scritto da Nino Maiorino - 28 Luglio 2024 06:56

Il suicidio assistito ancora non è un diritto

Sono anni che si dibatte sul fine vita e sulla facoltà per i cittadini di decidere

di accedere all’eutanasia se le condizioni di sopravvivenza dovessero divenire

insopportabili.

Anche noi ne abbiamo più volte parlato, in occasione di convegni organizzati

dall’Associazione Luca Coscioni, ultimo a Salerno qualche anno addietro.

Ormai tutti sono a conoscenza dei calvari sofferti dai

“pionieri”, come li ha definiti Beppino, il papà di Eluana

Englaro che, a nostra memoria, è stata la prima vittima di

questa tragedia, essendo sopravvissuta in condizioni

vegetative per ben 17 anni, dal gennaio 1992, giorno dell’incidente stradale,

al febbraio 2009, quando vennero finalmente interrotti i trattamenti che la

tenevano in vita.

La famiglia penò 17 anni, tra polemiche e lentezze delle istituzioni,

della politica e della burocrazia.

Più “fortunato” (chiediamo scusa per l’eufemismo) fu il DJ

Fabo, Fabiano Antoniani, diventato tetraplegico a seguito

di un incidente automobilistico; con la collaborazione dell’Associazione Luca Coscioni,

si recò in Svizzera per porre fine alla sua esistenza, accompagnato da Marco Cappato

che poi si autodenunciò per costringere politica e istituzioni a farsi carico della

problematica, come anche la Corte Costituzionale aveva prescritto, purtroppo inutilmente.

Ora la Corte Costituzionale è stata nuovamente chiamata ad esaminare la

complessa problematica, e, anche prendendo a riferimento le precedenti pronunce,

ha ribadito che non c’è alcun diritto al suicidio assistito.

Ma questa volta ha allargato le maglie, nel senso di fare qualche apertura, in attesa che la politica

Svolga, finalmente, il proprio ruolo.

Alla Corte si domandava se non fosse irragionevole consentire l’assunzione di un farmaco

letale ai soli pazienti tenuti in vita da un trattamento di sostegno vitale e non a quelli che,

seppure nelle identiche condizioni di sofferenza intollerabile, non sono sottoposti a

presìdi sanitari invasivi.

La Consulta ha spiegato che nella vicenda del suicidio assistito ci troviamo davanti a

una eccezione e non ad una regola.

La regola è la tutela della vita, l’eccezione è la sua interruzione.

Essendo dunque un’eccezione, la Corte non ritiene che si realizzi una disparità di trattamento

nel caso sottoposto alla sua attenzione.

Nella decisione, la Corte compie però anche un passo ulteriore e prende posizione su cosa debba intendersi per trattamenti di “sostegno vitale” necessario «ad assicurare l’espletamento di funzioni vitali del paziente, al punto che la loro omissione o interruzione determinerebbe prevedibilmente la morte del paziente in un breve lasso di tempo.

Qui di seguito riportiamo il commento del giurista e bioeticista Alberto Gambino

e l’intera vicenda ricapitolata da Francesco Ognibene.

Alberto Gambino è Avvocato cassazionista civilista e titolare dell’omonimo studio legale.

Professore ordinario di Diritto Privato e Prorettore Vicario presso la Università degli Studi Europei di Roma, Commissario della ECRI (Eurfopean Commmission against Racism) del Consiglio d’Europa, componente del Comitato Nazionale di Bioetica, ha una miriade di

incarichi in Italia e all’estero, tra i quali quello di Presidente dell’Associazione “Scienza & Vita”.

A febbraio del 2022 sull’ Osservatore Romano, scriveva: “Un testo normativo, che legittimi la compartecipazione al suicidio di un essere umano, non lascia spazio ad alcuna approvazione. Né, di per sé, lo si può considerare ineluttabile in ragione dell’invito a legiferare della Consulta”.

“La vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata”, ribadisce

Gambino, prendendo a prestito le parole usate anche oggi da Papa Francesco.

A sua volta Francesco Ognibene, Caporedattore Centrale del quotidiano Avvenire, Organo di stampa di ispirazione cattolica, riepiloga la problematica scrivendo quanto segue.

“Di una legge sul fine vita si parla da quando, nell’autunno del 2016, iniziò la discussione alla Camera del disegno di legge sulle «Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento», provvedimento approvato il 20 aprile di quest’anno dopo un tormentato iter e tra molte perplessità e riserve, dentro e fuori dall’aula.

Al Senato il testo è poi stato oggetto di numerose audizioni in commissione Sanità.

Ma l’impasse politica che ha frenato il percorso verso l’aula.

In attesa che venga fissata la data d’avvio del dibattito in aula, vale la pena riepilogare le criticità e i nodi tuttora irrisolti.

I quesiti che Francesco Ognibene pone sul tappeto sono i seguenti:

1-LA NUTRIZIONE È UNA TERAPIA?

2-QUALUNQUE RICHIESTA?

3-PERCHÉ DISAPPLICARE IL CODICE PENALE?

4-EUTANASIA: SÌ O NO?

5-OBIEZIONE DI COSCIENZA?

6-GLI OSPEDALI?

7- I BIO-REGISTRI?

8-E SE CAMBIO IDEA?

9- SEDAZIONE PROFONDA?

10-DAT (Dichiarazioni Anticipate di Trattamento)?

 

Su ciascuno di questi argomenti si potrebbero scrivere tanto, ma ci limitiamo solo ad elencarli in attesa che le Istituzioni decidano.

 

Classe 1941 – Diploma di Ragioniere e perito commerciale – Dirigente bancario – Appassionato di giornalismo fin dall’adolescenza, ha scritto per diverse testate locali, prima per il “Risorgimento Nocerino” fondato da Giovanni Zoppi, dove scrive ancora oggi, sia pure saltuariamente, e “Il Monitore” di Nocera Inferiore. Trasferitosi a Cava dopo il terremoto del 1980, ha collaborato per anni con “Il Castello” fondato dall’avv. Apicella, con “Confronto” fondato da Pasquale Petrillo e, da anni, con “Ulisse online”.

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