E’ finita la commedia, o la farsa, delle elezioni del Presidente degli Stati Uniti, che ci hanno tenuto incollati ai media per diverse settimane.
Alla fine l’ha avuta vinta il democratico Joe Biden, e Trump, finalmente, ce lo siamo levato di torno, speriamo definitivamente, anche se non si sa quando e come lascerà la White House.
Infatti, il “transito”, come viene chiamato, è particolarmente difficile, ed è aggravato anche da un organismo, denominato “General Service Administration”, istituito nel Harry Truman nel 1949, che deve organizzare il passaggio, al vertice del quale vi è una creatura di Trump, la 46enne Emily Murphy, la quale ora si trova tra due fuochi: da una parte il Presidente uscente che non vuole uscire e grida a brogli, corruzione ed elezioni rubate; dall’altro, un gruppo di legali ai quali Joe Biden ha già dato incarico di attivarsi qualora la transizione venisse eccessivamente rallentata.
C’è anche da precisare che dai due schieramenti, sia quello repubblicano, sia quello democratico, sembra che numerose siano le opinioni che di brogli eclatanti non ce ne siano stati, per cui gli stessi repubblicani sembra stiano premendo su Trump di accettare la sconfitta e prepararsi per le prossime elezioni tra quattro anni: farebbe così un bel gesto e riscatterebbe, in parte, tutte le trascorse “boutade”.
Frattanto la Murphy sembra non abbia nessuna voglia di accelerare i tempi e che intenda aspettare l’esito delle azioni legali che Trump ha minacciato.
Questo significa che di Donald Trump si continuerà a parlare nei prossimi mesi, sia perché la sconfitta proprio non gli è andata giù, e certamente farà fuoco e fiamme per invalidare la vittoria del suo avversario, sia perché la legge americana prevede che non sia immediato il trasferimento alla Casa Bianca del nuovo eletto proprio per la “General Service Administration”, per cui il passaggio tra il Presidente uscente e quello eletto potrebbe avvenire anche tra mesi; e in tale periodo Trump ha ancora la funzione di Presidente con tutti i poteri e, in virtù di ciò, sta intervenendo anche sugli staff che lo hanno affiancato durante il suo mandato, e si sta togliendo qualche ulteriore sassolino dalle scarpe.
Infatti, ha appena licenziato il capo del Pentagono, il Ministro della Difesa Mark Esper, colpevole di non aver schierato l’esercito in strada per reprimere le proteste antirazziste a seguito dell’assassinio di George Floyd; e lo ha fatto a modo suo, con un messaggio su Twitter, e sembra in procinto di farlo anche con il Direttore della CIA e dell’FBI.
Frattanto, però, Biden si è proclamato nuovo Presidente ed ha salutano il paese con un bel messaggio, preceduto però da una consueta banalità, la frase “sarò il Presidente di tutti gli Americani”: nulla di nuovo nemmeno sotto il sole degli USA, che, nonostante sia un grande paese, non si sottrae a luoghi comuni fritti e rifritti; vorrei vedere qualche Presidente che esordisse dicendo “ringrazio i miei elettori soltanto dei quali sarà il Presidente”, sarebbe originale, anche se rischierebbe di essere cacciato subito dopo.
Nell’universo trumpiano sembra che il primo effetto della sconfitta ci sia già stato; la moglie Melania sembra che l’abbia sopportato pure troppo e ora vuole abbandonarlo; non l’ha fatto prima perché anche negli Usa c’è il concetto di “noblesse oblige”, nel senso che “la nobiltà fa obbligo”, pure se basata solo sulle ricchezze e il prestigio del potere.
Una “nobiltà” che vieppiù andrebbe rispettata quando autentica, specialmente nelle democrazie più datate, che in qualche caso la ignorano. Infatti proprio in una delle democrazie più antiche,vale a dire quella del Regno Unito, Monarchia parlamentare costitutiva, non sono stati pochi i casi che hanno visto i regnanti fare i propri comodi, infischiandosene della “noblesse oblige”, come il Principe di Galles Carlo il quale divorziò da Lady Diana per inseguire il sogno della vita, l’ attuale consorte Camilla, per la serie “dove c’è gusto non c’è perdenza”.
Da questo punto di vista Melania è stata più ligia ai doveri di consorte di Trump, ed è un suo merito perché con quell’ingombrante marito certamente non è stato facile non mandarlo prima a quel paese, pure se non ha mai mostrato tanto attaccamento, almeno formalmente: ora sembra che stia sul punto di farlo.
Con Joe Biden certamente alla Casa Bianca entra una persona normale, tranquilla, riflessiva, che pondera le sua decisioni, inclusiva per carattere e non per potere; d’altronde, la pregressa esperienza maturata come Vice di Barack Obama gli è di grande aiuto in quanto negli Usa il Vice Presidente è colui che immediatamente subentra nel caso in cui il Presidente fosse impedito.
C’è però da dire che, per le aspettative di defenestrare Trump, ci si attendeva che il risultato fosse un tantino più consistente; purtroppo così non è stato e qualche commentatore piuttosto malevole ha detto che Biden più che una vittoria ha riportato una mezza sconfitta. Ma pure questo va bene in quanto Biden appare come una persona normale, come deve essere il Presidente di uno dei più importanti paesi di questa terra e che gode di un potere sconfinato.
E questo fa ben sperare, anche perché non erano più sopportabili le intemperanze e le megalomanie trumpiane, che facevano anche temere un gesto inconsulto da un momento all’altro, com’è accaduto qualche anno fa nel corso delle scaramucce, fortunatamente soltanto verbali, tra Trump e il Dittatore della Corea del Nord Kim Jong.un, altra persona da trattare con le pinze, il quale spesso minacciava di scatenare un attacco contro gli Usa.
Trump, senza pensarci due volte, gli rispose “Il leader della Corea del Nord Kim Jong-un ha dichiarato che il pulsante per il nucleare è sempre sulla sua scrivania. Qualcuno del suo regime impoverito e affamato lo informi che ho anche io un pulsante per il nucleare, e che è molto più grande e potente del suo, e in più il mio pulsante funziona!”
Non va dimenticato, infatti, che il Presidente Usa è il “commander-in-chief”, cioè capo supremo delle forze armate degli Stati Uniti e può disporre di tutto l’arsenale nucleare e conoscere i piani relativi a un’eventuale guerra atomica. Egli, infatti, è l’unico in grado di autorizzare l’impiego delle testate nucleari: il consenso viene fornito attraverso l’attivazione di speciali codici in suo possesso conservati in una valigetta di pelle nera, che lo segue ovunque, chiamata “Football”, altra stravaganza statunitense: da noi il termine sta a significare il gioco del calcio, ma la traduzione letterale è “palla al piede”, e a ben vedere quella valigetta è proprio una palla al piede del Presidente.
In conclusione la sconfitta di Trump ci ha liberato da un incubo, ed è tranquillizzante sapere che al suo posto c’è Biden.
E tutta un’altra figura è anche la consorte del nuovo Presidente, la nuova First Lady Jill Tracy Biden, nata ad Hammonton il 3 giugno 1951, insegnante e scrittrice; anche lei appare come una donna normale, dà l’impressione della buona moglie e madre di famiglia, con il suo sorriso e l’attaccamento alla sua professione di insegnante universitaria. Tutt’altro che algida come l’altra, ispira simpatia a prima vista, come simpatia ispira il marito, e ha già dichiarato che, nonostante gli impegni che comporta l’essere moglie del Presidente, continuerà a insegnare, che ripristinerà il roseto esistente nel giardino della Casa Bianca prima di Trump, smantellato da Melania, e che cambierà tutti i tendaggi dello Studio Ovale, ora molto sfarzosi come lo stile dell’ex Presidente, per riportarli alla sobrietà preesistente.
Qualche approfondimento è da fare sulla complessità del sistema elettorale americano, che comporta le lentezze che mai come questa volta hanno tenuto tutti col fiato sospeso, e la complessità dello spoglio delle schede; ma è un discorso troppo lungo per farlo qui, per questo motivo mi riservo di trattarlo a parte, evidenziando le differenze con quello italiano.