Le cronache quotidiane ci parlano continuamente di Venezia, che da qualche settimana sta attraversando momenti difficili per l’acqua particolarmente alta, “acqua granda” come dicono i veneziani, che la sta inondando in continuazione, e sembra non sia prevista una tregua a breve.
Per questo motivo i veneziani, da sempre abituati a convivere con questo fenomeno, si danno da un gran da fare per arginarlo e limitare i danni che purtroppo le inondazioni stanno causando nelle cantine e nei piani bassi dei fabbricati, particolarmente rilevanti per le tante opere d’arte che la città custodisce, ad iniziare dalla cattedrale di San Marco la quale, quest’anno, ha subito danni al momento incalcolabili.
E’ fin troppo facile puntare il dito proprio contro il governo centrale e regionale, e non ci riferiamo solo a quelli attuali, certamente colpevoli per le gravi responsabilità che hanno in quanto da decenni del problema dell’acqua alta a Venezia si disinteressano, pure avendo speso, e continuando a spendere, ma sarebbe meglio dire “sperperare”, fior di quattrini, un fiume non quantificabile in quanto ancora non si riesce a sapere quanti miliardi siano stati già spesi, quanti se ne dovranno ancora spendere, per lavori faraonici, forse inutili, e poi vedremo il perché.
Una prima considerazione va fatta sul fenomeno dell’acqua alta, così denominato perché indica picchi particolarmente alti delle maree, che si verificano periodicamente nell’Adriatico settentrionale, specialmente nella laguna veneziana e provocano allagamenti nell’intera area; infatti non è interessata solo Venezia, ma anche altre città limitrofe tra cui Chioggia, e, sebbene in misura minore, Trieste; è un fenomeno che si verifica specialmente nei mesi autunnali, invernali e talvolta primaverili, e particolarmente in occasione di piogge abbondanti con la concomitanza di venti che spingono le onde verso la terra ferma e non ne consentono il deflusso verso il largo.
I veneziani convivono con il fenomeno dell’acqua alta la quale, fino quando è contenuta entro il limite di 120 centimetri, non preoccupa eccessivamente in quanto la città è organizzata per contenerlo; il problema sorge quando, come in questi ultimi giorni, quel limite viene superato, specialmente in maniera continuativa, per cui non si fa in tempo ad arginare una alluvione che subito dopo ne avviene un’altra; una situazione esasperante che certamente viene vissuta non solo con grande disagio, ma anche con grande preoccupazione in quanto non si sa a che altezza l’acqua potrà arrivare.
Ma non è solo oggi che il fenomeno è così evidente in quanto già nei secoli scorsi emergenze del genere si sono verificate, e se ne trovano tracce anche in opere d’arte, come nel celebre dipinto di Vincenzo Chilone, pittore e scenografo veneziano (1758/1839), a corredo di questo articolo. Il dipinto raffigura Piazza San Marco inondata, e da alcuni elementi si può datare la scena al 9 dicembre 1825 quando le cronache di allora registrarono forte “acqua alta”; le gondole addobbate stanno a dimostrare che all’epoca le inondazioni erano quasi occasioni di divertimento, comunque dimostrano anche che le inondazioni attuali hanno molti precedenti.
Probabilmente all’epoca, con la maggiore stabilità dei fenomeni meteorologi, non stravolti dai recenti cambiamenti avvenuti per colpa di noi uomini, l’acqua non superava determinati altezze che i veneziani potevano controllare; quei limiti purtroppo oggi sono saltati.
Ma fenomeni simili, pure se diversamente denominati, non accadono solo da noi; infatti esistono in Europa, e nel mondo intero, paesi a “depressione continentale”, vale a dire che sono al di sotto del livello dell’oceano (i Paesi Bassi, ad esempio) e alcune zone di altri paesi (Londra in Inghilterra) i quali pure li subiscono. In alcune zone vi sono terre che sono al di sotto del livello dei laghi, come ad esempio il Mar Morto, un gande lago del vicino oriente. Nel mondo vi sono tantissime zone “depresse”.
Il problema degli allagamenti, pertanto, non li ha solo Venezia, e in tanti altri paesi è stato risolto definitivamente da anni; nei Paesi Bassi, ad esempio, le inondazioni del mare sono state bloccate con efficienti sistemi di paratie di sbarramento, dopo il disastro provocato nel 1953 da una inondazione che provocò circa 1800 morti.
Ma anche Londra aveva lo stesso problema alla foce del Tamigi in quanto le acque del canale della Manica, in alcune condizioni particolari, entravano nel fiume e mettevano in pericolo la città. E anche a Londra è stato adottato un sistema di paratie di sbarramento che da anni sta funzionando e non crea problemi.
Il problema di Venezia deriva dalla abitudine, tutta italiana, di voler adottare sempre soluzioni da “Pierino prima della classe”, vale a dire voler cercare di fare qualcosa di diverso dagli altri nonostante le buone esperienze già fatte in altri paesi.
Quando nel 2002 si pensò di installare -alle bocche di porto di Lido, Malamocco e Chioggia, i tre varchi attraverso i quali la marea si propaga dal mare Adriatico in laguna- sistemi di sbarramento che bloccassero l’afflusso delle acque durante gli eventi di alta marea superiori a 110 centimetri, e fino a un massimo di 3 metri, isolando la laguna dal mar Adriatico, vennero prese in esame anche le opere fatte a Rotterdam e a Londra, la caratteristica delle quali è che non sono immerse nelle acque, ma sopraelevate, vale a dire non subiscono i danni che il metallo ha se immerso in acqua che, specialmente se salata, lo deteriora subito e irrimediabilmente.
In precedenza, allorquando in Olanda e in Inghilterra si era posto il problema delle paratie, pure erano stati ipotizzati sistemi sommersi simili al nostro Mose, che vennero però scartati proprio in considerazione della immersione in acqua delle paratie e dei danni che ciò avrebbe comportato, oltre che per la costosa manutenzione; e venne deciso di adottare le paratie sopraelevate, che hanno dato buoni risultati: da anni funzionano senza problemi e con bassi costi di manutenzione.
All’epoca un lavoro alternativo, sul tipo delle paratie sopraelevate di Rotterdam o di Londra, sarebbero costate non più di 1.miliardo e 200.milioni; noi finora abbiamo spesi circa 8.miliardi.
Ma a noi quei “mostri” emergenti dal mare sembrarono indecorosi, dannosi per il paesaggio, e chi sa quanto gli ambientalisti abbiano influito sulla decisione di optare per il sistema sommerso; venne varato, quindi, il progetto “monstre” denominato MO.S.E, acronimo di Modulo Sperimentale Elettromeccanico, il cui cantiere venne aperto un anno dopo, nel 2003, e non ci fu verso di convincere Stato e Regione Veneta a cambiare idea, nonostante l’altissimo costo che già all’epoca si prevedeva di dover sopportare per la costruzione, e per la manutenzione.
Allora erano al governo del paese F.I. e Lega, alias Silvio Berlusconi e Umberto Bossi, e la Regione Veneto era governata da Giancarlo Galan, successivamente accusato di aver intascato tangenti proprio per il Mose, e nel 2005 divenne Vice presidente Luca Zaia, attuale Governatore della Regione, all’epoca braccio destro proprio di Galan.
Non sappiamo se questa decisine non sia stata influenzata anche dai rilevanti oneri economici che l’opera comportava, sul presupposto, poi rilevatosi purtroppo fondato, che più alta è la spesa, più alte sono le tangenti: può sembrare una malignità ma, “a pensar male si fa peccato, ma quasi sempre ci si azzecca”, come diceva il “buon” Giulio.
Fina ad ora nessuno sa esattamente quanto sia costata l’opera (si parla dai cinque agli otto miliardi) né quante siano le tangenti pagate, ma si sa che l’opera è al 90% per cento circa, mancano alcune cose finali, quantificate in circa il 10% per il suo completamento, ma le verifiche fatte, specialmente in questi ultimi frangenti, fanno ritenere che allorquando il lavoro sarà completato, non potrà andare in funzione perché molti meccanismi sott’acqua sono arrugginiti e dovranno essere sostituiti.
C’è chi dice che quest’opera non potrà mai entrare in funzione proprio per questi problemi, ma fermarsi a questo punto e partire daccapo è impensabile: significherebbe aver bruciato i miliardi già spesi, aver perso inutilmente circa 20 anni di tempo, e occorrerebbero almeno altri dieci anni per smantellare quello che è stato fatto e adottare uno dei sistemi già sperimentati altrove; insomma se ne riparlerebbe tra un trentennio.
Ed è per queste ragioni che si guarda a Venezia con la tristezza della nota canzone (“Que c’est triste Venise “è un brano musicale di successo internazionale scritto nel 1964 da Françoise Dorin e interpretato da Charles Aznavour) che ha dato il titolo questa estrema sintesi del problema Mo.S.E. che, se fosse stato funzionante, gli attuali danni subiti dalla città lagunare li avrebbe certamente evitati; ma, ripetiamo, potrà mai entrare in funzione questo mostro, e tra quanti altri anni e quanti altri miliardi ci vorranno?
Chi vivrà, vedrà.