Ma vuoi vedere che per la guerra del pesce, che si combatte nel mare della Libia tra i nostri pescherecci di Mazara del Vallo e i guardacoste libici, e tra pescherecci e navi da guerra francesi e navi a guerra inglesi, ci scappa il morto?
E’ stata una settimana movimentata, quella che si è appena conclusa con la Festa della mamma, per le due emergenze che per brevità chiamiamo “La guerra del pesce”, che hanno coinvolto la Libia contro l’Italia nel sud del Mar Mediterraneo, e la Inghilterra contro la Francia nel canale della Manica.
Infatti il motivo del contendere è proprio il pesce: nel Canale della Manica i pregiati crostacei per i quali i francesi e anche noi andiamo pazzi; nel sud del Mediterraneo le pure pregiate capesante ma anche le anguille europee, il pesce pipistrello, la lampreda, il pesce gatto, e altri della zona.
Nell’uno e nell’altro caso le divergenze di vedute sulla pesca e le diatribe che da esse sono scaturite sono annose, ma sembra che non si riesca a trovare una intesa.
Gli scontri nel Canale della Manica
Non è mai corso buon sangue tra Francia e Gran Bretagna, questo è notorio, secoli di guerre e migliaia di morti e feriti ce li ricorda la storia.
Ma da qualche decennio le divergenze si erano assopite, da quanto entrambi i paesi avevano aderito alla U.E. la quale, bene o male, aveva risolto la questione della pesca nel Canale della Manica.
Poi c’è stata la defezione dell’Inghilterra, dopo anni di trattative infruttuose: da quest’anno, finalmente, la Gran Bretagna è uscita dall’U.E. uscendo quindi anche dall’Unione Doganale, diventando un paese estraneo a tutti gli effetti; nel trattato della Brexit, chiuso a Natale dello scorso anno, per quanto riguarda la pesca in quel tratto di mare è stato previsto un periodo di transizione fino all’estate 2026.
Il nodo della pesca nelle acque britanniche è stato il più difficile da dipanare in quanto la Gran Bretagna voleva riprendere il pieno dominio sulle acque territoriali che circondano l’isola, specialmente in materia di pesca: al momento i pescatori europei rinunciano al 25% del pesce pescato nelle acque britanniche, ma con una rinegoziazione annuale.
Comunque Boris Jhonson ha dovuto ingoiare una pillola amara, specialmente sulla pesca, perché comunque la Gran Bretagna, paese estraneo, non potrà ovviamente avere gli stessi diritti dei paesi membri.
La percentuale di riduzione del 25% è stata una vittoria della U.E. perché Jhonson avrebbe voluto una riduzione del 60%.
Ovviamente i pescatori inglesi non l’Ancien l’hanno presa bene, e boicottano chi pesca nel Canale, specialmente i pescatori francesi che sono i più presenti, e l’episodio del pattugliamento delle forze militari navali di entrambi i paesi di qualche giorno fa, è la dimostrazione di come sia alta la tensione.
Noi italiani possiamo solo osservare lo svilupparsi degli eventi, in quanto, tutto sommato, il problema non ci tocca da vicino.
Fortunatamente non siamo più al tempo in cui per un quintale di aringhe si rischiava una guerra, ma non è detto che le cose filino sempre lisce, e la cosa più grave è che su quello che accadrà nei prossimi mesi non c’è, purtroppo, un mediatore internazionale che possa intervenire.
Gli scontri con la Libia
Tutt’altra storia è ciò che è avvenuto nei giorni scorsi nel mare della Libia, dove un guardacoste libico è giunto fino al punto di mitragliare, ad altezza d’uomo, uno dei nostri pescherecci di Mazara del Vallo intento a pescare a circa 35 miglia nautiche dalle coste di Bengasi, quindi in acque internazionali.
Il problema è che le acque internazionali iniziano a 12 miglia nautiche dalle coste di un paese, ma la Libia, unilateralmente, ha deciso che fino a 35 miglia le acque sono sue, e non ammette replica.
E giacché la situazione in Libia è quella che è, con fazioni totalmente spaccate e in perenne conflitto, nessun paese, tanto meno il nostro, riesce a stabilire una intesa con tutte le parti in conflitto che non colloquiano, anzi si sparano.
In questa situazione andare a pescare in quelle acque è sempre stato, da decenni a questa parte, un rischio, e continua ad esserlo.
Giova fare un’altra considerazione, la Libia è sempre stato un paese diviso, che solo Gheddafi riuscì ad tenere in pugno con una dura dittatura, durata oltre un quarantennio.
Soppresso Gheddafi, la Libia è piombata nuovamente nel caos; ecco perché, in effetti, è nelle mani di bande di masnadieri, delinquenti senza scrupoli, spesso facenti parte forze armate, se così si possono chiamare le truppe del Presidente, che fino a qualche mese fa era internazionalmente riconosciuto, recentemente sostituito da Mohamed al-Menfi che dal 15 marzo scorso è succeduto a Fayez al-Sarraj; ma al-Menfi ha influenza solo su una parte del paese.
Ora si sta tentando una specie di riunificazione della Libia con la pacificazione delle parti in conflitto, grazie alla intermediazione dell’ONU; dal 15 marzo scorso, infatti, sembra che abbiano fatto un passo indietro i contrapposti schieramenti, passando la mano a Abdullah al-Thani, il quale proprio qualche giorno fa ha affermato, in una intervista al “Times of Malta”, che i negoziati guidati dall’ONU potrebbero trascinarsi per molti mesi in quanto lo stesso parlamento di Tripoli crea ostacoli (fonte Ansa: n.d.r.).
Se queste previsioni trovassero conferma, starebbe a significare che nella nostra ex colonia non verrebbe varato nessun reale governo di unità nazionale per combattere, con il supporto internazionale, lo Stato Islamico (che sta dilagando nel Paese), i trafficanti di esseri umani che inondano l’Italia di immigrati clandestini e tutte le altre illegalità lì radicate.
Stando così le cose, chi sa per quanti anni ancora dovremo subire l’invasione dei migranti africani, prima concentrati nei vari campi profughi sulle coste libiche, vittime di violenze, soprusi e truffe, in mano a bande più o meno legali di trafficanti, e subire l’ostracismo dei guardacoste libici, altre bande di delinquenti il cui scopo non è tanto di impedire che i nostri pescherecci vadano a pescare, ma piuttosto di sequestrare i nostri pescatori e trattenerli per mesi, com’è avvenuto tante volte e pure alla fine dello scoro anno, per lucrare dal nostro paese il riscatto per la loro liberazione.
Se si esamina la cronologia di quanto è accaduto, si comprende quale fosse il vero scopo degli assalitori, perché i colpi di mitraglia non sono stati esplosi dal guardacoste libico: se fosse stato così sarebbe stato palese l’intento di contrastare solamente il peschereccio. Ma, una volta individuato il peschereccio, dal guardacoste è partito un gommone militare, munito di mitragliatrice, che prima ha sparato, colpendo la cabina di comando del peschereccio, poi è andato all’arrembaggio per sequestrare i pescatori e portarseli in Libia
Questo pericolo è stato sventato solo perché in zona si è trovata una nostra nave militare, intervenuta a seguito dell’allarme del peschereccio mazarese attaccato; altrimenti per i pescatori mazaresi sarebbe iniziato un altro lungo calvario.
Quindi l’intervento del nostro mezzo militare è stato determinante, perché ha costretto i libici a fare una rapida ritirata.
A questo punto viene spontanea una domanda: ma perché il nostro mezzo militare non è intervenuto attaccando a cannonate il gommone che aveva sparato?
Avrebbe fatto una opera meritoria sotto due aspetti: il primo è legato all’atto di aggressione subito, in acque internazionali, da parte di un mezzo militare straniero che aveva compiuto un sopruso contro una parte del territorio italiano rappresentato, in quel momento, dal nostro peschereccio, attacco che può ben essere equiparato a un attacco al nostro paese; l’altro aspetto positivo sarebbe stato di far comprendere ai delinquenti libici che non si può continuare a tirare la corda, perché prima o poi si spezza.
Cosa sarebbe capitato in tal caso? il fallimento delle nostre “missioni di pace” nel “paese amico libico”?
Ma fino a questo momento, la nostra signorilità e diplomazia ha portato a qualche miglioramento della situazione?
I migranti continuano ad arrivare, i pescherecci continuano ad essere ostacolati, mitragliati e sequestrati: non solo vengono penalizzati i nostri pescatori, ma pure le nostre finanze perché i riscatti poi li paghiamo tutti noi.
Gli unici a beneficiare della nostra pseudo “diplomazia” sono i delinquenti libici, ai quali prima o poi una lezione dovrà pure essere data; a meno che l’Italia non decida che quelle acque vengano presidiate costantemente da mezzi della nostra Marina Militare.
Anzi, se l’Italia si dimostrasse più dura e intransigente nei confronti della Libia, questo potrebbe agevolare le trattative, perché dimostreremmo di avere polso e fegato, così come sta dimostrando la Francia nel Canale della Manica contro la prepotenza britannica.