Il 12 dicembre è stata ricordata, a cinquant’anni dall’avvenimento, la strage del 12 dicembre 1969, la strage di piazza Fontana, dove una bomba provocò morti e feriti e uno strascico di avvenimenti che si protrae da cinquant’anni.
E’ stata chiamata in tanti modi, uno fra i tanti “la strage degli innocenti”, ed è un titolo molto appropriato in quanto tutte le vittime di quell’attentato erano davvero innocenti, nessuna di esse si era resa responsabile di alcun delitto, ma era solo lì, nel momento della esplosione, per fare il proprio dovere di lavoratore, di imprenditore, di agricoltore, in quanto la bomba scoppiò all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura, in un grigio, freddo e piovoso pomeriggio di un venerdì, nel mentre si stavano registrando le contrattazioni avvenute.
Tante altre “Stragi degli innocenti” il nostro paese avrebbe subito successivamente, ma quella fu la prima di una strategia che mirava a fini ben precisi, vale a dire la destabilizzazione della nostra democrazia, per dare spazio ad un estremismo eversivo, poi accertato di estrema destra, e per avviare il paese verso una dittatura sul tipo di quelle della Grecia dei Colonnelli, della Spagna di Franco e in Cile di Pinochet.
Un disegno sovversivo che non era stato possibile realizzare in altro modo in quanto la nostra democrazia era ben sorvegliata dal popolo che -venuto da un ventennio di violenze e sopraffazioni del regime del Duce, e da una guerra sanguinosissima che aveva distrutto il nostro paese e mezza Europa e fatto milioni di vittime- con l’esperienza che avevano maturato i padri costituenti, era ben vigile: erano forze democratiche, cattoliche, cristiane ma anche socialiste e comuniste, che sulla propria pelle avevano i segni del periodo storico appena trascorso.
E giacché le forze eversive non riuscivano a trovare una strada che portasse ad un nuovo regime, avevano escogitato un piano di eversione che partì proprio dalla strage di Piazza Fontana.
Tutti i sospetti vennero abilmente indirizzati verso la sinistra, democratica e non, sulla base di un ragionamento semplicistico, al quale gran parte del paese credette: la sinistra, non avendo potuto conquistare politicamente il parlamento, tendeva a colpire economicamente il sistema partendo dall’attacco della classe imprenditoriale nella quale, all’epoca, gli imprenditori agricoli erano una forza notevole, e venivano visti come sfruttatori della classe operaia più incolta, quella che lavorava nell’agricoltura, sottopagata e con scarsi diritti.
Questa strategia inizialmente funzionò, complice una parte della politica, i servizi, forze di governo, funzionari dello stato, parte delle forze dell’ordine anche di grado elevato. E provocò altri morti oltre quelli della bomba.
Ma tutto questo è ormai storia nota e i media lo hanno ampiamente ricordato in occasione delle celebrazioni del cinquantenario, alle quali hanno partecipato tutte le Istituzioni, primo fra tutti il Presidente Mattarella.
Desidero dare il mio personale contributo alla commemorazione di quel massacro, al quale non partecipai direttamente, nel senso che, all’epoca, non ero un dipendente della Banca Nazionale dell’Agricoltura, ma lo sarei diventato qualche anno più tardi allorquando la banca della quale facevo parte venne da essa incorporata.
Quel triste episodio l’ho vissuto in maniera, per così dire, distaccata, pure se nell’ambiente bancario se ne parlava, ci si interrogava. Solo undici anni più tardi, incominciarono i contatti con i colleghi dell’altra banca che lo avevano vissuto direttamente, alcuni in prima persona, e anche con qualcuno di essi che era scampato quasi miracolosamente. E solo allora mi sentii veramente vicino ad essi e partecipe diretto del loro dolore.
Ed è proprio con i ricordi di uno di essi, caro collega e grande amico, che desidero celebrare, nel mio piccolo, quell’evento, riportando una parte delle riflessioni che ho letto sul suo blog giornalistico, “Mar dei Sargassi”.
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“”La notizia della bomba deflagrò nelle case con il telegiornale della sera.
“”Il senso delle parole – bomba ad alto potenziale, salone di una banca affollato – fu compreso dai più vecchi che lo tradussero immediatamente in immagini tratte dall’archivio di una memoria ancora fresco di dolore. Per i più giovani, per quelli come me, che avevo diciannove anni, le notizie di quella sera e dei giorni seguenti stravolsero e cambiarono il segno di ciò che stavamo vivendo in quei mesi del 1969. Le piazze colorate, i cortei sempre più numerosi, una gioventù che voleva vivere il sogno di un futuro svincolato dalle regole, dalle imposizioni, dai condizionamenti di un autoritarismo che in famiglia come nelle scuole e nelle università sembrava appartenere per sempre al passato.
“”La bomba a Milano, nel salone della Banca Nazionale dell’Agricoltura, quel pomeriggio del 12 dicembre 1969, rubò a tutti noi giovani l’innocenza. Scoprimmo da quel momento, e sempre di più negli anni che seguirono, che lo “Stato non era di tutti, sopra tutti, severo ma vincolato alle leggi”: quello Stato si sarebbe invece frapposto con tutta la forza dei suoi apparati tra noi e il nostro sogno di un futuro diverso.
“”I servizi segreti, una parte consistente del governo, tutte le diverse anime della destra politica, i principali organi di informazione, una magistratura compiacente diressero gli effetti di quella bomba prima contro il movimento operaio e studentesco e dopo, per cinquant’anni, contro tutti coloro che chiedevano che giustizia fosse fatta e che quei diciassette morti potessero riposare in pace.
“”Lo Stato, questo Stato, ha rifiutato di processare se stesso, lo ha fatto usando tutti i mezzi a sua disposizione, cercando innanzitutto di fiaccare la resistenza dei familiari delle vittime, delle diciassette vedove costringendole a seguire duecento udienze del processo a Catanzaro, a più di mille chilometri di distanza dalle loro case, dai propri figli e dalle proprie occupazioni. Nessuno mosse un dito contro questo “stupro giudiziario” e coloro, fra i magistrati, che provarono a protestare furono intimiditi, denunciati al Consiglio Superiore della Magistratura, sospesi dal servizio.
“”La spessa cortina fumogena che ha avvolto l’iter giudiziario relativo ai fatti di Piazza Fontana e a quelli a essi immediatamente limitrofi, composto di cinque processi per oltre mille udienze, consente ancora in questi giorni di riproporre una lettura delle responsabilità ridotta a una storia di opposti estremismi, mal sorvegliati e mal inquisiti e di una magistratura divisa tra componenti politiche.
“”Quella indecifrabilità dei percorsi investigativi e giudiziari, la miriade di piste autentiche e scientemente falsate, le numerose ricostruzioni dei diversi soggetti ha prodotto un fiorire di libri su Piazza Fontana, ventuno solo in questo anno, alcuni dei quali, come quello di Guido Salvini (Il Giudice Istruttore che negli anni ‘90 riaprì le indagini, da molti anni a Milano ferme, sull’eversione di destra e su piazza Fontana), “La maledizione di Piazza Fontana”, destinati a provocare polemiche accesissime, senza però produrre quello che i familiari delle vittime auspicano: la riapertura delle indagini e un nuovo processo che metta, con autorevolezza, la parola fine alla vicenda, restituendo agli organi dello Stato e alla magistratura una qualche credibilità.
“”Furono i trecentomila volti tesi dalla indignazione, impassibili, in una Piazza Duomo gremita all’inverosimile, senza che nemmeno un fruscio fosse udibile, il 15 dicembre 1969, fu quel grido muto di indignazione e di denunciache restituì a una parte della mia generazione, dopo l’innocenza perduta, almeno la speranza.
“”Da allora, dopo i funerali delle vittime qualcosa cambiò.
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Parole e ricordi che ancora oggi, a distanza di mezzo secolo, fanno accapponare la pelle, specialmente alla luce dei comportamenti di taluni personaggi politici attuali che ancora si ostinano, per puri interessi elettoralistici e di poltrona, a propagare divisioni, barriere, localismi non solo anacronistici ma dannosi per il nostro paese.
Il che mi induce ad una esortazione: ricordare non solo per tramandare ai giovani la storia martoriata di questo paese, specialmente la più recente, ma anche e specialmente per richiamare l’attenzione delle nuove generazioni sulle tragiche conseguenze che un malinteso sentimento di nazionalismo può provocare.