Difficile fine vita: l’ultima legge
E’ vergognoso giocare così con la vita umana!
Tre casi emblematici avvenuti negli ultimi giorni dovrebbero far vergognare i “nostri” parlamentari di sedere su quegli scranni.
Più volte abbiamo trattato questo argomento, al quale siamo particolarmente sensibili, riconoscendo il valore della problematica che riguarda il fine vita, problema del quale si dibatte da qualche decennio, per il quale finora non era mai stata trovata una soluzione definitiva e accettabile da chi ha a cuore il valore dell’autodeterminazione e della possibilità di decidere sul proprio fine vita.
Argomento che alle persone abili riguarda fino a un certo punto, perché hanno sempre la possibilità di decidere autonomamente di “staccare la spina” qualora la loro vita diventati insopportabile.
Non è così, purtroppo, per chi è affetto da malattia invalidante, ed è impossibilito a muoversi, vedi i casi del DJ Fabo, Welbi, eccetera, o addirittura vive una vita-non-vita, perché versa in uno stato vegetativo, come nel caso di Eluana Englaro.
Solo per l’attivismo dell’Associazione Luca Coscioni e dei suoi responsabili, Marco Cappato e Filomena Gallo, qualcosa negli anni si è mossa, qualche risultato si è ottenuto, come ad esempio, la “D.A.T. – Dichiarazione Anticipata di Trattamento”, introdotta dalla legge in vigore dal 3 gennaio 2018 clicca per leggere l’articolo, grazie alla quale ciascuno di noi, ancora in condizioni fisiche e psichiche efficienti, può decidere, ora per quando avverrà, a quali terapie vuole essere o meno sottoposto; la dichiarazione è pubblica, può essere fatta a titolo totalmente gratuito anche presso l’Ufficio Anagrafe del Comune, alla presenza di un “amministratore”, cioè una persona che dovrà attivarsi, se sarà necessario; la DAT potrà essere sempre modificata o annullata se, ad un certo punto, chi l’ha fatta decide in tal senso: estrema libertà.
Questa legge consente di evitare di ricorrere alla Magistratura per essere autorizzati a porre fine alla propria vita, e trasforma il desiderio di morte anticipata e assistita in un diritto, come è avvenuto nel gennaio 2018 nel caso di Patrizia Cocco, una donna sarda che mise fine alle sue sofferenze, senza ricorrere a sotterfugi o costosi viaggi all’estero.
Una conquista di civiltà che ha finalmente sgomberato il campo dalle ideologie di tanti personaggi politici e non, che per decenni hanno ostacolato un serio e costruttivo discorso sulla necessità, in casi di estrema sofferenza e previa l’espressione di esplicita volontà da parte del paziente, di accompagnare un ammalato verso una “dolce morte”.
Ma i recenti avvenimenti hanno fatto comprendere quanto sia ancora difficile, in questo paese, essere veramente liberi pure non danneggiando gli altri; vedremo in seguito cosa è recentemente accaduto.
Un piccolo passo indietro per ricordare cos’è avvenuto un anno fa con il referendum promosso dall’Associazione Luca Coscioni che, raccogliendo oltre 1.milione e mezzo di firme, contro le 500.mila necessarie, presentò una richiesta di abrogazione di alcune parole dell’art. 580 del c.p. le quali non consentono la non punibilità di chi agevola l’esecuzione del suicidio pure se liberamente deciso dal suicidato.
Purtroppo la Consulta respinse la richiesta ritenendo che la modifica proposta non consentisse la piena tutela dell’ammalato.
E’ possibile che l’Associazione Coscioni ci riprovi oppure, ancora meglio, che il Parlamento decida, finalmente, di prendere atto del diffuso desiderio della popolazione di avere una legge esaustiva e, vincendo le resistente di quei partiti i cui parlamentari creano ostacoli di schieramento, adeguatamente supportati da alcune autorità religiose, porti avanti il discorso già avviato con una proposta di legge approvata, sia pure tra mille difficoltà, dalla Camera il 10 marzo scorso, ora bloccata al Senato, anche per la presenza di una miriade di emendamenti tendenti ad affossarla: ecco il motivo che, come abbiamo detto prima, ci fanno vergognare di una parte dei nostri parlamentari e, in definitiva, di noi stessi che li abbiamo eletti.
Parlamentari che non fanno tutti parte di schieramenti politici ben definiti in quanto gli oppositori sono “bipartisan” il che dovrebbe darci la garanzia che il loro rifiuto dipende solo da convinzioni personali, da questioni di coscienza, ma non siamo del tutto convinti che non vengano pilotati da “influencer” facilmente individuabili.
Ma prima di passare ai tristissimi casi dei quali si parla negli ultimi giorni, è opportuno riepilogare, sinteticamente, la casistica della quale parliamo.
La legge approvata tra tante polemiche, specialmente da parte dei parlamentari di centro destra, dalla Camera, e ora bloccata al Senato, indica, al primo articolo, a cosa tende, ovvero alla “facoltà della persona affetta da una patologia irreversibile e con prognosi infausta o da una condizione clinica irreversibile di richiedere assistenza medica, al fine di porre fine volontariamente e autonomamente alla propria vita”: il Parlamento, finalmente, sembra avviato a occuparsi dei più fragili, di coloro che, afflitti da patologie a prognosi infausta e tormentati da dolore insostenibile, chiedono di poter porre fine alle proprie sofferenze con dignità e con l’assistenza del S.S.N., così come avviene in altri casi, ad esempio l’aborto.
L’iter della legge, approvata dalla Camera, è stato difficoltoso e contrastato dall’opposizione del centrodestra. La maggioranza in questi mesi è sempre divisa: da una parte gli ex giallorossi, dall’altra Lega e Forza Italia assieme a Fratelli d’Italia. Ma le votazioni in Aula sugli oltre 200 emendamenti finora hanno dato ragione ai partiti degli altri schieramenti, che hanno respinto tutte le proposte di modifica, compresi i tentativi di blitz sugli emendamenti soppressivi e su alcuni testi ‘svuota legge’.
Così in otto articoli la legge sana il ritardo e l’incapacità della politica italiana di iniziare ad affrontare la questione del fine vita: le vicende di Piergiorgio Welby, Eluana Englaro, oltre che di DJ Fabo, e infine la scelta di Mario (?), e di alcuni altri, il tetraplegico che ha chiesto e ottenuto dal Tribunale di porre fine alla propria sofferenza, del quale parleremo in seguito, hanno visto finalmente l’interessamento di almeno una parte del Parlamento.
Il voto alla Camera sul “Fine vita è un fatto storico – ha osservato il Segretario del PD Enrico Letta- perché chi soffre non può aspettare”.
Una novità importante del nuovo testo è il riconoscimento dell’obiezione di coscienza per medici e personale sanitario, sperando che non se ne approfitti in senso negativo come spesso è avvenuto per l’aborto, e più stringenti condizioni per poter accedere al suicidio assistito.
Vediamo più specificamente cosa prevede la legge approvata alla Camera.
Il testo rende non più punibile il fine vita se praticato autonomamente dal paziente. Si tratta del suicidio medicalmente assistito, pratica differente dall’eutanasia che invece viene praticata da medici. Il testo ha recepito la sentenza del 2019 della Corte costituzionale che aveva chiesto al Parlamento di colmare il vuoto legislativo, dopo essersi pronunciata sul caso di Marco Cappato, processato e poi assolto per avere aiutato il DJ Fabo a morire.
Quella sentenza aveva stabilito che non può essere punito chi agevola il suicidio di un malato terminale a patto che sussistano una serie di condizioni, tra cui l’irreversibilità della malattia, che questa sia fonte di gravi sofferenze, la piena coscienza del paziente e la sua dichiarata volontà di porre termine a tale condizione, e il fatto che il malato sia tenuto in vita da trattamenti di sostegno.
Per fare la richiesta è stata posta una serie di paletti, alcuni da parte dei partiti di destra: può chiedere il suicidio assistito il paziente maggiorenne, in grado di intendere di volere, che sia stato già coinvolto in un percorso di cure palliative e le abbia rifiutate; che sia affetto da una patologia irreversibile e da prognosi infausta, che cagioni sofferenze fisiche e psicologiche assolutamente intollerabili, e che sia tenuto in vita da trattamenti sanitari di sostegno vitale, la cui interruzione ne provocherebbe la morte.
La richiesta deve essere avviata dal medico di medicina generale o dal medico che ha in cura il paziente, e spetterà poi al comitato di valutazione clinica dare il via libera.
Importante è il riconoscimento della obiezione di coscienza a medici e personale sanitario a fronte del quale, però, gli Ospedali pubblici sono tenuti in ogni caso ad assicurare che sia possibile esercitare il diritto al suicidio assistito: un bizantinismo tipico del nostro legislatore.
E’ espressamente riconosciuta la non punibilità per i medici e il personale sanitario, quindi gli articoli del codice penale 580 (istigazione o aiuto al suicidio) e 593 (omissione di soccorso) non si applicano ai sanitari chiamati ad attuare il suicidio assistito.
Una cosa importante è la sanatoria retroattiva per i condannati, per cui non è punibile chi è stato condannato, anche con sentenza passata in giudicato, per aver agevolato in qualsiasi modo la morte volontaria medicalmente assistita di una persona prima dell’entrata in vigore della legge.
Nella legge c’è una sostanziale differenza con l’eutanasia, in quanto non si parla qui dell’articolo 579 del codice penale, che riguarda l’omicidio del consenziente, l’eutanasia, su cui lo scorso anno sono state raccolte oltre un milione e 500 firme mila per il referendum abrogativo promosso dall’Associazione Luca Coscioni, bocciato poi dalla Consulta per un vizio di forma.
Ora dovremmo raccontare le ultime vicende di coloro che attendono di poter accedere agli attuali sostegni sanitari per sottrarsi a una vita di dolori e sofferenze (qualcuno è già passato a miglior vita), in virtù di altre leggi in vigore, ma rischieremmo di frastornare ulteriormente i lettori, per questo motivo ci riserviamo di tornare sull’argomento per raccontare le loro peripezie.