“Il Profeta” di Khalil Gibran e Nietzsche: la risposta alla spiritualità è nel nichilismo
Considerazioni sul fenomeno dell’abulia dello spirito attraverso gli spunti offerti da “Il profeta” di Khalil Gibran e le teorie concernenti il nichilismo passivo di Nietzsche
Nella coscienza d’esser vivi la vita stessa non basta, il semplice comprendere ed avvertire sensibilmente quanto avviene non è sufficiente a motivare il perché di queste facoltà.
Esser vivi per chi comprende d’esserlo sprona a chiedersi il perché di tale esistenza, là dove esser uomini è anche vivere per analogia la stessa teleologia che mettiamo nelle cose nell’ampiezza dell’universo.
Tutto ha un fine nel nostro agire, tutto ha un fine naturale nel prosieguo della sua esistenza, qual è allora il fine della realtà nel suo senso lato? Certo, non ogni essere dotato di raziocinio attanaglia la sua mente con queste estenuanti domande, ma passivamente ciascuno tenta di rispondersi ancor prima di interrogarsi, conscio che senza questa conoscenza il sonno richiederebbe molto più tempo del dovuto a sovvenirci che la giornata è ormai terminata. Postulando che ognuno di noi ha necessariamente fede in un qualcosa, poiché tutto giunti alla sua radice ha bisogno d’un postulato, i più rispondono a questa domanda con il sentirsi parte, seppur effimera, d’un ben più ampio disegno divino, tornando così alle proprie mansioni con maggiore leggerezza.
Ma per quanto ogni risposta sia valida ed ognuno sia libero di decidere per sé il suo fine, come si può davvero esser certi che tale scelta non sia frutto d’una noverazione fatta senza i giusti calcoli e, soprattutto, ad una domanda così privata è davvero sensato che la risposta sia comune a tutti?
Il Profeta
“The Prophet”, di Khalil Gibran, è una raccolta di poesie scritte in prosa, accomunate da uno stesso filo conduttore che segue man mano differenti tematiche. Un po’ come un dialogo Socratico il testo prosegue tra domande e risposte, cambiando l’interlocutore ma mai colui che risponde, Il Profeta per l’appunto, il quale è solito rispondere servendosi di metafore ed analogie.
Inserito in un contesto di religiosità che potremmo definire “laica”, i temi principali dello scritto sono quelli più profondi dello spirito e della mente, e del loro rapporto con la natura. Ora, tralasciando la meravigliosa prosa del libro, interessiamoci non tanto alla sua struttura, bensì all’effetto che questo tipo di testo può avere su chi lo legge, tenendo bene a mente che la verità, più che una Dea onnisciente e lontana dalla sfera comune dei mortali, è una ninfa fugace che vive nei boschi delle menti d’ognuno, a noi comune per essenza e non esistenza.
Il falso mito della risposta comune e profetica che sia valida per ognuno attraverso un libro è assai vicina a quel curioso alimento che farà perdere la bellezza di sette kg in soli sette giorni, nella quale spesso ci imbattiamo durante la nostra navigazione sui vari web, e così come quest’inserto solitamente raccomanda di nascondere tali pratiche ai dottori, furiosi di tale scoperta, sarebbe necessario fare lo stesso per questi libri con i maestri di spirito ed i filosofi.
Ma quanto appena scritto di tali trattazioni è ben lontano dall’essere una loro critica, trovandosi molto più vicino a criticare chi li legge con un fine d’apprendere e non di riflettere.
Il nichilismo passivo
Prima di poter dibattere della sua variante Nietzschiana, riportiamo velocemente alla mente che cos’è il “Nichilismo”. Il nichilismo è una corrente di pensiero “rinunciataria”, la quale prevede che una volta compresa la non finalità dell’esistenza il sentimento di disperazione conseguente porti alla consapevolezza dell’inutilità delle leggi, delle istituzioni e dei valori, se la vita non ha un senso nient’altro può averlo.
In Nietzsche tali considerazioni sono solo una prima fase del percorso che porta poi alla variante “attiva” di tale pensiero, quella che potremmo definire d’azione, possibile soltanto una volta che i falsi miti della storia siano stati svelati per quello che sono.
Associando tali formazioni di pensiero ad una attività passiva della nostra mente, queste due fasi potrebbero coincidere prima con la domanda di cui trattavamo all’inizio, e poi con la sua risposta.
Il problema che ci porta al verso senso di questa trattazione è la loro “inversione” elucubrativa, ovvero l’intenderne la fase passiva come unica fase predominante, intendere quello che dovrebbe essere uno sblocco verso la verità come verità stessa.
Aletheia è intrinseca, non estrinseca
A chi legge Siddharta, Il Profeta, Così parlò Zarathustra e via discorrendo dev’esser ben chiara una cosa, non c’è possibilità d’avere vere risposte, ma solo ulteriori e giustissime domande.
La compiacenza che si può trovare dietro presunte e ben trattate verità è forte, e a tale forza si può comodamente soggiogare il proprio istinto di farsi in prima persona fautori della propria verità, procrastinando o addirittura delegare ad altri la formazione d’un senso che sia proprio e conforme alla nostra essenza.
Tutta questa fretta, questa necessità, questa efferata ricerca d’un senso ci porta spesso a dare per vera qualsiasi cosa che sembri possibile, a identificarci in un qualcosa pur di poter attingere della sua finalità, non tenendo conto d’una fondamentale realtà: la spiritualità non è una domanda che richiede risposta.
Ognuno nella sua libertà interiore ha il diritto e la possibilità di trovare un senso al suo agire, un qualcosa di ultimo che non vanifichi quanto fatto prima del termine della nostra carriera di viventi, ma per rispettare tale diritto è davvero necessario rispettarlo.
Come posso io cercare fuori di me un qualcosa che è dentro di me? Perché mai il senso della mia esistenza dovrebbe essere, per quanto bene esse siano scritte, nelle pagine d’una realtà non m’appartiene?
Che la fretta domini tutte le questioni figlie del tempo, ma che mai pretenda di addentrarsi in quelle domande che il tempo non lo percepiscono, che la ricerca verso la propria spiritualità non sia un percorso comune reperibile in libreria, ma un viaggio individuale che si serve sì della lettura, ma solo per poter meglio comprendere meglio il cammino, e non terminarlo.