scritto da Mariano Avagliano - 09 Luglio 2020 12:47

Elogio della Lentezza

I tre mesi di pandemia, mentre fuori il morbo infuriava e non c’era niente di cui essere allegri, da un’altra parte ci ha fatto riscoprire il valore del tempo. Quello personale, cosiddetto “libero”.

Un termine quasi del tutto scomparso da quando, non si sa bene da quando, complice il Vuoto di senso da colmare, la dimensione privata e quella professionale hanno perso ogni confine e distinzione.

Un tempo era più facile: si tornava da casa, si chiudeva la porta alle spalle e il lavoro lo si vedeva il giorno dopo.

La pandemia, o meglio il periodo che forzatamente abbiamo dovuto passare dentro casa, ci dato una consapevolezza più forte del valore del Tempo e del valore, dimenticato, della lentezza concepita non – erroneamente – come “immobilità” bensì come quel calmo e pacato atteggiamento con cui ci si prende, appunto, il tempo di riflettere su di una vicenda. Non per rimanere immobili, ben inteso, ma appunto per arrivare a una pensata conclusione.

A distanza di un mese dalla fine del lock-down, sembra che questa consapevolezza sia stata messa in “stand by”. È tornata la smania di correre in lungo e in largo. Va bene pure senza destinazione abbast ca c muvimm.

Ecco allora che il messaggio della lentezza – e del valore del tempo – conserva un sapore tutto particolare, ancora, quasi del tutto rivoluzionario e controcorrente.

In un mondo che è tornato a correre, a volte senza motivo né destino, il vero anticonf, semmai ne esistano ancora, è colui che va lento e che riesce, nonostante tutto, a sapersi ritagliare i suoi spazi e tempi.

Laddove la lentezza, ripetendo, non è immobilismo e nemmeno staticità ma, tutt’altro: è un incedere pensato passo dopo passo senza fermarsi nella consapevolezza che se vai lento riesci a vedere per tempo gli ostacoli e a evitarli.

Questa riflessione prende il via in una notte d’estate quando guidare a filo di gas, soprattutto per una città Bella e Fatale come è di questi tempi Roma – praticamente deserta – ha un sapore particolare, autentico e romantico. È una delle poche occasioni in cui si guida semplicemente per guidare senza voler andare da nessun’altra parte se non stando lì, a guidare.

E pure, in queste notti succede, che ci sta Quello che proprio non ce la fa e che, se pure stai andando per la tua strada, nella tua corsia, ti supera strombazzante.

La vera rivoluzione sta qui e i mesi di quarantena ce l’hanno insegnato bene: la cultura del tempo e la lentezza sono un vero antidoto alla frenesia e allo strepito con cui pur di riempire il Vuoto ci impegniamo in qualsiasi cosa. Per poi ritrovarci, dopo poco, ancora più vuoti e privi di senso.

La pandemia, o meglio il periodo di lock-down e il confronto con lo pseudo ritorno alla normalità ci consegnano un nuovo schema di valore per la nostra vita quotidiana con una semplice domanda: la nostra vita esiste oltre la dimensione professionale? Oppure ne è un’appendice, frettolosa e approssimativa?

Ha iniziato a scrivere poesie da adolescente, come per gioco con cui leggere, attraverso lenti differenti, il mondo che scorre. Ha studiato Scienze Politiche all’Università LUISS di Roma e dopo diverse esperienze professionali in Italie e all’estero (Stati Uniti, Marocco, Armenia), vive a Roma e lavora per ItaliaCamp, realtà impegnata nella promozione delle migliori esperienze di innovazione esistenti nel Paese, di cui è tra i fondatori. Appassionato di filosofia, autore di articoli e post, ha pubblicato le raccolte di poesie “Brivido Pensoso” (Edizioni Ripostes, 2003), “Esperienze di Vuoto” (AKEA Edizioni, 2017).

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