Il dolore e la sofferenza di chi è stato colpito dal Coronavirus corre impietosamente sulle “autostrade dell’informazione” -per dirla con Bauman- in cui siamo tutti passivi spettatori.
Ennesima conseguenza della globalizzazione in un mondo sempre più ‘liquido’, post-modemo, contrapposto alle società precedenti solide, costruite su ideologie.
In quest’ultima emergenza mondiale appare utile -se non necessaria- una riflessione su ciò che aveva profetizzato il grande sociologo polacco, sulle certezze del mondo occidentale che si sono disciolte con il tramonto delle ideologie, la caduta del Muro, l’implosione dell’Urss, la fine della Guerra Fredda. È emersa la nuova potenza economica e militare, la Cina, e si è determinato un nuovo assetto labile e mutevole mentre la produzione di merci, beni e servizi si dislocava e tutto, uomini compresi, prendeva a vorticare per tutto il pianeta creando una sensazione di fine di un mondo, di insicurezza. Mai come in questa emergenza planetaria la mente corre a quella “paura liquida” avanzata da Bauman per definire questa volatilità di informazioni, persone, cose, messaggi, e immagini che i media e la rete diffondono.
Ancora una volta è d’uopo chiamare in causa il grande pensatore, una sorta di oracolo del 3° millennio, per definire questo virus il ‘dilemma globale della sofferenza umana’, che ha spinto i media a creare una spettacolarizzazione della sofferenza favorita anche dal web.
Problema morale in cui tutti ci troviamo coinvolti come spettatori. Il problema del male, di chi infligge sofferenza a qualcuno, comporta la colpa. Ma anche chi assiste e non interviene è, in fondo, colpevole. In questa società percorsa dalle “autostrade dell’ informazione” non ci si discolpa dicendo non sapevo. Siamo tutti spettatori del dolore e della sofferenza di altri. Si pongono dei dilemmi etici e, facendo riferimento a Jaspers, la colpa morale -cioè di chi ne soffre e arriva a pentirsi- è diversa dalla colpa metafisica. Quest’ultima esiste indipendentemente dal contributo che l’individuo ha dato o meno alla sofferenza dell’Altro.
Nella globalizzazione sociale interconnessa qualsiasi azione può riflettersi all’altro capo del pianeta, la responsabilità umana per l’Altro è incondizionata e deve comprendere la previsione e la precauzione .
Mai come in questo momento di epidemia siamo sempre più bombardati da un’informazione differente tra ‘vedere’ e ‘sapere’ ma anche da immagini di sofferenza che si dissolvono in un battito di ciglia.
Ciò che si vede suscita pena, tutti si danno da fare per circoscrivere il contagio. Ma anche tra ‘sapere’ e ‘agire’ vi è un profondo divario. Ciò che si sa e ciò che i media ci fanno sapere, una versione dei fatti. C’è necessità di un codice etico e legale. Un impegno collettivo che agisca con il buon senso ma con forza per combattere sterili allarmismi e caos ingovernabile.
Occorre segnalare l’incomprensibile spirale tautologica che si muove sempre a senso unico, quasi a comando. Ignorando quello che è il compito della informazione vera, vale a dire fare luce su ciò che meno si conosce e, come diceva Goerge Orwell, su quello che meno si vuole (vorrebbe) sapere.