E’ facile parlare a posteriori e nessuno può dire: “lo sapevo”. Ma nell’after day dello scoppio dell’epidemia come una “bomba atomica” (espressione usata alcuni anni fa da Bill Gates) non si può nascondere lo schiaffo del pipistrello cinese all’arroganza del potere globalizzato.
Il coronavirus ne ha disvelato l’impotenza di fronte a calamità naturali non cadenzabili da algoritmi con la stessa regolarità dei flussi finanziari che transitano nelle Borse; e ne ha messo in crisi la supponenza delle relative governance e delle leadership delle democrazie occidentali.
Riavvolgendo il nastro ne viene fuori una sequenza di fotogrammi dei comportamenti dei signori delle singole cancellerie statunitense ed europei che vanno dagli iniziali sarcasmi sulle mascherine ai successivi grotteschi tentennamenti sulle misure restrittive da intraprendere, fino all’allarme pandemia e collasso economico finanziario che ha indotto le istituzioni Eu a sospendere le proprie regole sulla tenuta di bilanci e frontiere.
Non è il caso di dare corso ad una sorta di lista di buoni e cattivi maestri del tempio e di predicatori del loro verbo, se ad inizio di Febbraio si discettava, a proposito del coronavirus, sull’uso propagandistico delle mascherine. Come dire che sono venuti meno “il coraggio delle domande e l’umiltà di ascoltare” (sono parole mutuate dagli “Insegnamenti” di Benedetto XVI). Anche oggi ci si aspettano domande e risposte sul perché l’indice di mortalità da coronavirus risulti più alta in Italia che altrove. Con ciò non si vuole attivare una sorta di caccia alla streghe, ma semplicemente interrogarsi sulla portata di una batosta epocale che va al di là dell’emergenza sanitaria, prefigurando un cambio di paradigma culturale che non riguarda solo stile di vita e di abitudini sociali.
Le limitazioni imposte per contenere il contagio sono una necessità del momento ma non sono prospettive. Il dramma che si sta vivendo (più in Italia che altrove) non è opera del demonio per cui si rende necessaria l’intermediazione dell’esorcista di turno per combatterne le cause. C’è qualcosa di più realistico e storicamente testabile che induce a “ripensare l’intero nostro universo di senso e responsabilità”. Lo scriveva l’11 marzo scorso Marco Rivelli su “il Manifesto”.
Non si tratta di un pretestuoso controcanto rispetto al conformismo del politicamente corretto, ma di una riflessione condivisibile, a prescindere, prefigurando un “cambio radicale di sguardo, di linguaggio, categorie e progetti” senza i quali non è possibile selezionare priorità ed obbiettivi.
Sono le condizioni da mettere in conto anche quando incalzano le epidemie. Altrimenti si lascia il campo alle assuefazioni alle risse dei politicanti ed all’antipolitica dei poteri economici e finanziari che per loro natura, non avendo confini territoriali, etici e culturali, dominano la vita pubblica e ne dettano le condizioni attraverso la disponibilità dei soliti utili idioti.
Contestarne la legittimità non è propensione al sovranismo né indice di pulsioni nazionalistiche, ma esercizio di resistenza democratica in difesa delle comunità del proprio Paese.
“Schiaffoalglobalismo” potrebbe essere l’idea di un hashtag per congiurare, in maniera patriottica, “nulla sarà come prima” dopo il coronavirus.