Il giorno 6 gennaio di quest’anno è stato quello dei “gatti grassi”.
Confessiamo che non conoscevamo questa locuzione, e dalla stampa economica abbiamo appreso cosa vuol dire.
Non si tratta di una festività dedicata agli amici a quattro zampe ma dell’emblema delle disparità salariali.
La nascita di questa «celebrazione» è britannica, i CEO delle società del Ftse 100, il principale indice della Borsa di Londra, hanno anticipato i loro omologhi italiani.
Nel linguaggio specialistico si parla del “Fat cat day – giornata del gatto grasso”, riferito a coloro che sono in condizione apicale presso una grande società o una grande struttura finanziaria o produttiva che consente di accrescere smisuratamente i loro compensi, raggiungendo risultati centinaia di volte superiori a quelli di un normale dipendente, il cui stipendio annuale si aggira, se va bene, sui 30 – 40 mila euro o dollari.
La stampa specializzata ha calcolato che i “CEO – Chief Executive Officer – in italiano Amministratore Delegato o Amministratore unico” delle più grandi società quotate alla Borsa di Milano in soli 6 giorni hanno guadagnato 30 mila euro, la paga annuale media di un dipendente italiano.
Questa data segna infatti il raggiungimento da parte degli amministratori delegati delle società quotate di Piazza Affari dello stipendio medio annuo di un lavoratore italiano.
Dall’altra parte sappiamo come queste figure imprenditoriali possono arrivare a più di 2 milioni di euro di guadagno annuale.
Insomma la maggior parte dei cittadini raggiunge quota 30 mila euro con le sue entrate nel giro di 12 mesi, i CEO delle più grandi società quotate alla Borsa di Milano ci mettono solo 6 giorni, lo scorso anno avevano impiegato 7 giorni, quindi hanno migliorato.
Come viene calcolato questo dato?
A calcolare questo ‘evento’ è l’Osservatorio di JobPricing, che effettua un costante monitoraggio e raccolta dati, per lo studio del mercato del lavoro e delle dinamiche retributive in Italia.
Il parametro di riferimento è la busta paga del tipico dipendente del settore privato e il panel di riferimento sono le 210 aziende quotate a Piazza Affari.
Si escludono dal range però quelle con ragione sociale estera ma anche quelle in fase di liquidazione.
I dati di riferimento sono retribuzioni al netto dei compensi in equity (derivanti da investimenti nella società che dirigono), e sono tratti dai file resi pubblici entro il mese di giugno (quest’anno si riferiscono quindi a giugno 2021).
Per essere considerati soggetti d’indagine i CEO devono aver ricoperto questa carica per almeno 4 mesi nel corso dell’anno precedente, e sono esclusi coloro che sommano anche la carica di presidente.
Dalle rilevazioni effettuate per l’Italia si ottiene una media degli stipendi dei manager pari a 2 milioni e 20 mila euro, più di 5.500 euro al giorno.
L’aumento rispetto allo anno scorso è incredibile: la media calcolata sul 2020 era intorno a 1,62 milioni di euro: il balzo in avanti è del 37%, un dato che in realtà non stupisce troppo viste le quotazioni aziendali dello scorso anno.
In pratica uno di questi super-manager italiani guadagna oltre 7.mila volte più di un normale dipendente.
Con i nuovi report scopriamo che i manager delle Top 100 società britanniche hanno accumulato una paga media di 3,41 milioni di sterline, il 39% in più dell’anno precedente.
Ricordandoci sempre della comparazione con il dipendente medio parliamo di un multiplo di 103 volte o, nel caso di Frederic Vecchioli di Safestore, di uno multiplo pari a 656 volte l’entrata dei suoi dipendenti.
Diversa potrebbe essere, tuttavia, la stima del prossimo anno visto che il 2022 è stato molto più nero per le Borse, e quindi, di riflesso, per le aziende.
Una cosa è certa: in tempi d’inflazione e crisi, fa veramente scalpore parlare di numeri come questi.