scritto da Nino Maiorino - 04 Settembre 2023 07:06

Divagazione di inizio autunno

Dalla foto al dipingere o pittare…

Caro Direttore,

consentimi, una volta tanto, di fare una divagazione legata all’ultimo mio articolo, pubblicato da Ulisse domenica 3 settembre, dal titolo “Le nuove vernici che ci faranno risparmiare energia elettrica”, (https://www.ulisseonline.it/controluce/le-nuove-vernici-che-ci-faranno-risparmiare-energia-elettrica/), che parla di colori, vernici, decorazioni colorate, e, per analogia, di dipingere e pittare (nel senso di imbiancare), che mi riporta al ricordo del mio passato, e a molti decenni addietro.

Tu sai che ancora oggi mi diletto a fare fotografie, ma mi sono adeguato ai tempi e al digitale, mettendo a riposo le mie macchine fotografiche a rullino, gelosamente custodite, che a volte penso di vendere, ovviamente a condizioni adeguate, condizioni che finora non ho trovato.

E le orfane apparecchiature giacciono da anni inutilizzate: la versatilità del digitale le ha purtroppo messe in disparte, anche perché, pure volendo usarle, non si trovano più i rullini, e se si trovano “cari costano”.

Ma sessant’anni fa, anche di più, non c’erano alternative, il fotografo, pure dilettante, poteva solo usare le macchine fotografiche dell’epoca, ed io, giovincello, riuscii ad acquistare una “Eura” della Ferrania, formato 6×6, una scatoletta di plastica che incominciò a darmi le prime soddisfazioni.

Ovviamente dovevo anche approfondire le tecniche per fotografare, ed ebbi la fortuna di conoscere Nicola, titolare di uno studio fotografico a Nocera Inferiore (ma era originario di una nota famiglia di fotografi di Cava) il quale mi prese a benvolere.

Era un omone alto e grosso, aveva il suo studio in fondo al cortile di un fabbricato, ben visibile dalla strada, ma per maggiore visibilità aveva fittato anche un localuccio proprio a lato del portone, quasi sempre illuminato ma chiuso; quando era aperto all’interno c’era la moglie, una donna bionda, bella e gentile, che sembrava stonare con la ruvidezza del marito, sempre pronto a rimbeccare chicchessia ed a “mettere i puntini sulle i”.

In verità Nicola con me è sempre stato gentile, e la sua amicizia mi ha giovato molto, e non solo dal punto di vista fotografico.

All’epoca fare una fotografia sembrava una cosa semplice: compri la macchina, scegli il soggetto o il paesaggio, scatti e alla fine estrai il rullino, lo porti dal fotografo e poi vai a ritirare le fotografie stampate.

Ma se non conosci cosa c’è nell’intervallo rimarrai sempre un dilettante sprovveduto, specialmente quando, dopo aver acquistato una macchina più sofisticata, non hai appreso le sottigliezze, le tecniche, i trucchi delle riprese, che sono le cose che alla fine ti danno le maggiori soddisfazioni.

Foto di una camera oscura

Nicola mi insegnò non solo questo, ma anche tutte le diavolerie della “camera oscura”, l’ambiente sempre illuminato di luce rossa, la quale evitava che i rullini estratti dalle macchine venissero danneggiati, cosa che capitava se l’operazione veniva fatta alla luce naturale.

Foto della mitica macchina da studio Linhof

All’epoca, c’erano anche macchine fotografiche da studio, che non usavano i rullini, bensì le “lastre” fotografiche, cioè supporti fotosensibili grandi quanto la macchina, le quali seguivano lo stesso percorso di sviluppo e stampa dei diffusissimi rullini.

Le lastre e i rullini, estratti cautamente nelle camere oscure, dovevano essere poi sviluppatei in negativo con appositi processi chimici, e poi dovevano asciugarsi.

La tecnica di sviluppo e stampa nella camera oscura ha preso poi il nome di “processo digitale”.

Chi ama la fotografia dovrebbe, o avrebbe dovuto, almeno una volta nella vita cimentarsi con la stampa delle fotografie in camera oscura, quasi sempre una specie di ripostiglio, rigorosamente illuminato dalla luce rossa, nel quale si conserva la carta stampata, i vari acidi per il processo di sviluppo, arresto e fissaggio, tre bacinelle, delle pinzette, un timer, un focometro (apparecchio che consente di mettere a fuoco il negativo su carta); è una esperienza interessante.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Foto di un negativo fotografico b/n

All’epoca non esisteva ancora la fotografia a colori, subentrata successivamente, ma i fotografi di paese probabilmente non potevano permettersi di sostenere la spesa di una camera oscura per il colore, motivo per il quale c’erano grandi laboratori nelle città importanti ai quali i fotografi locali inviavano i rullini e le lastre.

Cosa avviene nella camera oscura.

1 – La luce rossa è indispensabile per poter lavorare nella camera oscura.

2 – Si colloca il foglio di carta sensibile sul piano dell’ingranditore, si regola il diaframma e si controlla la messa a fuoco con il focometro.

3 – Una volta avviata l’esposizione, si può mascherare la luce che arriva dal proiettore sulle zone più chiare dell’inquadratura, anche usando le mani.

4 – Può essere anche necessario fare delle bruciature prolungando il tempo di esposizione nelle zone scure. Oggi con il programma Photoshop l’effetto sulle foto digitali si ottiene con i software “Scherma e brucia”.

5 – Impostato il timer,  si espone la carta nella bacinella di sviluppo, che va mossa affinché il rivelatore (composto chimico che consente di fissare sulla carta chimica l’immagine) agisca con più efficacia.

6 – Una volta sviluppato,  si mette il foglio di carta nella bacinella del bagno di arresto, fatto di una soluzione di acido acetico: attenzione agli acidi.

7 – Si scuote la bacinella: anche nel bagno di arresto, è utile muovere la bacinella per rinnovare continuamente l’azione dell’acido sulla carta.

8 – Il fissaggio: l’ultimo passaggio è quello nella vaschetta del fissaggio, che renderà duratura l’azione degli agenti chimici e fisserà in modo permanente la foto.

9 – Fissata sulla carta l’immagine, il processo di stampa è completato: adesso è possibile accendere la luce per esaminare il risultato del lavoro.

Processo lungo e difficile, dunque, che comporta anche qualche rischio per la salute a causa degli acidi che si utilizzano, che la fotografia digitale ha soppresso, tant’è che oggi le macchine fotografiche di quell’epoca sono quasi scomparse, come sono scomparsi i rullini e le lastre, che solo uno sparuto gruppo di amatori nostalgici usano ancora, superando tante difficoltà per reperirli, a prezzi proibitivi.

Tutto questo io l’ho visto più volte di persona, e quell’esperienza mi è stata molto utile.

Ma Nicola mi insegnò altre cose, ad esempio l’esistenza di una macchina fotografica dalla Leica 24×36 modificata per usi militari.

E’ noto che le macchine fotografiche alimentate con rullini 24×36 hanno un alloggiamento che può contenere solo rullini da 36 foto, che per uso bellico era inadatto.

Infatti non era ipotizzabile andare in missione su aerei per fotografare postazioni nemiche e dover cambiare rullino dopo 36 scatti, per cui la Laica modificò il dorso perché contenesse caricatori da 250 foto.

Con l’armistizio dell’8 settembre 1943 l’esercitò si sbandò, e Nicola tornò a casa con due esemplari di quella Leica, che usò per molti anni ancora.

Avendo lo studio fotografico a Nocera, dove c’era, e ancora c’è, una caserma militare destinata alle reclute, che oggi sono in numero inferiore rispetto agli anni ’50, ’60, in conseguenza della riduzione del numero di reclute derivante dalla diversa organizzazione militare (oggi c’è solo un esercito di specialisti), fu invitato a fotografare la fine dei corsi.

All’epoca le reclute erano centinaia, e al termine dell’addestramento c’era una cerimonia alla quale partecipavano le reclute e le loro famiglie, una Kermesse che ogni tre mesi richiamava centinaia di persone, delle quali solo pochi possedevano macchine fotografiche.

Pertanto il comandante del C.A.R. aveva consentito a due fotografi nocerini di fare le foto, e uno dei due era Nicola il quale utilizzava la Leica militare, che l’altro non possedeva, e quindi era in una situazione di svantaggio più volte denunciata, ed era causa di bisticci tra i due.

Ma l’epilogo di questa trascrizione dei ricordi di gioventù mi ricollega ai colori, alla decorazione e alla pittura, nel senso di imbiancare.

Un giorno Nicola decise di dare una imbiancata al laboratorio, e interpellò un imbianchino il quale, presentatosi, chiese ingenuamente: “Ditemi cosa c’è da ‘dipingere’?”.

Al che l’interpellato rispose serio-serio: “Guagliò qua non c’è niente da dipingere, qua ci sta solo da pittà!”.

Classe 1941 – Diploma di Ragioniere e perito commerciale – Dirigente bancario – Appassionato di giornalismo fin dall’adolescenza, ha scritto per diverse testate locali, prima per il “Risorgimento Nocerino” fondato da Giovanni Zoppi, dove scrive ancora oggi, sia pure saltuariamente, e “Il Monitore” di Nocera Inferiore. Trasferitosi a Cava dopo il terremoto del 1980, ha collaborato per anni con “Il Castello” fondato dall’avv. Apicella, con “Confronto” fondato da Pasquale Petrillo e, da anni, con “Ulisse online”.

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