scritto da Nino Maiorino - 27 Agosto 2022 09:31

Andreotti e la Mafia

Il 15 agosto scorso abbiamo pubblicato un articolo sulla fortuna miliardaria di Berlusconi  clicca qui  con documentate testimonianze della origine dell’uomo più ricco d’Italia e uno dei più ricchi del mondo, e con qualche collegamento anche con le vicissitudini di Bettino Craxi che da uomo politico molto importante e influente diventò un esiliato.

Ma certamente non sono stati solo loro due ad avere avuto trascorsi chiacchierati, il primo per comprovati rapporti con Cosa Nostra, il secondo per finanziamento illecito dei partiti, tra cui il PSI.

Ma entrambi si sono distinti, dal punto di vista giuridico, per aver tentato in tutti i modi di difendersi non nei processi a loro carico, piuttosto “dai” processi, contestando ai vari Giudici la loro titolarità a giudicarli, giustificando queste loro tesi come presunte persecuzioni nei loro confronti.

Questo ci spinge a fare due considerazioni: la prima è se ci siano stati, dal dopoguerra ad oggi, altri uomini politici che abbiano ugualmente contestato ai Giudici la mancata titolarità ad essere processati e giudicati; la seconda è se ci siano stati uomini politici i quali non solo abbiano accettato di sottoporsi al giudizio della Magistratura, ma si siano fatti un punto di onore di difendersi “nei” processi che li riguardavano.

In verità a nostra memoria nessun uomo politico di quei decenni si è mai sottratto ai giudizi, anzi ce n’è stato qualcuno, come il Presidente della Repubblica Giuseppe Leone, il quale, pure se ingiustamente accusato di corruzione dalla giornalista dell’Espresso Camilla Cederna e costretto, per questo, a dimettersi, venne poi prosciolto da ogni accusa, e la Cederna e L’Espresso furono condannati.

Ma il caso che più ha colpito nel dopoguerra è quello di Giulio Andreotti, uno dei politici più importanti e più longevi della cosiddetta “prima repubblica”.

Il neologismo “seconda repubblica” venne coniato da Silvio Berlusconi appena sceso in campo, evidente per fraintendimento in quanto una “seconda” repubblica avrebbe comportato la modifica sostanziale della Carta Costituzionale, cosa che non è mai avvenuta.

La Francia può ben fregiarsi di essere una seconda repubblica, anzi addirittura “quarta” (le altre erano precedenti)  perché oggi è frutto di una radicale modifica costituzionale, voluta dal Presidente Charles de Gaulle dopo la Seconda Guerra Mondiale, che ha portato alla elezione del Presidente della Repubblica direttamente da parte degli elettori, e gli ha attribuito poteri superiori a quelli che ha il nostro Presidente Mattarella, il quale è ancora imbrigliato nella Carta Costituzionale originaria, approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1º gennaio 1948.

Pertanto, checché ne dicano Berlusconi e vari altri politici, il nostro paese è ancora nella prima repubblica.

C’è mancato poco, comunque, che la Carta Costituzionale venisse modificata, come proposto da Matteo Renzi durante il suo governo; in quel caso, in virtù delle modifiche che Renzi aveva proposto, la Carta sarebbe stata radicalmente modificata, e a buon titolo la nostra avrebbe potuto denominarsi “seconda repubblica.”

Questa sembra una trasgressione rispetto all’argomento che vogliamo trattare, ma riteniamo importante ricordarlo a quei lettori con memoria corta o che ignorano le cose.

E torniamo, adesso, a Giulio Andreotti, politico longevo che per oltre trent’anni ha avuto un potere a volte ritenuto esagerato, per sette volte è stato Presidente del Consiglio e per ventuno volte Ministro.

Ma Giulio Andreotti era veramente legato alla Mafia?

Questa è la domanda che prima di noi si sono posti valenti magistrati, che lo rinviarono a processo ai quali il “divo” Giulio non si è mai sognato di scappare, anzi è stato sempre presente pure fisicamente nel corso degli stessi.

E non è che fossero processi di poco conto o di scarsa importanza, in quanto i magistrati che indagarono sulle relazioni tra Andreotti e la Mafia, erano il fior fiore della magistratura di quegli anni.

Parliamo di Magistrati come Giancarlo Caselli, Guido Lo Forte, Gioacchino Natoli e Roberto Scarpinato, e altri di varie Autorità giudiziarie di Palermo, Perugia e Roma tra il 1993 e il 2004.

Giulio Andreotti ha subito diversi processi in più Tribunali, tra i quali quello di mandante dell’omicidio del Giornalista Mino Pecorelli.

Ma il processo per eccellenza ad Andreotti è il procedimento penale che lo coinvolse i per i reati di partecipazione ad associazione a delinquere ‘semplice’ (art. 416 c.p.) e di tipo mafioso (art. 416 bis c.p.).

Si celebrò, nei suoi tre gradi di giudizio, presso i Tribunali di Palermo e Roma tra il 1993 e il 2004.

Esso è entrato nel vocabolario giudiziario italiano come “il processo del secolo”: per la prima volta Giulio Andreotti veniva chiamato a rispondere, in una sede giudiziaria, dei suoi rapporti con Cosa nostra.

Il senatore a vita fu iscritto nel registro dei reati il 4 marzo del 1993.

In considerazione dell’immunità prevista dall’art. 68 della Costituzione, il 27 marzo 1993 era stata inoltrata agli Uffici di Presidenza del Senato della Repubblica la richiesta di autorizzazione a procedere; la Procura della Repubblica di Palermo richiese di poter procedere nei confronti di Giulio Andreotti per i reati di cui agli artt. 110 e 416 c.p. (concorso ‘esterno’ in associazione per delinquere ‘semplice’) e agli artt. 110 e 416 bis c.p. (concorso ‘esterno’ in associazione di tipo mafioso).

Il 6 maggio 1993 la Giunta delle autorizzazioni e delle immunità del Senato della Repubblica diede parere positivo sulla richiesta di autorizzazione a procedere.

Il 13 maggio 1993 il Senato della Repubblica concesse, su richiesta dello stesso Andreotti, l’autorizzazione a procedere.

Andreotti fu così imputato del reato di cui all’art. 416 c.p. (associazione per delinquere semplice), mentre venne stralciato quello ai sensi dell’art. 416.bis del c.p. (concorso ‘esterno’ in associazione di tipo mafioso), per avere messo a disposizione dell’associazione per delinquere Cosa Nostra l’influenza e il potere derivanti dalla sua posizione di esponente di vertice di una corrente politica, nonché dalle relazioni intessute nel corso della sua attività di parlamentare, Capo del Governo e più volte Ministro.

I Giudici erano chiamati a giudicare se Andreotti avesse partecipato in qualche modo al mantenimento, al rafforzamento e all’espansione della associazione medesima, se avesse intrattenuto rapporti continuativi con Cosa Nostra direttamente o per il tramite di  altri soggetti, alcuni dei quali con posizioni di rilevante influenza politica in Sicilia (in particolare l’On.le Salvo Lima e i cugini Antonino Salvo e Ignazio Salvo), se avesse rafforzato la potenzialità criminale dell’organizzazione mafiosa, o avesse rivelato fatti e circostanze relativi anche a gravi omicidi, quali ad esempio quelli di Mino Pecorelli, Piersanti Mattarella, Carlo Alberto Dalla Chiesa, per il timore -peraltro esplicitamente manifestato- di poter subire pericolose conseguenze; addirittura i Giudici vennero chiamati a giudicare se ci fossero state le aggravanti di cui all’art. 416 commi 4 e 5 c.p., essendo Cosa Nostra un’associazione armata, composta da più di dieci persone.

Seguì la celebrazione dell’udienza preliminare, all’esito della quale, il 2 marzo 1995, il G.I.P. dispose il decreto di rinvio a giudizio di Giulio Andreotti per le due imputazioni già formulate dai P.M..

Il processo di primo grado iniziò il 26 settembre 1995 nell’Aula bunker del carcere dell’Ucciardone, V Sezione Penale del Tribunale di Palermo, ma ci fu un primo inghippo: uno dei Giudici si dimise per motivi di salute, e fu necessario sostituirlo, il che comportò che il processo riprendesse daccapo.

La successiva udienza fu fissata al 15 maggio 1996: la Pubblica Accusa venne sostenuta da i P.M. Guido Lo Forte, Gioacchino Natoli e Roberto Scarpinato, il collegio difensivo di Andreotti era composto dagli avvocati Franco Coppi e Gioacchino Sbacchi (con l’avv. Giulia Bongiorno in riserva).

Il Comune di Palermo, all’epoca guidato da Leoluca Orlando, chiese di costituirsi parte civile per tramite del legale rappresentante, l’avvocato Salvatore Mollica.

 

(1 – continua)

Classe 1941 – Diploma di Ragioniere e perito commerciale – Dirigente bancario – Appassionato di giornalismo fin dall’adolescenza, ha scritto per diverse testate locali, prima per il “Risorgimento Nocerino” fondato da Giovanni Zoppi, dove scrive ancora oggi, sia pure saltuariamente, e “Il Monitore” di Nocera Inferiore. Trasferitosi a Cava dopo il terremoto del 1980, ha collaborato per anni con “Il Castello” fondato dall’avv. Apicella, con “Confronto” fondato da Pasquale Petrillo e, da anni, con “Ulisse online”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.