scritto da Mariano Avagliano - 28 Giugno 2019 17:50

Il racconto di un Foglio Bianco

Di fronte a un foglio bianco si avverte una sensazione. Sempre la stessa. Quella di cominciare tutto da zero. Una nuova storia, un nuovo percorso, un nuovo, appunto, inizio. Ecco perché, tutti poi, alla fine, rimangono spaventati, almeno all’inizio, da un foglio bianco.

Permangono storie inespresse e irrealizzate, rimpianti, percorsi interrotti non si sa ancora bene per chi e per cosa.

Il foglio bianco è quello che ci troviamo davanti ogni giorno. Quando ci svegliamo e proviamo a fare ordine in quello che abbiamo fatto il giorno prima, in quello che dobbiamo fare, e, soprattutto, in quello che, alla fine, ci manca.

Sto foglio, insomma, è una costante vera e propria che ci accompagna e racconta poi come siamo. Sono i momenti lasciati a sé stessi e, per fortuna, non ancora pianificati, in attesa di realizzazione. Spontanea o intenzionale che sia.

Ma nel frastuono di questi tempi tra Capitane, Capitani e Navi alla ricerca di un porto in cui attraccare, il foglio bianco non sempre viene capito.

Anzi, siccome nella maggior parte dei casi, come succede con le stanze e gli spazi vuoti, non pieni e silenti, si genera il panico per chi, potendo fare tutto, non sa cosa fare.

Se alla fine hai un foglio bianco vuol dire che puoi, veramente, fare qualsiasi cosa. Ci puoi dipingere, scrivere, lo puoi accartocciare e bruciare. Insomma, qualsiasi cosa.

Ma ciò che vince, senza che manco ce ne rendiamo conto, è la Paura del vuoto e quindi, andando, il foglio bianco finisce per esser riempito di scarabocchi e cose futili che pure, se non servono, occorrono a “riempire lo spazio del vuoto”. A fare burdell e frastuono nel silenzio. Annientando, insomma, la sensazione dirompente di non avere un programma da seguire.

Viviamo, in sostanza, così, giorno per giorno.

Siamo talmente abituati, di corpo e di spirito, a vivere con un programma, un menabò del “dove dobbiamo andare” che di un Foglio Bianco non ne abbiamo più bisogno, non ne capiamo il senso.

Nell’Era dell’Iperconnessione non è raro, anzi, trovarsi di fronte all’affermazione, nostra o di chiunque incontriamo, “non ho tempo”, “non riesco a ritagliarmi del tempo”, “non riesco a fare quello che vorrei”. Come se fossimo in una continua lotta contro il tempo, sta grandezza tiranna e beffarda.

Ma come dicono i miei amici, che sono del Sud come me, le cose sono sempre, alla fine, semplici. Più di quello che uno poi può pensare.

“Non avere tempo” è una delle più belle e droganti illusioni che ci regaliamo ogni giorno. Perché poi, aldilà di urgenze reali e forze di causa maggiore, il tempo è una grandezza che dipende dalla velocità con cui decidiamo di vivere le cose. Belle o brutte che siano.

E molte volte, “non riuscire a ritagliarselo”, il tempo, significa, forse, volontariamente riempire spazi vuoti, fogli bianchi, senza un disegno preciso, scribacchiare su pizzini di cui, concretamente non sappiamo cosa fare. Perché ci metterebbero, forse, di fronte a uno specchio. Ed è quello che, pure nell’era del selfie che non serve se non per essere per gli altri, non vogliamo fare perché ci da fastidio, ci disturba. O semplicemente, diciamocela pure, ci spaventa.

Ecco perchè, a volte, di fronte a chi dice di non aver tempo, ci troviamo leggermente, senza che ce ne rendiamo conto, quasi divertiti. Nei giorni della Grande Trasformazione che viviamo, in cui tutto sembra essere il contrario di tutto, si rende necessario provare a fare un passo in più.

Ci serve, forse, uno schema nuovo, in sintesi, per fare un tentativo di lettura più profonda.

E le cose come detto possono essere a volte molto semplici. Per “avere tempo” magari si può provare a “voler avere tempo”. Non significa scartabellare e mandare all’aria tutti i piani e i programmi di ciascuno. Ma semplicemente, vederla in modo differente: le cose non programmate, gli spazi vuoti, i fogli bianchi, i momenti di silenzio sono necessari. Sono pezzi fondamentali di cui abbiamo bisogno per poter vedere tutto quello che abbiamo attorno. Le scelte, le strade che possiamo scegliere di percorrere senza lasciare che a scegliere, come succede, possa essere il Caso o qualcun altro che poi dobbiamo inseguire. Col fiato corto.

I fogli bianchi, alla fine, siamo semplicemente noi.

In tutto e per tutto.

Ha iniziato a scrivere poesie da adolescente, come per gioco con cui leggere, attraverso lenti differenti, il mondo che scorre. Ha studiato Scienze Politiche all’Università LUISS di Roma e dopo diverse esperienze professionali in Italie e all’estero (Stati Uniti, Marocco, Armenia), vive a Roma e lavora per ItaliaCamp, realtà impegnata nella promozione delle migliori esperienze di innovazione esistenti nel Paese, di cui è tra i fondatori. Appassionato di filosofia, autore di articoli e post, ha pubblicato le raccolte di poesie “Brivido Pensoso” (Edizioni Ripostes, 2003), “Esperienze di Vuoto” (AKEA Edizioni, 2017).

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