Con il film “La venticinquesima ora” Rete4 ha dato il miglior contributo per la commemorazione del Giorno della Memoria
Tanto si è parlato su tutte le reti televisive e i social-media della celebrazione del “Giorno della memoria”, fissato per il 27 gennaio, data della liberazione del campo di sterminio di Aushwitz da parte dell’Esercito dell’Unione Sovietica, che scoperchiò il pozzo degli orrori che in quel luogo erano stati commessi dalle SS.
Chi è stato ad Aushwitz ha sempre sostenuto, e noi tra essi, che anche ora è necessario recarsi in quella località non per una visita tradizionale, ma in pellegrinaggio per rendersi conto di sin dove può giungere la crudeltà umana se si arroga il diritto di decidere se e come ammazzare il diverso, che sia un solo individuo o un intero popolo.
Il termine Olocausto indica, a partire dalla seconda metà del XX secolo, il genocidio degli ebrei del quale furono responsabili le autorità della Germania nazista e i loro alleati, italiani compresi.
Ma Aushwitz focalizza l’attenzione sul problema della shoa, l’olocausto contro il popolo ebreo, mentre altre mostruosità sono state commesse nel nome della purezza della razza o della soppressione del “diverso” per etnia, odio atavico o altro.
Tutti i film realizzati negli ultimi decenni si concentrano sui nazisti contro il popolo ebraico, come il più noto “Schindler List” pure trasmesso sulla stessa rete.
Ma a nostro avviso il film “La venticinquesima ora” è quello che più di tutti gli altri rende centrale e più comprensibile la questione, mettendo in un unico contenitore tanti argomenti: l’odio raziale, la stupidità del militarismo, le beghe poste in campo per ottenere un tornaconto personale, gli artifizi che il militarismo pone in essere per raggiungere un determinato risultato, e tanto altro ancora.
Il film “La venticinquesima ora” lo fa in maniera egregia, grazie non solo al regista francese che lo ha diretto, Henri Verneuil, ma anche ad un gruppo di attori, tutti di valore, a partire da un giovane Antony Quinn, una incredibilmente brava Virna Lisi pure nel ruolo dimesso della vera vittima della storia, e un gruppo di bravi attori di contorno, ma non meno importanti dei protagonisti principali, come Serge Reggiani, che interpreta il dissidente che si fa ammazzare perché al comandante del campo, ora affidato agli Alleati, giunga il suo messaggio di protesta.
E’ un grande film sull’orrore, un film di rara efficacia, di raro afflato epico (scene corali di grande impatto), con interpreti straordinari come Antony Quinn, Michael Redgrave, Serge Reggiani, Virna Lisi, con la direzione perfetta di Henri Verneuil.
Ma è preferibile, a questo punto, raccontare la storia, semplice e complessa nello stesso tempo, che bene evidenzia la stupidità dell’uomo nei confronti degli eventi che gli piombano addosso e che, per imperizia, o disinteresse, o interessi personali, non riesce a controllare.
Il film racconta la storia di un contadino romeno, Johann, cristiano ortodosso, che il comandante locale di polizia, Dobresco, che gli insidia la moglie, vuole mettere in un campo di lavoro per allontanarlo dalla famiglia, con la falsa accusa di essere un ebreo.
L’uomo, nonostante non lo sia e tenti di farlo capire a tutti (si sottopone persino alla umiliazione di mostrare al comandante del campo il pene non circonciso), viene subito internato in un campo di concentramento, dove i suoi reclami non vengono mai presi in considerazione, ma al quale si adatta nonostante le pesanti condizioni di lavoro.
Con l’infuriare della guerra gli eventi drammatici si susseguono e Johann, che si ritrova in un altro campo di concentramento, finisce per collaborare con i nazisti, e viene anche fotografato con una uniforme delle SS.
La situazione cambia, i sovietici avanzano e arrivano nel villaggio rumeno dove uccidono Dobresco e violentano Suzanne mentre Johann finisce arrestato dalle Forze Alleate che lo dovranno poi processare assieme ad altri criminali di guerra in quanto, nella precedente occupazione nazista del campo, un pazzoide gerarca nazista aveva individuato nel mite Johann un raro esemplare della razza ariana, pure se di carnagione olivastra, e la sua immagine era stata pubblicata su migliaia di riviste che lo indicavano come il perfetto nazista, con tanto di mostrine delle SS, elmetto e arma.
Alla fine, grazie ad un volenteroso avvocato, la vera storia di Johann viene alla luce e l’uomo viene finalmente liberato e può riunirsi alla sua famiglia.
Ma l’incontro è molto difficile, sono passati 11 anni dalla separazione di Johann dalla moglie, ed entrambi hanno patito troppe sofferenze: lei è stata anche violentata da un russo e da questo è nato un terzo bambino, ultima vittima della guerra, che il mite Johann accoglie come suo.
All’incontro assiste un giornalista il quale insiste affinché i coniugi ricongiunti sorridano per le foto che verranno pubblicate sui giornali.
Ma essi non sono in grado di farlo, hanno ormai dimenticato cosa sia la felicità.
E tra le lacrime, Johann e la moglie Suzanne riescono solo a fare una smorfia grottesca; una scena di grande intensità che fissa sullo schermo la drammaticità della situazione.
Un film di rara intensità emotiva, che individua nella venticinquesima ora del titolo quella necessaria per la riparazione di tutti i mali del mondo.
Rara intensità emotiva, che accompagna un messaggio di speranza.
Ed è per questo motivo che abbiamo scelto proprio questo film per la celebrazione del nostro giorno della memoria.