Nella sua celebre canzone del 2006 “Io non mi sento italiano”, Giorgio Gaber canta “Io non mi sento italiano ma per fortuna o purtroppo lo sono…”.
Una canzone ironica e amara, che è opportuno riascoltare cliccando sul link https://www.youtube.com/watch?v=5aWYkwV-pn0; ne vale la pena specialmente in questo momento.
Ci sono tanti motivi per essere orgogliosi di questo nostro paese, ma ce ne sono tantissimi, purtroppo, per vergognarsene.
In questa brevissima carrellata di avvenimenti che hanno caratterizzato le ultime giornate del mese, ormai alla fine, cercheremo di evidenziarli.
Il pizzo di Stato
È stranamente passata quasi sotto silenzio, almeno sui “social”, ma non è che la carta stampa abbia fatto meglio, la notizia che il Consiglio dei Ministri, il 23 scorso, ha emanato un Decreto legge, già pubblicato nella G.U., il quale prevede che i migranti richiedenti asilo, ospitati nei “CPR – Centri di Permanenza per i Rimpatri”, paghino circa 5.mila euro (4.938 per la precisione, non si capisce perché non 5.mila) per non rimanere segregati 4 settimane nei predetti centri in attesa che si decida se rimandarli nei loro paesi, se gli accordi con gli stessi lo prevedono.
È il caso di annotare che, secondo il rapporto delle Nazioni Unite sulla popolazione mondiale al 2005, aggiornato ad agosto 2023, il nostro paese si colloca al nono posto in Europa per numero di immigrati rispetto alla popolazione; al primo posto è la Spagna (13,9%), seguono la Svezia (12,3%), la Germania (11,9%), il Regno Unito (10,2%), l’Olanda (10,00%), la Francia (8,9%), la Grecia (8,6%); l’Italia è al nono posto con l’8,3%.
Quindi dovremmo smetterla una volta per tutte di fare i piagnoni, di accusare Domineddio di tutte le difficoltà che riteniamo di vivere, siamo i primi per numero di sbarchi perché non abbiamo frontiere controllabili, ma gli ultimi per accoglienza, e le maggiori difficoltà per la gestione dei flussi dipendono principalmente dalla nostra disorganizzazione, o dal nostro atavico senso di approssimazione, confermato continuamente dal proliferare di leggi e leggine varate ad ogni minima difficoltà come toppe per riparare le bucature dei pneumatici della nostra inefficienza.
Torniamo alla “cauzione”, noi preferiamo chiamarla “tangente”, per consentire ai disgraziati di essere liberi di tentare di espatriare dall’Italia verso altri paesi europei, cosa che la maggior parte di essi auspica: in tal modo essi, liberi dal vincolo che li obbligherebbe a restare segregati all’interno dei CPR, potranno tranquillamente tentare l’illegale espatrio verso altri paesi europei.
E il nostro stato incamererà la “cauzione” versata, lucrando pure sulla fame e la disperazione dei miserabili.
Se tutto ciò non lo vogliamo chiamare vergognoso non sappiamo come definirlo.
Lo spread della Meloni
Concludiamo questa breve panoramica con un commento sui travagli della politica, e quindi della Premier Giorgia Meloni, alle prese con il problema dei migranti, ma anche con quelli economici che rendono problematica la definizione della legge di bilancio, ma pure dagli altri tanti impegni che la costringono a diventare una improvvisata domatrice, con la frusta ben forte in mano per domare la sua squadra, tenere a bada il suo vice Salvini che non ha perso la speranza di farla fuori e pone quotidiani inciampi sul cammino del governo, e cercare di inquadrare la pletora di familiari, parenti e amici tutti coinvolti nella sua amministrazione (qualcuno, scherzando ma non troppo, ha ipotizzato che tra breve il suo partito cambierà denominano in “FSd’I – Fratelli e Sorelle d’Italia”).
Ma proprio mentre buttiamo giù questo pezzo, la stampa specializzata ha scritto che, paradossalmente, lo spread è forse il migliore alleato della Meloni, perché non cala ma sale, si proprio così, sale invece di scendere.
Tutti sanno che questo indice confronta i rendimenti tra i nostri BTp decennali e i Bund tedeschi.
Tale indice, che la scorsa settimana era tra 178 e 180, si avvia verso quota 200, il che sta a significare che i mercati danno segni di nervosismo.
E giacché i mercati non sono altro che gli investitori, per i loro timori chiedono una remunerazione maggiore, legata al rischio paese.
Il che, secondo gli esperti, è un fatto positivo per il futuro del Governo Meloni perché spegne le aspettative velleitarie degli alleati di governo; ogni punto di aumento dello spread si traduce in interessi maggiori da pagare agli investitori, e quindi minori risorse per finanziare la manovra.
E quindi la Meloni frena e gela i facili entusiasmi, come se dicesse ai suoi alleati: “State bboni, tiriamo la cinghia e annamo avanti”.