“Una noia, ma affascinante. Bravo Nanni Moretti” ci eravamo limitato a scrivere appena usciti dalla sala cinematografica,
Ma un articolo contenente solo quattro parole non è opportuno pubblicarlo, e allora abbiamo deciso di raccogliere le idee e inquadrare meglio quest’opera affascinante di Nanni Moretti, non facile da commentare.
Qualcuno l’ha definita una commedia drammatica, noi optiamo per la definizione di film drammatico, anche perché di commedia c’è poco, e sono drammatici gli avvenimenti dai quali esso prende l’avvio, cioè l’invasione di Budapest del 1956.
Prima di tutto perché i tempi storici, e scenici, sono numerosi, spaziando da oggi a oltre settant’anni fa, sintetizzando gli avvenimenti, visti dalla sinistra, di episodi che partono dall’inizio degli anni ’50 del secolo scorso, vale a dire gli anni del dopoguerra e dell’avvio della ricostruzione di un’Italia devastata dalla guerra, ma con radicate ideologie, che spaziavano dalla estrema destra (una buona parte della popolazione ancora legata alla Monarchia, al Re, e al fascismo, che quel reame aveva prodotto) alla estrema sinistra, spesso identificata nelle truppe partigiane più determinate a non andare tanto per il sottile e risolvere con le armi le residue contrapposizioni ancora latenti.
Ma, per la sinistra, il faro, quello che costituiva la speranza di un futuro auspicato migliore, era il “Sole dell’avvenire” rappresentato dalla Russia, sole nel quale si aveva una fiducia cieca, e che mai avrebbe fatto immaginare che da quel paese potesse partire la invasione di un altro paese pure di sinistra, che però aveva aneliti di percorsi di crescita più veloci e meno condizionati.
L’invasione dell’Ungheria fu un trauma insanabile, rappresentato dalla incredulità di quel microcosmo del quartiere periferico romano, quello del Quarticciolo, nel quale, in una zona appena ricostruita nel primo dopoguerra, ad alta concentrazione di operai e casalinghe, tutti di salda fede comunista, piomba la notizia della invasione della Polonia i cui aneliti di una diversa libertà vennero bloccati con le cannonate dei carri-armati con la stella rossa, come oggi sono stati bloccati, in Ucraina, dai blindati con la “Z”.
Ma quella invasione, allora fu vissuta in maniera ancora più devastante, e ben lo rappresenta lo sconcerto dell’incredulo Ennio, segretario del PC del quartiere, interpretato da un superbo Silvio Orlando (ma nel film di Moretti tutti gli attori sono eccezionali), costretto dagli avvenimenti a ricredersi sulla precedente granitica fede, contro le direttive dei vertici del partito, rappresentati da Palmiro Togliatti che non aveva alcuna intenzione di condannare la Russia per quella invasione; e Ennio si trova a coagulare intorno alla sua sezione i fermenti di tutte le altre, fino a diventare il portabandiera della protesta cercando di convincere anche i vertici del partito a prendere le distanze da quanto accaduto, in maniera da attestare la vittoria della maturità dei comunisti italiani contro le mire russe. (1)
Non c’è chi non veda, in quegli eventi, le tante analogie con quello che è avvenuto in Ucraina, con la sola differenza che oggi si combatte da oltre un anno, mentre allora le operazioni belliche durarono solo pochi giorni.
E già questo è un primo elemento di riflessione, ma le due storie, analoghe da un certo punto di vista, si discostano per i tempi cambiati; il trauma che oggi il mondo ha vissuto quando l’esercito russo ha invaso l’Ucraina, è certamente non paragonabile a quello dell’invasione dell’Ungheria del 1956, in quanto nessuno avrebbe potuto immaginare, allora, che truppe di un paese amico avessero potuto invadere un paese pure considerato amico nel coacervo di una galassia comunista molto più compatta di quella odierna: l’unica cosa che le accomuna sono le cannonate che, ora come allora, producono morti, stragi, devastazione e dolore, ma allora con l’aggiunta di un senso di incredulità da parte di coloro che vedevano, nella potenza russa, il sole dell’avvenire del comunismo, prima, e del socialismo poi.
Quegli avvenimenti provocarono, nei comunisti nostrani, oltre al trauma, anche un gande dibattito, ripreso all’interno del partito, il quale, almeno ufficialmente, non negò mai l’appoggiò a Mosca, nonostante frange di dissenso.
Ci sono voluti decenni per una parziale revisione interna, anche se tutto questo non si evidenzia nel film di Moretti.
Tornando al quale, ci ricolleghiamo alla narrazione sovrapposta delle varie poche storiche, i cui margini sono rappresentati da un lato da Ennio, anni ’50, e dall’altro da Moretti, epoca odierna, attraversando tutti i periodi intermedi.
In verità la tecnica di Moretti non è nuova, qualche altro regista l’ha precedentemente utilizzata (ricordiamo Paolo Virzì nel film “Il capitale umano” del 2013) ma il film di Moretti è l’unica opera, a nostra memoria, nella quale il regista diventa anche protagonista del suo film.
Il film mescola risate e lacrime, gli spettatori rideranno e si commuoveranno, in una girandola di emozioni in cui si alternano stili e registri.
I pochi tempi comici sono perfetti e incisivi, ma sono altrettanto incisivi i tanti passaggi amari di grandissima umanità e che rappresentano una delle opere più personali in assoluto di tutta la carriera di Moretti.
Tra riferimenti felliniani e un sarcasmo che tocca tanti nervi scoperti della società di ieri e di oggi, “Il sol dell’avvenire” è un film sul cinema, ma pure un film sulla vita in generale, capace di ragionare con grande forza su concetti esistenziali che Moretti affronta con coraggio e partecipazione.
Moretti sembra guardare al passato non solo per ricordarne la storia, ma principalmente per comprendere il presente e riflettere sul futuro: potremmo sintetizzare così “Il sol dell’avvenire”.
Come è avvenuto altre volte nella carriera di Moretti, prima della presentazione sulla Croisette di Cannes, i suoi lungometraggi vengono distribuiti in sala in Italia e non fa eccezione questa pellicola ricca di spunti e tematiche che faranno felici i fan di Moretti.
Ragionando malinconicamente sullo scorrere del tempo, Moretti firma un film nel quale il suo personaggio è un Michele Apicella (nome che si è attribuito in diversi film precedenti) notevolmente invecchiato, che però riaffronta tutti i temi a lui cari, come la politica (sulla quale impernia il racconto), il rapporto di coppia (la crisi tra lui e la moglie Paola, sceneggiatrice del film, interpretata da Margherita Buy,) soffermandosi sulla psicoterapia e, naturalmente, sul cinema, concedendosi anche di lanciare una frecciatina a Netflix, la piattaforma di streaming più famosa degli ultimi tempi.
Tra i tanti episodi, lascia riflettere quello iniziale (anni ’50) del giovane militante comunista il quale, convinto che i veri comunisti fossero solo in Russia, stentava a credere che ci fossero anche da noi, e battibeccava con Nando sulla questione.
Ed è anche per questi aspetti particolari che il film ti scuote e ti emoziona, ti fa pensare e ti rimane dentro.
- La rivoluzione ungherese del 1956, nota anche come insurrezione ungherese, o semplicemente rivolta ungherese, fu una sollevazione armata, di spirito antisovietico, divampata nell’allora Ungheria socialista, che durò dal 23 ottobre al 10-11 novembre 1956. Dapprima contrastata dall’ÁVH (la polizia segreta ungherese), fu duramente repressa dall’intervento armato delle truppe sovietiche del maresciallo Ivan Stepanovič Konev. Morirono circa 2.700 ungheresi di entrambi gli schieramenti, ovvero pro e contro la rivoluzione, e 720 soldati sovietici. I feriti furono molte migliaia e circa 250.000 (circa il 3% della popolazione dell’Ungheria) furono gli ungheresi che lasciarono il proprio Paese per rifugiarsi in Occidente. La rivoluzione portò a una significativa caduta del sostegno alle idee del bolscevismo tra i cittadini delle nazioni del blocco occidentale.