Una esperienza quasi simile è stata direttamente vissuta dall’autore di questo articolo.
E’ una storia che abbiamo letto sul web, ci è piaciuta e la offriamo ai nostri lettori.
In un mondo nel quale prevale il menefreghismo, la mancanza di affetto anche nei confronti dei parenti più intimi, dei genitori magari depositati in un “ricovero” e lasciati morire, leggere una storia commovente come questa fa bene al cuore e lascia sperare in un futuro migliore.
E la facciamo raccontare da chi l’ha direttamente vissuta.
“Quali sono state le ultime parole che avete detto a una persona che stava per morire?
“E’ una cosa accaduta qualche mese fa; ero io a parlare a mia mamma la quale soffriva di demenza senile, e io la assistevo a casa.
“L’ho fatto per quanto mi è stato possibile, e alla fine, non era più presente, tranne per brevissimi attimi, momenti, a volte minuti, durante i quali lei riconosceva ciò che la circondava, le cose, le persone.
“Normalmente stava assopita tutto il giorno o quasi, cullata dalla musica classica della radio, fino a quando non la portavo a letto.
“Aveva perso il riflesso della deglutizione, quindi non poteva più magiare o bere cibi tradizionali.
“Per chi non conosce la demenza senile, funziona in questo modo: il cervello è molto simile alla centralina elettronica che governa la nostra auto. Se la centralina va in panne, l’auto diventa inservibile, in tutto o in parte, dipende dal grado del problema alla centralina, e questo succede anche se tutto il resto è in perfetta efficienza.
“Questo accade, allo stesso modo, al corpo umano.
“I nostri “sistemi”, volontari e involontari, sono governati dalla nostra centralina, il cervello.
“E se questo ha un problema, questo non si estende solo nei processi cognitivi e interattivi con la persona, ma anche nelle funzioni corporee, che potrebbero essere compromesse in modi inaspettati.
“Mia madre negli ultimi mesi aveva perso la conoscenza di come mangiare e bere, salvo se nutrita col cucchiaio da qualcuno (me, in questo caso).
“E passava il suo tempo in uno stato di sonno, possibilmente di sogni.
“Ma poteva comunque deambulare, anche se lentamente e sorretta, quando la svegliavo per andare in bagno o metterla a letto, o sulla poltrona su cui passava i suoi giorni.
“Era ottobre, il tempo ancora bellissimo, il giardino ancora verde dalla finestra, con i fiori, e le sue rose, che lo punteggiavano.
“In quel momento, la stavo medicando, dato che aveva problemi di circolazione alle gambe a causa della mancanza di moto.
“In un attimo, mi chiama per nome, cosa molto inusuale, dato che normalmente non riusciva più a riconoscermi.
“Mi sono avvicinato a lei, mi ha sorriso, e mi ha detto quattro parole.
“Ti voglio tanto bene”.
“E io le ho risposto: “Anche io te ne voglio, mamma”.
“Dopo, ho visto i suoi occhi, che erano vividi e focalizzati, perdere quel tono, e ripiombare nella nebbia della sua confusione.
“Poco prima di Natale abbiamo dovuto portarla in ospedale per un’infezione alla vescica, e da lì, ha dovuto essere trasferita a un centro di lungodegenza, dato che aveva perso anche la reazione alla nutrizione a cucchiaio, veniva alimentata solo da flebo.
“E’ rimasta lì fino alla sua morte, l’8 febbraio del 2019.
“Non ha mai più riguadagnato la conoscenza, almeno per quanto ne so.
“Quindi, nessuna parola da scrivere nella pietra, solo un “ti voglio bene”, l’espressione di ciò che più conta in questa vita, e forse, anche nell’altra.
“PS: vorrei ricordarla così, quando era giovane e bella.
“Ciao, mamma.