In data 12 novembre scorso su questo giornale ho commentato la vittoria del democratico Joe Biden sull’uscente Presidente Donald Trump, evidenziando la lentezza per la proclamazione del vincitore e del suo ingresso alla Casa Bianca, riservandomi di esaminarne i motivi.
E nonostante sia oramai incontrovertibilmente accertata la vittoria di Joe Biden, Donald Trump sembra proprio non voler sgomberare, e proliferano le barzellette e le allegre immagini dello sgombero forzato dell’incomodo personaggio.
Dagli ultimi risultati Biden risulta essersi assegnato i voti di 306 “grandi elettori”, una categoria di elettori a noi sconosciuta, sui 538 totali, per cui Trump ha guadagnato il consenso degli altri 232; la vittoria viene assegnata con un minimo di 270 voti, pari al 50% più uno.
Per capire il motivo per il quale è tanto difficile giungere in tempi rapidi, come avviene in tutte le democrazie, al risultato definitivo anche negli USA, occorre addentrarsi nell’inestricabile labirinto del sistema elettorale statunitense, specialmente per noi che siamo abituati ad un sistema molto più semplice, meno farraginoso e, contemporaneamente, molto più affidabile.
Ma prima di addentrarci nell’aggrovigliato sistema statunitense, penso che esso non sia comparabile con il sistema elettorale di un paese, ma nemmeno con quello di una Comunità come l’Unione Europea in quanto, diversamente dagli Usa, l’U.E. non ha un Presidente con i pieni poteri come quello Usa.
In USA il Presidente ha poteri smisurati: oltre ad essere a capo del governo federale ed essere il comandante supremo delle forze armate e capo della diplomazia, può anche bloccare leggi federali emanate dal Congresso, a meno che una legge non sia stata approvata con larga maggioranza. Paragonando quel potere con la nostra Costituzione, il nostro Presidente della Repubblica ha poteri molto limitati; può evitare la promulgazione di una legge se ravvisa elementi di dubbia costituzionalità o mancanza di copertura finanziaria, rinviandola con un messaggio al Parlamento; ma se il Parlamento la conferma, il nostro Presidente è obbligato a promulgarla (artt. 73, 74 e 87 della Costituzione).
Nel 1845 il Congresso stabilì che l’ “Election-Day – Giorno delle elezioni” è fissato il primo martedì di novembre quattro anni dopo l’ultima elezione. La scelta della giornata del martedì ha una sua giustificazione, perché è legata alle radici agricole del paese: a novembre il raccolto è concluso, le strade degli Stati più freddi non sono ancora bloccate dalla neve, la scelta del martedì deriva dal fatto che la domenica è dedicata al culto religioso (e gli americani sono molto ligi alla partecipazione ai riti), e il lunedì poteva essere difficoltoso, all’epoca, raggiungere i centri dove si votava, considerate le distanze e i mezzi di locomozione di allora, piuttosto lenti.
Si tenga conto che gli Usa hanno una superficie di 9.834.000-kmq: rispetto all’Italia, che è grande 301.338-kmq, i 50 stati americani sono in tutto circa 32,7 volte più grandi, con una popolazione complessiva di circa 319.milioni di abitanti (in Italia siamo poco più di 60.milioni, con una densità media di 200 abitanti per Kmq, contro i 34 abitanti per Kmq degli Usa).
Il confronto con l’U.E. ridimensiona, in parte, le cose: la superficie dei 28 paesi membri è di 4.233.000.Kmq, la popolazione à di 446.800.000 milioni circa, la densità media è di 105 abitanti per Kmq.
Tornando all’oggetto di questo articolo è opportuno precisare che negli Usa, come recita l’articolo 2 della Costituzione federale, “nessuno che non sia cittadino per nascita… è eleggibile all’ufficio di Presidente; né è eleggibile a tale ufficio chi non abbia compiuto l’età di 35 anni e non sia residente da 14 anni negli Stati Uniti”.
Dal 1971 l’età per votare è ridotta a 18 anni, precedentemente era di 21 anni. Ma chi vuole andare a votare deve preventivamente registrarsi, questo sta a significare che non solo votare non è obbligatorio, ma ad ogni votazione l’elettore è obbligato preventivamente alla registrazione.
Ma l’ ”Election-Day” sembra una finzione in quanto le votazioni non avvengono in quella giornata, ma in un periodo di tempo molto più ampio che tiene conto anche della distanza tra i vari Stati e lo Stato di Washington, dove ha sede la Casa Bianca; per questo motivo le votazioni iniziano prima, molte vengono fatte per corrispondenza, su schede che poi dovranno essere spedite all’organismo che raccoglie tutte le schede ed effettua lo spoglio, e non sempre le date dei recapiti coincidono.
Il “Collegio Elettorale” statunitense si basa sul principio che l’elettore, esprimendo il suo voto, in realtà non vota il candidato, ma una serie di “Grandi elettori” i quali sono quelli che eleggeranno effettivamente il Presidente in un secondo momento. Quindi la elezione del presidente degli Stati Uniti è indiretta.
I “Grandi elettori” vengono eletti nei singoli stati in numero proporzionale alla popolazione, somma dei Deputati e Senatori che rappresentano quello Stato al Congresso; il Congresso degli Stati Uniti, paragonabile al nostro Parlamento, è l’organo legislativo del governo federale e ha sede nel Campidoglio, a Washington; si compone di due camere, il Senato e la Camera dei Rappresentanti.
Nella quasi totalità degli Stati la votazione per eleggere il Presidente si svolge con il sistema maggioritario secco (anche uno scarto minimo di voti fa vincere) fatta eccezione per gli Stati del Nebraska e del Maine, nei quali si vota col sistema proporzionale.
Un “Grande elettore” è libero, però, di tradire il voto popolare e votare, poi, per un candidato diverso da quello originariamente scelto, ma questa eventualità si è verificata raramente.
E’ chiaro, quindi, che con questo meccanismo elettivo, gravato dai milioni di voti che vengono espressi a distanza e le cui schede dovranno poi giungere a Washington, e tutte le operazioni di spoglio, negli Usa tutto è molto più lento che da noi; e a questo si aggiunge la particolarità che la proclamazione ufficiale del vincitore avviene da parte di una “Autority” chiamata “General Service Administration”, istituita nel Harry Truman nel 1949, la quale deve organizzare il passaggio; al suo vertice vi è una creatura di Trump, la 46enne Emily Murphy, la quale ora si trova tra due fuochi: da una parte il Presidente uscente che non vuole uscire e ancora grida a brogli, corruzione ed elezioni rubate; dall’altro, un gruppo di legali ai quali Joe Biden ha già dato incarico di attivarsi qualora la transizione venisse eccessivamente rallentata.
E giacché questo “transito”, come viene chiamato, è particolarmente difficile, è prevedibile che il definitivo ingresso di Joe Biden alla Casa Bianca avvenga a distanza di mesi; frattanto Trump gode ancora dei pieni poteri, fa ancora il bello e cattivo tempo, e dovremo ancora sopportarlo.
La conclusione è che, pure se è credenza comune che quella statunitense sia una grande democrazia, alla luce di quanto abbiamo detto, sembra che a questo paese, anche nella fase elettiva, qualche pecca non manchi.