Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!
Tant’è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.
Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,
tant’era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.
Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto,
là dove terminava quella valle
che m’avea di paura il cor compunto,
guardai in alto, e vidi le sue spalle
vestite già de’ raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle.
Queste sono le prime terzine che introducono al primo Canto della Divina Commedia, Inferno, scritta da Dante Alighieri.
Il 25 marzo si celebra il “Dantedi”, la giornata dedicata al nostro Sommo Poeta, una ricorrenza voluta per la prima volta dal Ministro Dario Franceschini nel 2020; questa è la seconda celebrazione che cade nel 700° anniversario della sua morte, avvenuta a Ravenna tra il 13 e il 14 settembre 1321.
Le terzine con le quali introduciamo questo articolo, con il quale intendiamo anche noi partecipare alle celebrazioni, sono notissime anche a chi non ha dimestichezza con gli studi classici ed è per questo che ci è piaciuto riportarle.
Di Dante Alighieri ci sarebbe da parlare e scrivere volumi, come hanno fatto tantissimi letterati, ma non è certamente nostra presunzione sostituirci a tanti dotti dantisti.
Vogliamo solo limitarci a riepilogare molto sinteticamente la vita di questo nostro grande Poeta, anche se sembra riduttivo incasellarlo come tale in quanto Dante Alighieri non è stato solo un poeta, ma un filosofo, astronomo, studioso a tutto tondo, oltre che politico bene inserito nella realtà della sua città, Firenze, che all’epoca ben si poteva considerare capitale d’Italia per cultura e potenza economica.
Il nostro Sommo Poeta si chiamava in origine Durante di Alighiero degli Alighieri, ma per brevità negli anni successivi il nome venne accorciato e semplificato e poi ridotto al solo nome, col quale è conosciuto in tutto il mondo.
La vita di Dante Alighieri è strettamente legata agli avvenimenti della vita politica fiorentina. Alla sua nascita Firenze era in procinto di diventare la città più potente dell’Italia centrale. A partire dal 1250, un governo comunale composto da borghesi e artigiani aveva messo fine alla supremazia della nobiltà e due anni più tardi vennero coniati i primi fiorini d’oro che sarebbero diventati i “dollari” dell’Europa mercantile.
Il conflitto tra guelfi, fedeli all’autorità temporale dei papi, e ghibellini, difensori del primato politico degli imperatori, divenne sempre più una guerra tra nobili e borghesi simile alle guerre di supremazia tra città vicine o rivali.
Alla nascita di Dante, dopo la cacciata dei guelfi, la città era ormai da più di cinque anni nelle mani dei ghibellini. Nel 1266, Firenze ritornò nelle mani dei guelfi e i ghibellini vennero espulsi a loro volta. A questo punto, il partito dei guelfi, si divise in due fazioni: bianchi e neri.
Dante Alighieri nasce a Firenze il 29 maggio 1265 (la data è presunta, comunque compresa tra maggio e giugno) da una famiglia della piccola nobiltà. Nel 1274, secondo la Vita Nuova, vede per la prima volta Beatrice (Bice di Folco Portinari) della quale si innamora subito perdutamente. Dante ha circa dieci anni quando muore la madre Gabriella, la «madre bella». Nel 1283 anche suo padre Alighiero di Bellincione, commerciante, muore e Dante a 17 anni diviene il capofamiglia.
Il giovane Alighieri segue gli insegnamenti filosofici e teologici delle scuole francescana (Santa Croce) e domenicana (Santa Maria Novella). In questo periodo stringe amicizie e inizia una corrispondenza con i giovani poeti che si fanno chiamare «stilnovisti». Nelle Rime si trova l’insieme dell’opera poetica di Dante, dagli anni della gioventù fiorentina, lungo in corso della sua carriera letteraria, che non risultano inseriti in alcun’altra opera. È in questo contesto che possiamo trovare le tracce del distacco consapevole che è seguito alla prima stesura dell'”Inferno” e del “Purgatorio“, che avrebbe condotto Dante verso false concezioni filosofiche, tentazioni della carne e piaceri volgari.
A 20 anni sposa Gemma Di Manetto Donati, appartenente a un ramo secondario di una grande famiglia nobile, dalla quale avrà quattro figli, Jacopo, Pietro, Giovanni e Antonia.
Nel 1292, due anni dopo la morte di Beatrice, comincia a scrivere la “Vita Nuova”. Dante si consacra così molto presto completamente alla poesia studiando filosofia e teologia, in particolare Aristotele e San Tommaso. Rimarrà affascinato dalla lotta politica caratteristica di quel periodo e costruirà tutta la sua opera attorno alla figura dell’Imperatore, mito di un’impossibile unità. Tuttavia nel 1293, in seguito a un decreto che escludeva i nobili dalla vita politica fiorentina, il giovane Dante è costretto ad attenersi alla cura dei suoi interessi intellettuali.
Nel 1295 un’ordinanza decreta che i nobili riottengano i diritti civici, purché appartenenti ad una corporazione. Dante si iscrive a quella dei medici e dei farmacisti, la stessa dei bibliotecari, con la menzione di «poeta». Quando la lotta tra Guelfi Bianchi e Guelfi Neri si fa più aspra, Dante si schiera col partito dei Bianchi che cercano di difendere l’indipendenza della città opponendosi alle tendenze egemoniche di Bonifacio VIII Caetani, Papa dal dicembre 1294 al 1303.
Nel 1300 Dante viene eletto tra i sei «Priori» – custodi del potere esecutivo, i più alti magistrati del governo che componeva la Signoria – che, per attenuare la faziosità della lotta politica, prendono la difficile decisione di fare arrestare i più feroci leader dei due schieramenti. Nel 1301, proprio mentre a Firenze arrivava Charles de Valois e il partito dei Neri prendeva il sopravvento (sostenuto dal papato), Dante viene chiamato a Roma alla corte di Bonifacio VIII.
Iniziano i processi politici: Dante, accusato di corruzione, viene sospeso dai pubblici uffici e condannato al pagamento di una pesante ammenda. Poiché Dante non si abbassa, al pari dei suoi amici, a presentarsi davanti ai giudici, Dante viene condannato alla confisca dei beni e «al boia» qualora si fosse fatto trovare sul territorio del Comune di Firenze. E’ così costretto a lasciare la sua città con la coscienza di essere stato beffato da Bonifacio VIII, che l’aveva trattenuto a Roma mentre i Neri prendevano il potere a Firenze; Bonifacio VIII si guadagnerà così un posto di rilievo nei gironi dell'”Inferno” della “Divina Commedia”.
A partire dal 1304 inizia per Dante il lungo esilio. Dalla morte di Beatrice agli anni dell’esilio Dante si dedica allo studio della filosofia (per lui l’insieme delle scienze profane) e compone liriche d’amore dove lo stile della lode così come il ricordo di Beatrice sono assenti. Il centro del discorso non è più Beatrice ma «la donna gentile», descrizione allegorica della filosofia che traccia l’itinerario interiore di Dante verso la saggezza. Redige il Convivio (1304-1307), il trattato incompiuto composto in lingua volgare che diventa una summa enciclopedica di sapere pratico. Quest’opera è una sintesi di saggi, destinati a coloro che, a causa della loro formazione o della condizione sociale, non hanno direttamente accesso al sapere.
Vagherà per città e Corti secondo le opportunità che gli si offriranno e non cesserà di approfondire la sua cultura attraverso le differenti esperienze che vive.
Nel 1306 intraprende la redazione della “Divina Commedia” alla quale lavorerà per tutta la vita. Quando inizia «a far parte per se stesso», rinunciando ai tentativi di rientrare con la forza a Firenze con i suoi amici, prende coscienza della propria solitudine e si stacca dalla realtà contemporanea che ritiene dominata da vizio, ingiustizia, corruzione e ineguaglianza. Nel 1308 compone un trattato in latino sulla lingua e lo stile: il “De vulgari eloquentia“, nel quale passa in revisione i differenti dialetti della lingua italiana e proclama di non aver trovato «l’odorante pantera dei bestiari» del Medioevo che cercava, ivi compresi il fiorentino e le sue imperfezioni. Pensa di aver captato «l’insaziabile belva in quel volgare che in ogni città esala il suo odore e in nessuna trova la sua tana». Fonda la teoria di una lingua volgare che chiama «illustre», che non può essere uno dei dialetti locali italiani ma una lingua frutto del lavoro di “pulizia” portato avanti collettivamente dagli scrittori italiani. È il primo manifesto per la creazione di una lingua letteraria nazionale italiana.
Nel 1310 con l’arrivo in Italia di Enrico VII di Lussemburgo, Imperatore romano, Dante Alighieri spera nella restaurazione del potere imperiale, che gli permetterebbe di rientrare a Firenze, ma Enrico muore. Dante compone “La Monarchia”, in latino, dove dichiara che la monarchia universale è essenziale alla felicità terrestre degli uomini e che il potere imperiale non deve essere sottomesso alla Chiesa. Dibatte anche sui rapporti tra Papato e Impero: al Papa il potere spirituale, all’Imperatore quello temporale. Verso il 1315, gli viene offerto di ritornare a Firenze. Il suo orgoglio ritiene le condizioni troppo umilianti: rifiuta con parole che rimangono una testimonianza della sua dignità umana: «Non è questa, padre mio, la via del mio ritorno in patria, ma se prima da voi e poi da altri non se ne trovi un’altra che non deroghi all’onore e alla dignità di Dante, l’accetterò a passi non lenti e se per nessuna siffatta s’entra a Firenze, a Firenze non entrerò mai. Né certo mancherà il pane».
Nel 1319 Dante è invitato a Ravenna da Guido Novello da Polenta, Signore della città; due anni più tardi lo invia a Venezia come ambasciatore. Rientrando da Venezia Dante viene colpito da un attacco di malaria: muore a 56 anni nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321 a Ravenna, dove oggi si trova ancora la sua tomba.
26.03.2021 – By Nino Maiorino – Alla fine dell’articolo ho scritto che Dante muore a 56 anni nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321 a Ravenna, dove oggi si “”trova ancora”” la sua tomba. infatti v’è una annosa diatriba tra Firenze e Ravenna; Firenze vorrebbe che le spoglie di Dante tornassero nella sua città natale, Ravenna si rifiuta in quanto Dante, cacciato da Firenze, nel suo lungo peregrinare aveva trovato in Ravenna la sua seconda città natale, perché lo aveva accolto con tutti gli onori e lo aveva anche inviato come suo ambasciatore a Venezia. Probabilmente se il sommo Poeta potesse parlare, rifiuterebbe di essere trasferito a Firenze: opinione mia personale.