Era il 16 ottobre 1943 (78 anni fa) quando una retata riscrisse, per sempre, la storia del Ghetto ebraico capitolino. A realizzarla furono le truppe tedesche della Gestapo con la collaborazione dei funzionari del regime fascista. Iniziata un’ora prima dell’alba, portò alla deportazione di oltre mille persone. Solo 16 si salvarono e tornarono dai campi di concentramento. A distanza di 78 anni l’antisemitismo è ancora un problema, come dimostra anche il rinnovato impegno dell’Ue perché sia estirpato.
Una ferita ancora aperta nel cuore di Roma, le cui cicatrici hanno scritto la storia di una città. La memoria è negli occhi di chi ha visto, nei parenti delle vittime, nelle targhe ben visibili nelle strade e nelle pietre d’inciampo che lì, come altrove, ricordano le persone portate via con la forza, solo perché ebree. Il 16 ottobre non è dunque una data come tante, ma un giorno nel quale riecheggiano le urla disperate di uomini, donne, anziani e bambini presi nelle loro case, svegliati di soprassalto.
Il rastrellamento ebbe inizio alle 5 del mattino, i protagonisti di quel viaggio erano per quasi il 99% ebrei, e il loro sarebbe stato un viaggio di sola andata: si salvarono, come detto, in 16, di cui una sola donna. I deportati furono in tutto 1023.
Piero Terracina, sopravvissuto ad Auschwitz, in una intervista rilasciata nel 2019 a Vaticano-News, ricordava: “Prima che il sole sorgesse le truppe tedesche della Gestapo, in collaborazione con esponenti del regime fascista, diedero inizio al rastrellamento del Ghetto ebraico. Quel 16 ottobre era un sabato, il giorno più importante per la comunità ebraica, quello del riposo, in cui alle prime ore del mattino è più facile trovare le persone a casa. Dimore dove vivevano famiglie composte da anziani e bambini, spesso sotto lo stesso tetto. Padri di famiglia, mogli, nonni. La furia nazista non fece distinzioni, il rastrellamento colpì interamente ogni nucleo familiare.” Qualcuno riuscì a fuggire, come la mia famiglia, salvata da una telefonata che ci informava di quello che stava accadendo”.
“Di quella giornata del 16 ottobre ricordo tutto. Mio padre mi aveva detto: ‘Fammi il piacere oggi è sabato, c’è la distribuzione delle sigarette dal tabaccaio. Vai a metterti in coda’. Quando a un certo punto vidi arrivare mio padre molto prima, con passo svelto, che mi disse: ‘Piero, vieni via! Vieni via!’. Stavano rastrellando tutti gli ebrei dalla città”.
Le liste di persone erano infatti pronte da tempo, per stilarle fu preziosa la collaborazione del regime fascista. Un piano atroce, che poi prevedeva la partenza immediata per i campi di concentramento nazisti. A Roma quei giorni pioveva. Due giorni dopo, il 18 ottobre, alle 14.05, diciotto vagoni piombati partirono dalla stazione Tiburtina. Impiegarono quasi una settimana per arrivare in Polonia, al lager di Auschwitz. Appena arrivati il calvario si avviava alla fine: divisi in file, spogliati, costretti a dare l’addio in un secondo ai propri cari e poi, quasi per tutti, la morte.
“Il mio nome era un numero, che porto sempre sull’avambraccio. Ci schedarono, completamente nudi”, raccontava Terracina.
Con la morte, tre anni fa, di Lello Di Segni è scomparso anche l’ultimo sopravvissuto al rastrellamento.
L’unica donna delle 16 persone che riuscirono a tornare a Roma, è stata Settimia Spizzichino -è stata anche per diverso tempo a Cava, che le ha dedicato una strada- morta nel 2000 all’età di 79 anni e, fino all’ultimo dei suoi giorni, ha ricordato con grande lucidità il male subito. I pochissimi sopravvissuti alla deportazione dopo il rastrellamento avevano varie età: il più giovane a rientrare fu il sedicenne Enzo Camerino. Fu un rientro non certo facile, visto che era stato l’unico della sua famiglia a salvarsi. Emigrato dopo qualche anno in Canada, per decenni non parlò dell’orrore visto nei campi di concentramento. Si recò ad Auschwitz solo nel 2004, all’età di 76 anni.
Il 16 ottobre 2013, nel settantesimo anniversario del rastrellamento, Camerino partecipò alla Messa celebrata da Papa Francesco. Un incontro che “L’Osservatore Romano”, definì “significativo”, con il Papa che pochi giorni prima aveva ribadito, in un discorso pronunciato ad una delegazione della Comunità ebraica romana, l’importanza di combattere l’antisemitismo.
Quell’anniversario, dunque, per Papa Francesco sarebbe stato anche l’occasione per non considerare la questione solo come appartenente al passato: “Sarà anche l’occasione per mantenere sempre vigile la nostra attenzione affinché non riprendano vita, sotto nessun pretesto, forme di intolleranza e di antisemitismo, a Roma e nel resto del mondo. L’ho detto altre volte e mi piace ripeterlo adesso: è una contraddizione che un cristiano sia antisemita. Un po’ le sue radici sono ebree. Un cristiano non può essere antisemita! L’antisemitismo sia bandito dal cuore e dalla vita di ogni uomo e di ogni donna!” ribadì Papa Francesco.
Ma il Pontefice più volte è intervenuto sul problema dell’antisemitismo, oggi ugualmente attuale, come le cronache quotidiane dimostrano.
“Commemorare l’olocausto è necessario -ha detto Papa Francesco qualche anno fa- perché del passato resti una memoria viva. Senza una memoria viva non ci sarà futuro perché, se non impariamo dalle pagine più nere della storia a non ricadere nei medesimi errori, la dignità umana rimarrà lettera morta… . Un cristiano non può essere antisemita. Le nostre radici sono comuni. Sarebbe una contraddizione della fede e della vita. Insieme siamo invece chiamati a impegnarci perché l’antisemitismo sia bandito dalla comunità umana”.
Più di recente, il 27 gennaio 2021, in occasione del Giorno della Memoria, al termine dell’Udienza generale il Papa ha lanciato un forte monito per il tempo presente: “Ricordare è anche stare attenti perché queste cose possono succedere un’altra volta, incominciando da proposte ideologiche che vogliono salvare un popolo e finiscono per distruggere un popolo e l’umanità. State attenti a come è incominciata questa strada di morte, di sterminio, di brutalità”.
Il 4 ottobre 2019, l’Unione Europea ha presentato un piano contro l’antisemitismo. Si tratta di una storica prima volta, visto che mai prima d’ora l’Ue era intervenuta in modo così esplicito e formale per arginare e debellare l’antisemitismo.
Nel piano si prevedono 24 milioni di euro per la protezione degli spazi pubblici e di quelli per i fedeli. Numerosi gli obiettivi che vanno, ad esempio, dalla tutela dei cimiteri ebraici in Europa alla creazione di un polo di ricerca europeo, e all’istituzione di una rete di giovani ambasciatori europei incaricati di promuovere la memoria dell’Olocausto. Eredi di quelli che sono stati i racconti dei testimoni diretti.
L’iniziativa è stata presentata da Margaritis Schinas, Vicepresidente della Commissione con delega allo Stile di vita europeo. “Non voglio più vedere Sinagoghe in Europa sorvegliate dalla polizia. L’antisemitismo non è un problema degli ebrei ma degli antisemiti. L’antisemitismo è incompatibile con tutto ciò che rappresenta l’Unione europea. Prendiamo l’impegno -ha aggiunto- di combatterlo in tutte le occasioni. Vogliamo che la vita ebraica torni a prosperare nel cuore delle nostre comunità perché l’Europa può prosperare soltanto se le comunità ebraiche si sentono sicure”.
Il 13 ottobre 2021, in Svezia si è poi svolto il Forum Internazionale di Malmo sulla memoria della Shoah. Un appuntamento sostenuto dai massimi vertici dell’Unione Europea “perché il continente affronti ancora oggi la piaga dell’antisemitismo, in aumento anche sui social media”.
“L’antisemitismo è in aumento in tutta Europa, combatterlo è più urgente che mai”. Le parole di Ursula von der Leyen sono nette, indicano una strada da percorrere perché in futuro non si ripeta quanto è accaduto tante, troppe volte.
“Il 40% degli ebrei -ha detto ancora nel suo intervento a Malmo la Presidente della Commissione europea- afferma di nascondere simboli che potrebbero identificarli, per paura di essere aggrediti fisicamente. Abbiamo assistito agli attacchi terroristici di Parigi, Bruxelles, Copenaghen, quasi fino al giorno d’oggi. Accolgo allora con favore l’obiettivo di questo Forum: sradicare l’antisemitismo”.
Ursula von der Leyen ha poi ribadito la intenzione di creare una rete di giovani ambasciatori europei per la memoria dell’Olocausto. Tra gli interventi al Forum in Svezia, anche quello del presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel. “L’Olocausto ci ha insegnato che il silenzio è il primo passo per l’accettazione. Non dobbiamo mai tacere. Il silenzio è complicità -ha sottolineato- non è un dramma solo per gli ebrei, ma per tutta l’Europa che deve essere fondata sulla tolleranza e sulla solidarietà”.