Vorrei oggi andare un po’ a ritroso nel tempo e amplificare ancora la poesia della vita attraverso William Blake, in particolare “Canto all’innocenza”.
Canto all’Innocenza parla, come avrete capito, dei bambini.
In particolare il poeta si riferisce al periodo stesso in cui vive che attraversa la fine del 700 per arrivare agli inizi dell’800.
Consiglierei al lettore di oggi di leggere o no “Il signore delle mosche” o anche semplicemente il suo incipit per i più pavidi lettori.
E William Blake di purezza proverbiale ne aveva. Il contesto quello che si va affermando verso la liberazione dalla schiavitù della popolazione africana trasportata forzatamente, come molti migranti oggi, nei paesi incontaminati delle Americhe.
La storia di queste popolazioni, nella libera espressione della loro cultura hanno ispirato molti di noi contemporanei riducendoci all’osso per il loro profondo amore per la vita. Basti pensare al blues e di conseguenza al pop e alle stonature che si intessono in quei campi aratri nella violenza dello stesso principio succitato. Liberazione a questi popoli e che il passato si riveli essere per loro solo un brutto sogno nella cittadinanza e nell’educazione.
Ora tornando a noi vorrei affrontare l’innocenza. Ovviamente come tutti gli scrittori romantici Blake usa un concetto lontano mille miglia, ovvero un bambino coloratissimo che gli chiede di cantare ancora il suo poema nella sottoscrizione di un futuro migliore per i bambini dei popoli. Un’ode dunque all’innocenza che prevede un restare sognatori dinanzi alle bruttezze dell’uomo e l’incommesurabile struttura dei paesi in via di libertà dal neocolonialismo ed infine dinanzi a quella natura che crea l’uomo per poi riabbracciarlo, in quel periodo di stenti e di azione.
Politicamente parlando l’engagement è qualcosa che rende l’uomo più libero dei suoi principi strutturali e poetici, sbaglierei a citare i francesi insonnolentiti da una rivoluzione che portò al trionfo della vanagloria, ma c’è anche questo.
I neri africani tutti, qualcuno escluso hanno subito atrocità e la cultura vive nelle spoglie miserie di vite inermi come ad esempio le donne bibliche e l’isonorità di molte bambine.
Chiederei a Blake, perché poni ancora l’uomo e l’Umanesimo dinanzi a tutto?
La risposta sarebbe inevitabile, il colore; (come il suo amico Wordsworth annuncerebbe di lì a poco.
Nel colore delle vite umane c’è una desinenza che gli afroamericani oggi hanno compreso perfettamente.
La violenza, il potere non sono concetti associabili, però, ad un colore.
Gli occhi dei “figli di un dio minore” sono ovunque, ascoltatelo e amatelo. Nessuno è più vendicativo della nostra stessa vita.
Alla prossima con la Bibbia, secondo William Blake.