Il Tribunale Penale Internazionale dell’Aia il 9 giugno scorso ha messo la parola fine sul genocidio di Srebrenica, avvenuto nell’estate del 1995 ad opera delle truppe della Serbia, nei confronti della minoranza Musulmana chiusa nell’enclave della città, confermando l’ergastolo per il Generale Ratko Mladic, esecutore materiale della strage, definito “il boia di Srebrenica”, già condannato a tale pena dai precedenti Tribunali per genocidio e crimine contro l’umanità.
Il conflitto in Slovenia, che segnò la disgregazione della Federazione Jugoslava, era iniziato nel 1993, la strage di Srebrenica avvenne due anni più tardi.
Contro tali condanne il Generale Mladic aveva fatto ricorso al Tribunale dell’Aia, il quale ha rigettato il ricorso confermando le condanne precedenti.
Il Generale Mladic era stato arrestato nel dopo 15 anni di fuga dalla giustizia internazionale, ma pure se fu il responsabile materiale del massacro, certamente non era il solo in quanto aveva avuto l’ok dal Presidente del serbo Michael Evstafiev Radovan Karadzic, il quale già nel 2019 era stato condannato all’ergastolo per i medesimi crimini dallo stesso Tribunale dell’Aia. Era stato condannato per gli stessi crimini anche l’ex Presidente Slobodan Milosevic, morto durante il processo.
Ma corresponsabili degli stessi crimini furono anche altri personaggi che, nel dissolvimento della ex Jugoslavia, emersero con lo scopo di assicurarsi il controllo o la supremazia su altri stati più deboli e non in grado di arginare le truppe serbe che fecero il bello e il cattivo tempo in quel drammatico periodo storico.
Infatti l’esercito serbo fu il più determinato a scacciare o sterminare le popolazioni di origine diversa, ed è questo uno dei motivi principali che diedero avvio allo sterminio dei Musulmani, iniziando proprio da Srebrenica.
Fu una carneficina, vennero coinvolte circa 8.mila persone, tutti uomini dai 12 ai 77 anni, che vennero assassinati e seppelliti in fosse comuni: è stato definito il peggior genocidio sul suolo europeo dalla fine della Seconda Guerra mondiale, una vera pulizia etnica.
Attualmente ne sono stati recuperati e identificati meno di 7 mila, ma le ricerche di altre fosse comuni continuano, pure se ostacolate da alcuni personaggi politici nazionalisti e negazionisti.
Inoltre circa 20.mila donne, anziani e bambini furono deportati e moltissimi furono gli stupri e le violenze, e di molti di essi non v’è traccia.
Il verdetto definitivo è arrivato 26 anni dopo la presentazione delle accuse.
Nella guerra in Ex-Jugoslavia tra il 1992 e il ’95 ci furono circa 100 mila morti (quasi lo stesso numero dei civili morti in Italia durante la seconda guerra mondiale) e altri 2,2 milioni di persone furono costrette a lasciare le loro case, e i verdetti di condanna sono stati influenzati anche da questo, nonostante i difensori dei condannati abbiano fatto del tutto per attenuare le loro responsabilità.
Josep Borrell, Alto rappresentante dell’UE per la Politica estera, e Oliver Varhelyi, Commissario UE per la Politica di vicinato, hanno dichiarato che “La sentenza pone fine a un processo chiave nella storia recente dell’Europa per crimini di guerra, compreso il genocidio avvenuto in Bosnia-Erzegovina”.
Il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, si è detto “sollevato dal verdetto, trionfo della giustizia”.
E anche iI Presidente Usa, Joe Biden, ha elogiato la “storica condanna che rafforza la nostra risoluzione condivisa a evitare future atrocità in ogni parte del mondo”.
Quindi tutti d’accordo i big mondiali.
L’11 luglio del 1995, la Guerra in Bosnia durava già da tre anni e da due Srebrenica, enclave serba in territorio bosniaco, era stata definita “area di sicurezza” ed era controllata dalla Forza di protezione delle Nazioni unite, in particolare, dai “Caschi blu” olandesi.
Doveva essere il sicuro approdo dei civili in fuga dai combattimenti tra il governo bosniaco e le forze separatiste serbe. Oltre ai quasi 40 mila residenti, vi erano ospitati 20 mila profughi di religione musulmana, e la “protezione” internazionale era rappresentata da qualche centinaio di Caschi Blu olandesi dell’Onu, che furono facilmente isolati dalle truppe dell’esercito serbo.
È però controversa la ricostruzione del ruolo dei Caschi Blu che controllavano l’area; non erano tanto numerosi da potersi opporre all’esercito serbo, ma sembra che non si siano nemmeno attivati per chiedere rinforzi o almeno segnalare ciò che stava succedendo.
Qualcuno ha tentato di giustificarli sostenendo che il mancato loro interessamento derivava dalla ambiguità delle risoluzioni Onu votate fino a quel momento che non davano alla Forza di protezione i mezzi per agire: ma quel contingente è stato successivamente giudicato come “corresponsabile” del massacro da un tribunale olandese.
Ma se la giustizia internazionale ha ufficialmente definito quanto successo a Srebrenica 25 anni fa come un “genocidio”, in Bosnia e in Serbia sono ancora molti a negare quanto accaduto: lo stesso sindaco serbo di Srebrenica, Mladen Grujicic, ha detto che “tutti i giorni ci sono nuove prove che negano l’attuale rappresentazione di quanto accaduto. È una storia imposta e prima o poi cadrà. Nessun serbo e la maggior parte dei bosniaci che vivono qui credono nella farsa dell’Aia. I bosniaci che dicono che non c’è stato genocidio vengono persino dichiarati pazzi”.
E questo si comprende perché Grujičić è un nazionalista serbo e negazionista di quel genocidio; ma purtroppo la verità è ormai acclarata, e nessuno potrà più negarla.
Gli ha risposto Charles Michel, Presidente del Consiglio Europeo, il quale ha sostenuto che solo quando tutti i leader riconosceranno i crimini commessi contro il popolo, esso potrà guarire ed essere unito e tutti debbono essere vigili e sfidare l’odio e l’intolleranza non solo in Europa.
Utopia? Se un clima del genere ancora si respira in molti Stati americani e in tanti altri nel mondo, sembra proprio di sì.
Ma dobbiamo sempre sperare che si ponga finalmente fine alle discriminazioni di altri, per il colore della pelle, per la diversa religione, per usi e costumi differenti, come purtroppo avviene ancora troppo spesso anche nel nostro paese, fomentato da politici a tutti ormai noti.