Giuseppina Ghersi, la feroce follia della guerra e dell’odio politico
Nel fare le ricerche per il mio precedente articolo su Claretta Petacci mi sono imbattuto causalmente in una storia che mi ha profondamente scosso e commosso.
E’ la storia di una adolescente tredicenne, Giuseppina Ghersi, piccola vittima delle follie di una guerra, il secondo conflitto mondiale, che di tali storie ha riempito volumi e volumi; ma sembra che ciò che è stato scritto sia solo una parte incompleta di orrori a volte inenarrabili, come, appunto, quello dello spietato trattamento riservato a questa poco più che bambina.
Tutti conoscono, per averla vista in un celebre film tratto dall’ omonimo romanzo di Alberto Moravia, “La Ciociara” di Vittorio De Sica, interpretato da una superba Sofia Loren, che per quel film vinse anche l’Oscar: la storia della adolescente Rosetta la quale, nel fuggire da Roma per rifugiarsi in un paese della Ciociaria, venne intercettata da un gruppo di soldati marocchini, al seguito dell’esercito alleato, i quali violentarono mamma e figlia.
Ma, contrariamente alla storia raccontata da Moravia, la quale si conclude fortunatamente senza la morte delle due protagoniste, che, anzi, pure nel ricordo delle brutalità subite, trovano la forza per andare avanti, quella della piccola Giuseppina Ghersi è non solo di una ferocia inaudita, ma si conclude con la morte della piccola, ad opera di un gruppo di partigiani che avevano sospettato un suo coinvolgimento nelle attività di lotta contro di loro da parte delle milizie fasciste.
Aveva solo 13 anni ed era poco più di una bambina quando, la mattina del 25 aprile 1945 Giuseppina Ghersi venne sequestrata da tre partigiani in Viale Dante Alighieri e condotta nei locali della Scuola Media Guido Bono a Legno, dove i sequestratori le tagliarono i capelli e le cosparsero la testa di vernice rossa.
Venne pestata a sangue e seviziata per giorni, sotto lo sguardo impietrito dei poveri genitori, pure loro imprigionati e, il 30 aprile, giustiziata dai suoi aguzzini con un colpo di pistola alla nuca e il suo corpo gettato, insieme ad altri, davanti al cimitero di Zinola, in provincia di Savona.
Di quale delitto si era macchiata questa bambina?
Come studentessa iscritta al primo anno della Scuola Magistrale Rossello, aveva svolto con merito un concorso a tema, e per questo aveva avuto un premio direttamente da Benito Mussolini.
Questo avvenimento aveva indotto i suoi sequestratori e aguzzini ad arguire che la bimba fosse una collaborazionista, e a nulla valsero le giustificazioni dei genitori i quali, commercianti al dettaglio di prodotti ortofrutticoli, non erano nemmeno iscritti al partito; la sete di sangue e di vendetta aveva accecato i tre sequestratori i quali non vollero sentire ragioni e infierirono sulla povera bimba con violenza e ferocia ingiustificata.
Dalla ricostruzione degli eventi leggiamo, infatti, che nel pomeriggio del 27 aprile 1945 madre e figlia vennero malmenate e stuprate mentre il padre, bloccato da cinque uomini, fu costretto ad assistere al macabro spettacolo e percosso dal calcio di un fucile su schiena e testa.
Tanta ferocia e tortura è per sapere dal padre della bimba dove fossero nascosto altro denaro e oggetti preziosi: gli aguzzini non erano paghi di quello che avevano già sottratto in precedenza alla famiglia. E a nulla valsero le assicurazioni che null’altro la famiglia possedeva; continuarono le sevizie alla povera Giuseppina la quale probabilmente cadde in stato comatoso perché, come riferisce l’esposto al Procuratore, “non aveva più la forza di chiamare suo papà”.
Il cadavere della bimba, scaricato dinanzi al cimitero di Zinola, venne notato per alcuni agghiaccianti particolari: erano terribili le condizioni in cui l’ avevano ridotta, evidentemente avevano infierito in maniera brutale su di lei, senza riuscire a cancellare la sua giovane eta’.
Una mano pietosa aveva steso su di lei una sudicia coperta grigia che parzialmente la ricopriva dal collo alle ginocchia. La guerra aveva costretto e abituato a vedere tanti cadaveri, e la morte concede ai morti una distesa serenità; ma a quella sconosciuta ragazza no, in quanto l’orrore e la sofferenza erano rimasti sul suo volto, ridotto ad una maschera di sangue, con un occhio bluastro e tumefatto e l’ altro spalancato; la testimonianza di chi scoprì il cadavere fu di orrore alla vista di quella povera disarticolata marionetta, con un braccio irrigidito verso l’ alto, come a proteggere la fronte, mentre un dito spezzato era piegato verso il dorso della mano.
Per quel delitto, e per chi sa quanti altri, nessuno venne punito in quanto, nonostante le denunzie presentate subito dopo dai genitori di Giuseppina, i quali frattanto subirono ruberie e violenze dai partigiani locali, e vennero addirittura costretti a scappare dal loro paese, non fu fatta mai una indagine seria per identificare ufficialmente gli assassini, coperti anche dall’Anpi che, per decenni, ha sempre gettato acqua sul fuoco e fumo sui tanti episodi di violenza gratuita non giustificata né da azioni di guerra o guerriglia, né da azioni terroristiche nei confronti di un nemico che certamente non poteva essere una tredicenne.
E ciò è tuttora oggetto di meraviglia in quanto autorevoli esponenti dell’Anpi sono successivamente divenute figure rappresentative del nostro paese ed hanno anche rivestito cariche istituzionali importanti: perché non hanno mai preso decise posizioni contro crimini che, pure se commessi in un periodo caotico e denso di odio, non possono trovare giammai giustificazione.