Avevamo deciso di non seguirlo, e non perché siamo contro questa sagra ultrapopolare, ma perché ci annoia stare appiccicati alla tv per cinque lunghe serate durante le quali, più che partecipare ad una competizione tra cantanti, vengono imposte ai telespettatori le cose più strane, come, ad esempio, il ballo del qua-qua di un attore di livello internazionale come il mascellone Travolta, peraltro lautamente ricompensato (sembra con 200.mila euro).
E se fosse solo questo ci saremmo accontentati.
E forse non ci saremmo stupiti nemmeno del ridicolo gonnellino marcato Fendi di Marco Mengoni, e di altre analoghe amenità.
Ma i buoni propositi, nonostante l’impegno, non possono essere mantenuti in quanto questo festival ti vien dentro con l’aria che respiri.
Per cui, pure se dinanzi al televisore non ti sei mai fermato, del Festival di Sanremo sai quasi tutto.
In verità, per come sono andate le cose, e per il successo ottenuto da due cantanti meridionali, Angelina Mango di Maratea e Geolier (al secolo Emanuele Palumbo) napoletano verace, beniamino della gioventù non solo partenopea, tutto sommato il festival, per noi meridionali, è andato benissimo.
Per Angela Mango, la vincitrice, nulla da dire; orfana dall’età di poco più di 12 anni (il papà morì sul palco a dicembre 2014 durante un concerto di beneficenza a Policoro), si è presa la rivincita della famiglia, cantando la canzone “La rondine” che il suo papà le aveva lasciato in eredità.
La Mango si può dire che si è fatta da sola, e che la sua meridionalità non l’ha ostacolata, così come non ha ostacolato il secondo classificato, quel Geolier sul quale grava una sola pecca, non piccola, quella di aver scritto una canzone in una distorta lingua napoletana.
A leggere il testo da parte di chi ha pur minime nozioni di scrittura napoletana viene l’orticaria, una sequenza di sgrammaticature che il giovanotto avrebbe potuto evitare se solo qualcuno gli avesse suggerito di farlo rivedere; e non è il solo ritornello “I p’me tu p’te” ripetuto fino alla noia, a dare fastidio, ma tutta la canzone, che tra l’altro risulta incomprensibile, e non solo ai non partenopei.
Qualcuno ha criticato la scelta di inserire una canzone in dialetto napoletano nel festival sanremese, critica partigiana tendente a disconoscere che la lingua napoletana sia una specie di appendice di quella italiana; probabilmente sarebbe stato preferibile evitare tutte le polemiche non accettando la canzone, ma se Amadeus avesse deciso di rifiutarla, certamente sarebbe stato ugualmente criticato almeno dai meridionali.
Noi, da partenopei incalliti, ci saremmo risentiti, ma se fosse stata presentata a Sanremo una canzone in dialetto, ad esempio, veneziano, cosa avrebbe fatto Amadeus?
Comunque Sanremo è come la gallina dalle uova d’oro, tutti hanno guadagnato, la Rai prima di tutto: si parla di un introito pubblicitario di oltre 60.milioni di euro; poi c’è il Teatro Ariston per il quale si parla di un incasso di oltre 3.milioni di euro.
Inoltre si stima ammontanti a 60.milioni i ricavi generati dal festival, con un impatto di 18.milioni di euro sul solo territorio sanremese.
Solo Rai ha raccolto 42.milioni di pubblicità.
E c’è poi tutto il contorno: alberghi, ristoranti, bar, e quant’altro, per la ospitalità delle circa 40.mila persone che, direttamente o indirettamente hanno partecipato alla kermesse di cinque giornate.
Insomma un bel business.
Secondo il periodico Panorama la Società Ernst & Young va valutato in 186.milioni di euro l’impatto complessivo di Sanremo 2024, con una opportunità occupazionale di almeno 1.000 persone l’anno, e 41mila tra ospiti, organizzatori, staff e turisti i non sanremesi presenti in città nelle cinque giornate.