Ci ha lasciato il 17 ottobre, all’età di 77 anni, Angelo Licheri, il tipografo sardo che 40 anni fa, il 10 giugno 1981, fu protagonista di una impresa eroica, il tentativo di salvare il piccolo Alfredino Rampi che era precipitato in un pozzo artesiano molto profondo nelle campagne di Vermicino, paese alle porte di Roma che collega la capitale a Frascati.
“Un uomo umile e generoso, l’eroe della porta accanto, nel quale si incarnò la speranza di tutta l’Italia di rivedere sano a salvo Alfredino Rampi”: così lo ha ricordato il presidente della Regione Sardegna, Christian Solinas. “Il suo esempio di altruismo e di eroica generosità, ha aggiunto, ci rende orgogliosi come sardi e resterà vivo nei nostri cuori, così come il ricordo della piccola vittima della tragedia. Sono certo che Alfredino lo abbia accolto in Cielo, con quell’abbraccio che purtroppo, quel giorno, non fu possibile”.
Della tragedia di Alfredino Rampi abbiamo già parlato il 19 gennaio 2019, in occasione dell’analoga morte del piccolo Julen, un bambino inglese che nei giorni precedenti aveva fatto la stessa tragica fine, era caduto in un cunicolo profondo e non era stato possibile estrarlo vivo.
Una serie di leggerezze e superficialità fece sì che non venisse individuato immediatamente il cunicolo nel quale era caduto Alfredino cosa che aggravò la situazione.
Dopo quasi tre giorni di inutili tentativi di salvataggio, il bambino morì dentro il pozzo a una profondità di circa 60 metri. La vicenda ebbe un enorme impatto sulla stampa e nell’opinione pubblica italiana, anche grazie alla diretta televisiva della Rai durante le ultime 18 ore del caso; è considerato il primo dei casi mediatici del nostro paese.
La vicenda, che fece scalpore, mobilitò tante persone che fecero diversi tentativi nel tentativo di estrarre il bambino dal cunicolo.
Tra gli altri alle prime luci dell’alba del giorno successivo giunse sul posto un gruppo di giovani speleologi del Soccorso alpino, che si offrirono come volontari per calarsi nel cunicolo, e alcuni di essi, di corporatura esile, lo fecero inutilmente, perché a circa 20 metri di profondità lo stesso risultò ostruito da una tavoletta che precedentemente era stata calata legata ad una corda, con la vana speranza che il bimbo vi si fosse attaccato, e si era incastrata in un’ansa e al tentativo di tirarla su la corda si era spezzata.
Frattanto i VV.FF. avevano cominciato a pompare ossigeno nel cunicolo per evitare che il bambino morisse asfissiato.
Angelo Licheri era di Gavoi, uno sconosciuto paesino della Sardegna in provincia di Nuoro, che in quella occasione balzò alla ribalta nazionale, si era trasferito a Roma e faceva il tipografo.
Non era nemmeno uno speleologo, ma, dopo aver sentito le cronache radiofoniche trasmesse, decise di recarsi a Vermicino e tentare il salvataggio; era di corporatura estremamente esile, magrissimo, e venne autorizzato a imbracarsi e scendere nel cunicolo a testa in giù; dimostrò, nel corso della discesa, notevole perizia e la sua testardaggine gli consentirono di raggiungere il bimbo che in quel momento si trovava a circa 60 metri di profondità; quindi era scivolato ancora di più, probabilmente a causa delle vibrazioni del terreno derivanti dalla trivellazione di un altro cunicolo parallelo attraverso il quale si intendeva raggiungere il bambino attraverso una galleria orizzontale: questo aveva aggravato la situazione.
Angelo Licheri, nella otte fra il 12 e il 13 giugno, riuscì a raggiungere Alfredino, gli parlò, fece vari tentativi per agganciarlo, con corde e anche con le mani (successivamente si scoprì che uno dei polsi del bimbo era fratturato probabilmente per la presa da parte del Licheri) ma dopo 45 minuti (tempo incredibilmente lungo rispetto ai 25 previsti) dovette rinunciare, e venne estratto con numerose ferite delle quali ha portato le cicatrici fino alla morte, avvenuta in una Casa di riposo di Nettuno.
Successivamente altri speleologi vennero autorizzati a calarsi nel budello, ma fu tutto inutile.
Nella mattinata del 13 giugno si accertò che il bimbo era morto, e nel cunicolo venne immesso azoto liquido perché il corpo non si decomponesse.
Fu recuperato solo l’11 luglio successivo (28 giorni dopo) da parte di una squadra di minatori che lo raggiunsero attraverso il cunicolo parallelo frattanto terminato.
L’episodio ebbe una risonanza mediatica enorme, le tre reti della TV nazionale e numerose emittenti private, qualcuna anche estera, seguirono la vicenda in diretta, sul luogo confluirono oltre 1o mila persone, fu il primo evento del paese che si trasformò in una kermesse stile americano, si intravide anche qualche furgone che vendeva cibo e bevande.
La ininterrotta diretta TV catturò l’attenzione di circa 21 milioni di persone, che rimasero per ore davanti al televisore per seguire lo svolgimento degli eventi.
All’epoca la questione della copertura mediatica delle tragedie private non era affatto scontata come in seguito sarebbe: per la diretta sulla tragedia di Vermicino fu coniata l’espressione “tv del dolore”.
A riprova del grande interesse manifestato dal pubblico per la sorte del bambino, Giancarlo Santalmassi, giornalista della Rai, riferì che la sera di venerdì 12 giugno la diretta era stata interrotta sul primo canale per trasmettere una tribuna politica con ospite Pietro Longo: ma i centralini della Rai furono tempestati di telefonate del pubblico, che chiedevano si tornasse a parlare del caso di Vermicino.
Ma l’emozione per la disgrazia di Alfredino fu autentica, e pure il Presidente Pertini si recò sul luogo, ci rimase una intera notte e riuscì a parlare con il piccolo attraverso un impianto sonoro fornitogli dalla Rai.
Successivamente si sarebbero scatenate numerose polemiche sui soccorsi, particolarmente nei confronti dei Vigili del Fuoco il cui capo, Elveno Pastorelli, che aveva autorizzato lo scavo di un cunicolo parallelo nonostante fosse stato avvertito che questo avrebbe comportato il rischio che le vibrazioni prodotte dalle trivelle avrebbero potuto provocare scivolamenti del bambino.
All’epoca la Protezione civile in Italia, oggi accreditata come una delle più efficienti d’Europa, esisteva solo sulla carta, non c’era la minima organizzazione che consentisse di far fronte ad eventi del genere, e fu solo dopo il terremoto dell’Irpinia del novembre 1980 che essa incominciò a prendere forma, grazie a Giuseppe Zamberletti che ne gettò le basi; quindi alla tragedia di Vermicino, sei mesi dopo, era appena nata.
Ed è per questo motivo che, fino al 1980-81, i soccorsi si basavano esclusivamente sugli interventi dei Vigili del fuoco, dell’Esercito per le occorrenze eccezionali, e sulla buona volontà individuale da parte di “angeli” che, come Licheri, rischiavano la vita per andare in aiuto degli altri.
Ed è per queste ragioni che abbiamo voluto rendere omaggio a Licheri, in occasione della sua morte, come un Angelo che soccorse un piccolo Angelo.
Ed è auspicabile che il suo paese natio dedichi a questo eroe un parco o una strada.