In data 27 agosto 2022 abbiamo pubblicato la prima parte di questa ricostruzione dei rapporti tra Giulio Andreotti e Cosa Nostra (vedi link https://www.ulisseonline.it/controluce/andreotti-e-la-mafia/) e, per essere il più possibile precisi nella citazione di circostanze, testimonianze, indagini, eccetera, abbiamo dovuto dividere l’articolo in due parti, questa è la seconda.
L’attività di indagine nei confronti del senatore Andreotti era partita dagli accertamenti avviati in seguito all’omicidio dell’eurodeputato democristiano Salvo Lima, leader della corrente andreottiana in Sicilia, avvenuto a Mondello il 12 marzo 1992; il processo era nato come filone investigativo connesso alle verifiche riconducibili a tale delitto: diversi collaboratori di giustizia riferirono del legame fra Salvo Lima, Giulio Andreotti e Cosa Nostra.
A conclusione del primo grado di giudizio, gli ex membri di sodalizi di tipo mafioso, le cui dichiarazioni vennero acquisite in dibattimento, furono 41, fra cui: Leonardo Messina; Gaspare Mutolo; Francesco Marino Mannoia; Angelo Siino; Tullio Cannella; Antonino Mammoliti; Gioacchino La Barbera; Tommaso Buscetta; Antonino Calderone; Baldassarre Di Maggio; Gaetano Costa; Salvatore Cancemi; Vincenzo Sinacori; Salvatore Cucuzza; Marino Pulito; Alfonso Pichierri; Paolo Severino; Antonio Calvaruso; Salvatore Annacondia; Enzo Salvatore Brusca; Giovanni Brusca; Emanuele Brusca; Benedetto D’Agostino; Federico Corniglia; Bartolomeo Addolorato.
Quasi tutti confermarono, da vari punti di vista, che erano fondate le circostanze che avevano portato gli investigatori a sospettare che i collegamenti fra Andreotti e Cosa Nostra ci fossero effettivamente stati, direttamente o per interposta persona.
Il dibattimento di primo grado, protrattosi per circa 250 sedute, venne dichiarato formalmente chiuso il 19 gennaio 1999: era iniziato a settembre 1995.
In quella seduta la Pubblica Accusa cominciò ad esporre la propria requisitoria che si concluse, dopo 23 udienze, l’8 aprile 1999; in tale data il P.M. Roberto Scarpinato chiese la conferma della responsabilità penale di Giulio Andreotti per i reati a lui ascritti, con condanna alla pena di 15 anni di reclusione.
Nella stessa udienza il difensore della parte civile del Comune di Palermo concluse richiedendo l’affermazione della responsabilità penale dell’imputato in ordine ai reati attribuitigli, con condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non, oltre alle spese processuali, per offesa all’immagine della città.
La Difesa iniziò le proprie conclusioni all’udienza del 18 maggio 1999 e continuò in tale impegno per un numero complessivo di 24 sedute, concludendo il 5 ottobre 1999 con la richiesta di assoluzione dell’imputato da tutte le imputazioni ascrittegli perché, a suo dire, il fatto non sussisteva.
Il 23 ottobre 1999 la Quinta Sezione Penale del Tribunale di Palermo assolse Andreotti, dopo una camera di consiglio durata 11 giorni, da entrambe le imputazioni ascritte perché “il fatto non sussiste”: in pratica aveva accolto le tesi della difesa, pure riconoscendo l’esistenza di rapporti fra Andreotti e i cugini Antonino e Ignazio Salvo, nonché con il parlamentare Salvo Lima per il quale era stata accertato il legame con Cosa Nostra ancor prima del legame con Andreotti.
Insomma la formula assolutiva si accompagnò alla formula dubitativa, nonché all’accertamento di legami con Michele Sindona, il finanziere siciliano legato a Cosa Nostra, proprietario della Banca Privata Italiana e della Franklin National Bank, e ai legami anche con Licio Gelli, faccendiere e criminale italiano, noto come «Maestro venerabile» della loggia massonica segreta P2.
Il Tribunale riconobbe, comunque, un deciso impegno istituzionale di Giulio Andreotti contro Cosa Nostra “nell’esercizio dei poteri inerenti alla carica di Presidente del Consiglio dei Ministri negli anni 1989-1992”.
Contro la sentenza del Tribunale vennero proposti due appelli: uno da parte dei P.M. di Palermo che avevano rappresentato la Pubblica Accusa nel primo grado di giudizio, l’altro da parte della Procura Generale presso la Corte d’Appello di Palermo.
Il processo di secondo grado si aprì il 19 aprile 2001 di fronte alla Prima Sezione Penale della Corte d’Appello di Palermo.
La Pubblica Accusa fu sostenuta da i sostituti Procuratori Generali Anna Maria Leone e Daniela Giglio.
Il collegio difensivo dell’imputato era nuovamente composto dagli avvocati Franco Coppi e Gioacchino Sbacchi (con l’avv. Giulia Bongiorno in riserva).
Fu presente, ancora una volta, quale parte civile, il Comune di Palermo.
Il 14 marzo 2002, concludendo la requisitoria iniziata il 25 ottobre 2001, la sostituta P.G. Anna Maria Leone chiese il riconoscimento della responsabilità penale di Giulio Andreotti in ordine ai reati e alle circostanze aggravanti ascrittegli, con condanna alla pena di 10 anni di reclusione.
Nella stessa udienza il difensore della parte civile concluse richiedendo l’affermarsi della responsabilità penale di Giulio Andreotti in ordine ai reati e alle circostanza di pena ascrittegli, con condanna dello stesso al risarcimento dei danni patrimoniali e non (oltre alle spese processuali), per offesa all’immagine della città.
All’udienza del 18 aprile 2002 la Difesa diede inizio alla formulazione delle proprie conclusioni.
Il processo di appello andò per le lunghe, tant’è che nelle udienze del 16 gennaio 2003 e del 14 marzo 2003 fu disposta la riapertura della fase dibattimentale per permettere l’esame della disponibilità di collaborare da parte di Nino Giuffrè e di Giuseppe Lipari, due affiliati di Cosa Nostra arrestati tra l’inverno 2001 (Lipari) e la primavera 2002 (Giuffrè).
I due espressero tesi contrastanti, per cui la difesa di Andreotti richiese il rigetto dei due appelli e la conferma della sentenza impugnata.
Il 2 maggio 2003, la Prima Sezione Penale della Corte di Appello di Palermo, dopo una camera di consiglio durata otto ore, dichiarò, in parziale riforma della sentenza di grado precedente, non doversi procedere nei confronti di Giulio Andreotti in ordine al reato di associazione per delinquere, confermando sostanzialmente la precedente sentenza, sia pure con qualche distinguo; qualche reato fu ritenuto prescritto e venne privilegiata la tempistica dei fatti, legata ai diversi vertici che avevano retto Cosa Nostra.
E non fu diversa la conclusione del terzo grado di giudizio, con proposizione di due ricorsi in Cassazione, uno da parte della Difesa di Andreotti, l’altro da parte della Procura della Repubblica di Palermo.
Il processo di terzo grado si aprì e si concluse nelle udienze del 14 e 15 ottobre 2004, a Roma, davanti alla Seconda Sezione Penale di Cassazione, presieduta dal dott. Giuseppe Maria Cosentino, con giudici consiglieri dott. Maurizio Massera dott. Antonio Morgigni, Francesco De Chiara e Carlo Podo.
Nell’udienza del 14 ottobre si procedette dapprima alla relazione della causa; poi il sostituto Procuratore Generale Francesco Iacoviello pronunciò la sua requisitoria, che si concluse con la richiesta di rigetto dei ricorsi intervenuti.
Successivamente il difensore della parte civile, l’avv. Salvatore Modica, formulò le proprie conclusioni richiedendo l’accoglimento del ricorso della Procura Generale e il rigetto del ricorso dell’imputato, con condanna del medesimo al risarcimento dei danni patrimoniali e non, per offesa all’immagine della città, oltre alle spese processuali; in subordine, l’applicazione della prescrizione con rinvio del processo al giudice civile.
Da ultimo la Difesa (avv. Giulia Bongiorno e avv. Franco Coppi) concluse con la richiesta del rigetto del ricorso della Procura Generale e l’accoglimento del ricorso dell’imputato con annullamento senza rinvio della sentenza di secondo grado.
Il 15 ottobre, dopo una camera di consiglio durata due ore, la Seconda Seziona Penale della Corte di Cassazione dispose il rigetto dei ricorsi presentati con condanna di Giulio Andreotti al pagamento delle spese processuali e con conseguente conferma del giudizio di secondo grado.
Il 28 dicembre 2004 furono depositate le motivazioni della sentenza di Cassazione, firmate da tutti i componenti del collegio: anche i Giudici della Cassazione, in conclusione, sentenziarono che Giulio Andreotti è stato un associato di Cosa Nostra fino alla primavera del 1980, momento a far data dal quale ha inteso dissociarsi dal sodalizio arrivando finanche a promuovere, all’interno degli ultimi suoi gabinetti (1989-1992) provvedimenti normativi di contrasto alla criminalità mafiosa.
Inimmaginabile un pasticcio peggiore.
In conclusione possiamo solo dire che certamente Giulio Andreotti fu legato alla Mafia, tanti fatti e tanti rapporti inducono a questa considerazione, e la circostanza che non sia mai condannato può dipendere tanto dalla avvenuta prescrizione per taluni reati, quanto dalle assoluzioni.
Comunque su Andreotti, contrariamente a Silvio Berlusconi, c’è da dire che non risulta sia stato finanziariamente sovvenzionato dalla Mafia, né che sia mai scappato dai processi.
E non è da considerarsi ininfluente il comportamento personale dei due; Andreotti, al contrario di Berlusconi, ha sempre avuto un comportamento dignitoso, da statista, al contrario dell’altro che, indipendentemente dalle condanne avute per i rapporti anche finanziari con la Mafia e per il suo trascorso personale tra scandali, olgettine, corruzioni di minorenni, per i quali vi sono tuttora processi, in corso, non ha mai avuto, a nostro avviso, un comportamento degno di un vero statista: basta ricordare le battute fatte in più occasioni ai danni della Cancelliera tedesca Angela Merkel.
30.08.2022 – By Nino Maiorino – Per dovere di obiettività a per il rispetto della verità ritengo opportuno che i lettori vadano a leggere la lettera scritta a Ulisse dal figlio Stefano Andreotti, e pubblicata sul giornale in data 30 agosto 2022. Nino Maiorino
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