Speriamo che Bellocchio abbia insegnato qualcosa anche ai dirigenti della TV di Stato…
Proseguiamo il commento sulla serie “Esterno notte” realizzata da Marco Bellocchio per la TV, trasmessa nelle tre serate del 14, 15 e 17 novembre su RAI1.
Nella prima parte, pubblicata il 22 novembre (https://www.ulisseonline.it/controluce/aldo-moro-tra-la-realta-storica-e-la-ricostruzione-di-marco-bellocchio/) ci siamo dedicati alla vita di Aldo Moro, l’uomo, il padre di famiglia, il giurista e politico, descrivendone la storia, dalla nascita fino al suo assassinio ad opera delle Brigate Rosse.
Abbiamo già detto, nella precedente puntata, che Marco Bellocchio ha riflettuto anni prima di intraprendere la sua ultima opera cinematografica, presentata al Festival cinematografico di Cannes nel maggio scorso, poi trasformata per la Tv in tre puntate, e abbiamo espresso la nostra opinione sulla lunghezza delle stesse, che hanno determinato lentezze e sovrapposizioni.
Ovviamente il risultato è stato degno delle aspettative; è stato certamente utile la lunga gestazione in quanto è nata una opera inconsueta, tutt’altro che oleografica e celebrativa.
Evidentemente la trasposizione per la TV in tre puntate del film originario, presentato a Cannes lo scorso maggio, ha determinato qualche sfasatura,
L’opera è di indubbio valore, non tanto dal punto di vista storico, quanto da quello espressivo, emotivo, delle sensazioni, degli stati d’animo: per questo motivo la precedente nota potrebbe intitolarsi “Il caso Moro secondo Bellocchio”.
La prima osservazione doverosa riguarda la somiglianza di alcuni attori ai personaggi interpretati.
Il primo è Fabrizio Gifuni, il quale, nei panni di Aldo Moro, sembra la sua esatta controfigura, nel fisico, nel viso, nelle espressioni, nelle movenze; riteniamo che non esista un altro attore che, senza stravolgimenti di trucco, possa reggere al paragone con l’originale.
Di indiscussa bravura anche Margherita Buy nel ruolo della moglie Eleonora, pure se non tanto aderente al personaggio originario.
I quattro figli sono impersonati da Aurora Peres nel ruolo della primogenita Maria Fidia, Eva Cela nel ruolo di Agnese, Michele Eburnea nel ruolo del figlio Giovanni e Gloria Carovana nel ruolo di Anna.
Pure se fisicamente non aderente al Pontefice Paolo VI, comunque Toni Servillo è sempre eccellente.
Inappuntabile Fausto Russo Alesi nel ruolo di Francesco Cossiga, con la sue manie e fobie, un Ministro degli Interni sospettoso di tutto e di tutti, provato fisicamente e psichicamente dalla tragedia che sta vivendo, ossessionato dal desiderio di salvare l’amico Moro al quale deve molto sia in termini umani che politici.
Idem per Fabrizio Contri – un Giulio Andreotti lucido e inflessibile nella sua determinazione di non poter scendere a patti con i sequestratori, Gigio Alberti – Benigno Zaccagnini, Renato Sarti – il Cardinale Agostino Casaroli, Lorenzo Gioielli – Enrico Berlinguer, Nello Mascia – Giovanni Leone, Gianfranco Mazzoni -Amintore Fanfani, e Mario Pirrello – Bettino Craxi.
E non c’è critica da muovere agli altri, sia per la bravura, sia per l’aderenza fisica degli attori ai relativi personaggi che interpretano, i cosiddetti personaggi minori: Adriana Faranda, Valerio Morucci, Mario Moretti, Prospero Gallinari, Barbara Balzerani, Renato Curcio, gli agenti della scorta e i tantissimi altri.
La fiction televisiva di Bellocchio ha avuto, com’era prevedibile, un grande successo di pubblico, specialmente di quello più sensibile alla nostra storia contemporanea e agli avvenimenti che hanno segnato il dopoguerra fino alla fine del secolo scorso: in media tre milioni di spettatori a puntata, più di tanti altri programmi anche leggeri della Tv, che ha avuto anche il merito di far conoscere ai più giovane l’Italia sconvolta di quegli anni.
La fiction di Bellocchio ha fatto ricordare ai telespettatori la fragilità di Aldo Moro, uomo prigioniero e già quasi morto, della sua scorta trucidata, della sua famiglia agonizzante nell’attesa dell’ineluttabile, dei politici che lo volevano eliminato, del Papa impotente, circostanze che hanno scardinato molte sicurezze della società contemporanea: la vicenda di Moro si è nuovamente insinuata in chiacchiere e dibattiti, ha sconfitto la monotonia di talk con ospiti sempre uguali, ha surclassato in ascolti le Iene e il Grande Fratello.
Padrone di tre nostre sere, il grande cinema adattato alla piccolo schermo, lavoro doppiamente impegnativo che ci ha fatto pensare, ricordare, in molti casi riscoprire realtà e avvenimenti addormentati.
Bellocchio ha spalancato un libro che potrà dirsi chiuso non prima di parecchi decenni: il Caso Moro e i suoi misteri, i suoi conflitti e le sue segrete intese, ha proposto al pubblico più giovane l’Italia tesa e sconvolta di quegli anni, e ha offerto alla platea degli over-cinquanta la strana sensazione di essere un capitolo di storia contemporanea, quella non tanti del cinquantennio trascorso, la realtà di quei giorni quando quotidianamente c’era un moto ammazzato o una persona gambizzata.
Il film e la fiction televisiva di Bellocchio non hanno truccato o rifatto quegli anni: sono quegli anni, ce li hanno solo ricordati.
E Fabrizio Gifuni non ha interpretato Moro, lui “è” Moro, ed ha suscitato un terremoto emotivo che ci ha fatto rivivere oggi, e in maniera ancora più drammatica la tragedia di allora.
E quanta densità in quei volti, in quei gesti, in quegli abiti cupi dei potenti, negli oggetti di un tempo non così lontano, le automobili dell’epoca, i maglioni a collo alto, le cabine telefoniche, il monoscopio che danza nel teleschermo a inizio e fine dei programmi.
Il programma poteva sembrare un’operazione di scrigno, di nicchia o di nostalgia, invece ci ha buttato in faccia la modernità: il vasto pubblico esiste e applaude.
Offrire qualità non è un “esterno notte, ma un bellissimo giorno, e dà vita, pure se filmato, a scene che precedentemente eran0 state solo immaginate o descritte a stampa, come, ad esempio i 20.miliardi per pagare l’eventuale riscatto, ammucchiati in mazzette su un tavolo dell’appartamento papale, oppure il sacerdote al quale Paolo VI aveva dato incarico di trattare con i brigatisti in un confessionale.
Lo tengano a mente i dirigenti delle reti della Tv di Stato, ricordino, insieme al calvario di Mori di cinquant’anni fa, cos’era allora la nostra Tv, quella che faceva cultura, che univa il paese facendolo diventare una nazione.
Oggi sulle principali reti della Tv di Stato la prima serata è dedicata a programmi di una banalità inaudita, tra i giochi a quiz, le paillette e i lustrini di programmi di ballo e tante altre “porcherie” (scusate il termine) che i teledipendenti sono costretti a vedere: c’è un incretinimento totale.
Ricordiamo, ad esempio, Enzo Biagi che, fino a venticinque anni fa, in prima serata faceva cultura e informazione, e qualche decennio prima il Maestro Mazza, che ha guidato generazione di nostri padri verso la cultura.
Paradossalmente oggi fanno più cultura e buona informazione le reti televisive commerciali, tipo La7, che quelle di Stato: escludiamo, ovviamente quelle di Mediaset che, quanto a incultura, sono state le progenitrici, e ancora perseverano in quanto al degrado culturale e morale non c’è mai fine.
Tornando all’oggetto di queste divagazioni, ci auguriamo che Bellocchio possa ispirare ai dirigenti della Tv di Stato, affinché riflettano sulle metafore di tante scene: ad esempio Gifuni-Moro che porta la croce, o che si copre il viso davanti al manifesto delle Brigate Rosse.
I teledipendenti instupiditi hanno bisogno di rigenerarsi, non di rincretinirsi ulteriormente con programmi di canzonette, o di giochi a premi, o di ballerine sculettanti che non attirano più nessuno.