Pesce al mercurio
Il pesce è uno degli alimenti più amati dagli italiani, e non potrebbe essere altrimenti perché una delle peculiarità del nostro paese è il mare.
D’altronde anche la nostra dieta mediterranea ha, tra gli ingredienti preferiti, il pesce.
Ma non tutti sanno che il pesce può nascondere alcune insidie da non sottovalutare, una delle quali, la più temibile, e non immediatamente rilevabile, è la presenza di mercurio, metallo particolarmente tossico per l’uomo.
Il problema non è recente, sono anni che anche l’EFSA, l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, ha fissato una soglia di assunzione settimanale massima tollerabile, pari a 1,3 microgrammi per chilogrammo di peso corporeo.
Nella generalità dei casi il consumo di pesce fatto dagli italiani non è tale da superare questo valore, ma è bene essere attenti al pesce che mangiamo, sul quale vi sono recenti indagini effettuate da Associazioni europee di Consumatori, dai risultai delle quali si individuano non solo i paesi di provenienza del pesce con maggiore contenuto di mercurio, ma anche le qualità di pesce da preferire per il minor contenuto di questo micidiale metallo.
I paesi che forniscono pesce con alta percentuale di mercurio, nel Mediterraneo, sono principalmente la Spagna e la Grecia, seguono l’Italia e il Portogallo; tutti gli altri paesi sono più virtuosi.
Tra il pesce fresco, pescato in mare o di allevamento, quello da preferire per la minore quantità di mercurio è il salmone, la sogliola e la trota salmonata; il più pericoloso risulta il pesce spada, che ha altissime concentrazioni di mercurio.
Tra i pesci conservati in scatolette sono da preferire le sardine e il salmone, selvaggio o allevato.
Tra i pesci surgelati i meno pericolosi sono il merluzzo e la platessa; assolutamente da evitare la verdesca (canesca, squalo azzurro, verdone, pescecane, squalo) che ha contenuti di mercurio altissimi.
Mascherine
Ormai la pandemia ci ha costretto ad assuefarci alla mascherina, e ciascuno di noi ne ha una bella scorta, visto che dovremo utilizzarla per chi sa quanto tempo ancora.
Il dubbio principale à se le mascherine siano o meno riutilizzabili, e per quanto tempo.
Indagini recenti, sempre fatte da associazioni europee di consumatori, hanno portato a risultati sulla base dei quali è stato stilato una sorta di decalogo che è opportuno tener presente.
Se una persona usa per diverse ore al giorno una mascherina, è opportuno che essa venga lavata prima di essere riutilizzarla, perché il lungo utilizzo la rende umida e la umidità trattiene batteri e virus; è anche opportuno cambiarle più volte nel corso della giornata, nel senso di utilizzarle alternativamente.
Per la igienizzazione delle mascherine sarebbe opportuno che, dopo il lavaggio, venissero lasciate all’aria aperta per quattro o cinque giorni.
Comunque se una mascherina, indipendentemente dall’utilizzo, risulta maleodorante o molto umida, è meglio buttarla (va nel materiale indifferenziato).
E’ anche bene, appena rientrati a casa, provvedere ad una prima sanificazione con alcool spruzzato su entrambi i lati.
C’è una diatriba che riguarda le mascherine non chirurgiche, vale a dire quelle ad imbuto, comunemente denominate FFP2, sigla che in effetti dice poco, perché indica un tipo di mascherina che ha quella caratteristica: come parlare del navigatore satellitare chiamandolo “Tom-Tom”.
Le mascherine di questo tipo validate nel mondo sono solo tre: quelle denominate FFP2, certificate in Europa, N95 certificate negli Usa, e KN95 certificate in Cina.
La sigla FFP sta a significare “Filtering Face Piege – Mascherie Filtranti Facciali”.
I tre tipi, FFP2,N95 e KN95, hanno caratteristiche simili, per tutte e tre la capacità filtrante è superiore al 92%, e sono certamente più efficaci di quelle comunemente chiamate “chirurgiche”.
E’ fuori dubbio che per maggiore cautela, è opportuno utilizzare la doppia mascherina, quella chirurgica sotto e quella tipo FFP2 sopra.
In merito alla FFP2 sembra che da qualche tempo in commercio siano introvabili, tant’è che gli stessi farmacisti utilizzano maggiormente le altre due (verificato di persona).
Problemi di udito
La popolazione invecchia i problemi legasti all’età che avanza sono sempre più frequenti, e tra essi c’è quello dell’udito, tanto è vero che la pubblicità delle numerose aziende che forniscono tali apparecchiature, in testa Amplifon, sono sempre più assillanti.
Ma quale apparecchio scegliere?
Un bel rebus; tra i tanti che il mercato offre c’è solo l’imbarazzo della scelta, ed è un vero imbarazzo perché, a parte quelli più semplici e molto visibili, che molti rifiutano perché desiderano occultare la loro diminuita percezione auditiva, ve ne sono altri molto sofisticati tra i quali è veramente difficile orientarsi, e alcuni hanno costi molto elevati.
Vediamo di raccapezzarci tra norme sanitarie, relativa burocrazia, e dare qualche suggerimento in merito alla procedura più corretta e più tutelante da seguire.
Nella generalità dei casi le aziende che producono tali apparecchiature sono le prime a prendere contatto con gli eventuali clienti, che vengono nella maggior parte dei casi instradati male.
La corretta procedura, indispensabile anche per accedere ai benefici economici previsti dal Servizio Sanitario Nazionale, è la seguente.
La prima cosa da fare è una visita audiometrica presso una struttura pubblica, in genere l’ambulatorio di otorino-laringoiatria dell’Ospedale.
Viene rilasciata una certificazione con la quale occorre prenotare, presso una ASL, una ulteriore visita audiometrica presso il cosiddetto “medico-prescrittore”, che non è disponibile in tutte le Asl: da Cava accorre recarsi presso l’Asl di Scafati che risulta la meno impegnata e presso la quale è più facile prenotare.
“Ovviamente” (???) occorre pagare un ulteriore Ticket sanitario (misteri della burocrazia), e il “medico-prescrittore ti sottopone ad una ulteriore visita, e ti rilascia la prescrizione delle protesi più adatte: n pratica è un duplicato della visita precedente.
Questa documentazione deve essere portata all’Asl competente la quale autorizza ad andare dal fornitore delle protesi, a scelta del paziente, avvertendo che per i modelli base (quelli più visibili), la spesa non deve superare Euro 1300,00 che pagherà direttamente il SSN. Se il paziente sceglie modelli più sofisticati dovrà pagare la differenza di tasca propria.
Inizia, così, il calvario della scelta delle protesi e dei trenta giorni di prove e regolazioni (differenti per ciascun orecchio), alla fine dei quali il paziente può anche decidere di non acquistare nulla, e non dovrà rimborsare alla ditta interpellata alcunché, e potrà anche recarsi presso un altro fornitore.
Le Associazioni dei consumatori non hanno ancora fatto test per orientare chi soffre di ipoacusia sulla scelta migliore, ma sembra che anche in questo settore siano previste delle novità.
Non è da sottovalutare un altro aspetto della questione.
Non sempre il problema della ipoacusia prevede l’utilizzo di protesi, talvolta esso è circoscritto solo ad alcuni aspetti della vita familiare o sociale.
Se, ad esempio, in famiglia il problema è limitato alla Tv, esistono in commercio delle ottime cuffie Hi-Fi le quali vengono collegate alla Tv (senza eliminare l’audio per gli altri familiari) dal costo veramente contenuto (non supera i 100 euro).
Esistono pure, ma sono da reperire presso negozi specializzati, amplificatori di suoni che si collegano alle orecchie come una radiolina, e sono regolabili, e il costo è veramente irrisorio (dai 30 euro in su, anche su Amazon).
Un accenno è di obbligo agli interventi di “coclea artificiale” o “orecchio bionico”.
Si tratta di veri e propri interventi chirurgici previsti per i casi più gravi che non possono essere corretti con le protesi. In pratica viene effettuata la introduzione nella scatola cranica di una specie di orecchio artificiale elettronico collegato con una antennina esterna, che inviano al nervo acustico i suoni e i rumori ambientali.
Nel casi più gravi è previsto un doppio intervento, uno per ciascun orecchio.
Qualche suggerimento
Ai nostri lettori vogliamo dare qualche suggerimento che potrebbe migliorare la loro vita e non sottoporli a spese che spesse si rivelano poi eccessive, talvolta inutili.
Il mercato offre una miriade di soluzioni per i vari problemi, probabilmente in numero eccessivo e non tutte adeguate alle effettive necessità individuali o familiari.
Il primo suggerimento è quello di evitare, per qualsiasi acquisto, i negozietti tradizionali o quelli sotto casa, perché nella maggior parte dei casi sono gestiti da anziani commercianti che non si sono tecnicamente aggiornati e che consigliano prodotti spesso antiquati, venduti i quali non ti offrono alcun tipo di assistenza.
E’ sempre preferibile rivolgersi a negozi o catene di negozi specializzati, e anche chi non vuole rischiare di acquistare tramite internet, oggi ha l’imbarazzo della scelta in quanto esistono grandi catene di rivenditori “de-visu”, i quali, oltre a consigliarti per il meglio, si assumono anche la responsabilità di quello che ti vendono, e ti danno ogni tipo di garanzia, legale ed extra.
E’ però importante sapere esattamente ciò che si vuole, decidere a priori quali sono le reali esigenze, ed andare ad acquistare con idee chiare.
E’ anche opportuno sapere che chi ti vende un prodotto che poi si rileva insoddisfacente, è il primo interlocutore al quale rivolgersi, lo prevede il codice del consumo; il rivenditore che alla minima difficoltà ti rinvia al centro di assistenza non conosce (o finge di non conoscere) la regola base del corretto rapporto tra venditore e consumatore; e di tali rivenditori c’è da diffidare.