cognizione della tecnologia italiana e della sobrietà delle nostre autovetture; ha instaurato nuovi rapporti con le organizzazioni sindacali, contrastando con determinazione le vecchie regole e metodologie, per lo più fondate sulla contrapposizione tra imprenditore e lavoratori e introducendo in Italia la concezione della classe operaia collaborativa anche nelle scelte produttive finalizzate al conseguimento di risultati dei quali anch’essa avrebbe beneficiato, cosa che ha portato ad una spaccatura tra le due concezioni di fare sindacato, quella della contrapposizione e quella del coinvolgimento.
Marchionne non è stato tenero nemmeno con l’associazione degli industriali, la Confindustria, che pure l’avrebbe condizionato nelle scelte difficili che avrebbe fatto successivamente, tant’è che, prima di trasferire la sede legale e quella fiscale della Fiat all’estero, da Confindustria è uscito proprio per essere libero nelle sue azioni.
La scelta di trasferire la sede all’estero, sebbene in linea con la concezione del mercato e del villaggio globale, venne aspramente criticata e ostacolata da tanti, segno che vi sono concetti dei quali molti parlano in maniera anche entusiastica, ma dei quali stentano a comprendere il significato e le conseguenze.
Il “villaggio” della vecchia tradizione sociale era uno spazio circoscritto nell’ambito di un rione, una città, una nazione; oggi quel “villaggio” così inteso non esiste più in tali termini; l’Europa Unita è già un esempio di villaggio globale allargato a tutti i paesi che ne fanno parte, per cui, ad esempio, avere la sede a Torino o a Dublino non fa grande differenza, così come non fa differenza, per uno studente, studiare a Milano o a Valencia; molti ancora oggi stentano a comprenderlo, Marchionne lo aveva capito subito e ne ha sfruttato tutte le possibilità.
A tal proposito è chiaro che dà fastidio il fatto che, spostata la sede legale FCA (ex Fiat) in Olanda e quella fiscale in Gran Bretagna, la società gode del regime legale olandese e fiscale del Regno Unito; ma per questo non si può colpevolizzare l’imprenditore se decide, ad esempio, di delocalizzare uno stabilimento dall’Italia alla Polonia per sopportare un minore costo del lavoro e una minore burocrazia ; tali anomalie non sono colpa dell’imprenditore, ma piuttosto determinate dalla scelta, per tanti versi insensata, di creare una Unione Europea monetaria piuttosto politica, così come i Padri dell’UE avevano previsto e in tanti, oggi, si battono per superarla.
Marchionne ha utilizzato tutti gli strumenti che la società moderna mette a disposizione, e che ancora molti politici non vogliono accettare, producendo danni enormi.
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Voglio concludere dando atto che Sergio Marchionne, nonostante il forte carattere che gli ha consentito i successi da tutti riconosciuti, è stato anche un uomo di grande umanità pure con il personale dipendente, gran parte del quale lo ha seguito nei suoi progetti innovativi, ricevendone benefici anche in termini economici.
La sua umanità emerge anche dalla lettera, pubblicata su tutti i giornali, che negli ultimi tempi indirizzava ai nuovi assunti: “Caro collega… esiste un mondo in cui le persone non lasciano che le cose accadano: le fanno accadere. Non dimenticano i propri sogni nel cassetto, li tengono stretti in pugno. Si gettano nella mischia, assaporano il rischio, lasciano la propria impronta. È un mondo in cui ogni nuovo giorno e ogni nuova sfida regalano l’opportunità di creare un futuro migliore. Chi abita in quel luogo, non vive mai lo stesso giorno due volte, perché sa che è sempre possibile migliorare qualcosa”.
E tra i tanti messaggi che ha lasciato, uno dei più forti è la celebre frase: “Chi comando è solo”.
Sembra leggere il suo testamento.