Al via la XIX Legislatura con lo scontro nel centrodestra tra Berlusconi e Meloni
Con l’elezione del Presidente del Senato, Ignazio La Russa di Fd’I, e di Lorenzo Fontana della Lega, inizia molto male questa XIX legislatura che possiamo tranquillamente definire targata Meloni.
La sequenza degli avvenimenti che si sono succeduti dalla mattinata di giovedì 13 fino alla sera del 14 ottobre è allucinante, sarebbe da definire comica se non fosse drammatica per il futuro del paese e per la neonata legislazione, che ha dinanzi a sé problemi la cui soluzione fa tremare le vene e i polsi.
C’è da dire prioritariamente che la elezione del Presidente del Senato è avvenuta al primo scrutinio, con l’astensione dei senatori berlusconiani, e il criticatissimo sostegno di quelli della opposizione, che Giorgia Meloni, cautelativamente, prevedendo il ricatto che si stava preparando ai suoi danni, aveva provveduto ad assicurarsi; in proposito, pure non avendo in simpatia né il suo partito né lei, in virtù della teoria che la politica è l’arte del possibile non possiamo esimerci dal dire: brava!
In queste folli due giornate sono emersi tutti gli inciampi che la coalizione dovrà scansare, nessuno di essi posti a difesa del paese e dell’interesse dei cittadini, ma tutti finalizzati a interessi personali e di partito, alla copertura di ruoli e poltrone che, se oculatamente occupate, potranno portare non pochi benefici a quella parte politica, a quei leader, a quei personaggi il cui solo fine è di sistemarsi per i prossimi decenni.
Dovremmo essere abituati a tali storture che si stanno susseguendo negli anni, a decorrere dal primo governo Berlusconi.
Ma è bene non abituarsi al peggio, altrimenti si corre il rischio di allontanarsi dal voto, facendo così il gioco di chi a votare ci va per ideologie di schieramento, il che certamente non è criticabile, ma che purtroppo viene vanificato dalla legge elettorale in vigore che non consente di individuare il parlamentare con cui prendersela se le cose vanno male, giungendo a una generica critica a leader nazionali che sembrano, in tanti casi, entità intoccabili e comunque lontanissime.
Per comprendere bene ciò che è avvenuto in questi due giorni dobbiamo partire dalla mattina di giovedì 13 ottobre, e precisamente dall’incontro di buon mattino di Berlusconi con la Meloni negli uffici di Fratelli d’Italia alla Camera.
L’incontro è andato male, la Meloni ha rintuzzato le richieste del Cavaliere, il quale le aveva appuntate sul foglio nella cartella che poi srà era sul banco a Palazzo Madama e che è stato fotografato a distanza.
Berlusconi aveva chiesto alla Meloni di inserire la fidatissima e potentissima assistente/segretaria Licia Ranzulli nella lista da presentare al Quirinale, Giorgia ha detto no.
“Lei no, non voglio nel mio governo una che è lì in quanto assistente di Berlusconi. Se cedo adesso è finita”, avrebbe detto ai suoi.
Berlusconi è rimasto molto male (“Un no a Licia è un no a me” avrebbe detto), ed è scappato al Senato e ha ordinato ai suoi il blitz contro La Russa, che poi è finito come è finito.
E appena si è seduto al suo scranno, quando ha aperto la cartellina di pelle che aveva davanti, proprio mentre parlava col futuro presidente del Senato, si sono notate quelle parole: “1. Supponente, 2. Prepotente, 3. Arrogante, 4. Offensiva, una con la quale non si può andare d’accordo”.
La prima vittima di Berlusconi infuriato è stato proprio Ignazio La Russa il quale, appena dopo il voto, gli si è avvicinato ma è stato immediatamente insolentito dal Cavaliere con un “vaffa…”: certo che Grillo ha fatto scuola!
Berlusconi ha disposto che i senatori di FI non votassero, tant’è che di FI avrebbe votato solo lui e la Casellati, e i voti negati da FI sono stati sostituiti da senatori della opposizione o estimatori di La Russa, tant’è che lo stesso ha raggiunto il quorum.
La replica della Meloni è stata immediata e durissima: “A quell’elenco mancava un punto, che non sono ricattabile”.
Sul contrasto è intervenuto anche il neo presidente del Senato. “Io credo che il presidente Berlusconi dovrebbe dichiarare quello di cui io sono quasi certo, che è un “fake”, però deve dichiararlo lui, non posso dirlo io”, ha suggerito La Russa.
Ma ormai il guaio era fatto, e gli strascichi sono imprevedibili.
Qualcuno ha chiesto che bisogno c’era di scrivere quelle parole, non bastava pensarle?
La risposta sembra semplice: complice anche l’età, Berlusconi ha perso la lucidità di un tempo, ed è evidente che non solo ha bisogno di appuntarsi le notizie per non scordarle, ma anche di essere seguito passo-passo; basta pensare che, proprio su quel foglio, aveva fra l’altro indicato Mara Carfagna Ministro per il sud, dimenticando che la Carfagna non fa più parte di FI; altro episodio, dopo aver votato sembra aver perso l’orientamento ed è uscito dalla cabina dallo stesso lato dal quale era entrato, e un commesso l’ha dovuto riaccompagnare all’interno per farlo uscire dal lato opposto.
Umanamente può fare anche tenerezza, poco a poco si sta rendendo conto di non contare quasi più niente, si illude di poter ancora essere il punto di riferimento della destra, ma in effetti il suo peso è pari al due di coppe quando la briscola è bastoni: ma “chi è causa del proprio mal pianga sé stesso”.
Ora i cosiddetti “pontieri” sono in campo per tentare di ricucire lo strappo, giacché Giorgia Meloni ha già dichiarato che ciò che è capitato avrà ripercussioni sull’imminente governo che si accinge a formare, nel quale ha già categoricamente esclusa Livia Ranzulli, la pietra dello scandalo: su questo contrasto ci riserviamo di tornare dopo giacché sembra che il contrasto tra le due non sia recente perché risalirebbe a tempi remoti.
Ma i guai non vengono mai da soli, a queste beghe politiche e personali hanno fatto seguito altri avvenimenti che pesano ancora di più.
Il giorno successivo, al quarto scrutinio, è stato eletto Presidente della Camera dei Deputati Lorenzo Fontana un leghista radicale, oltranzista, ortodosso oltre il dovuto, anti Lgbtq+ e antiabortista, che ha fatto un discorso mettendo insieme Papa Francesco, santi e madonne, Bossi, in una miscela di luoghi comuni, ovvietà e banalità.
Alla elezione di Fontana Berlusconi è stato nei ranghi, ha evitato di fare lo stesso errore fatto al Senato e FI ha votato regolarmente.
Sono troppo facili paragoni con personaggi di alto livello che hanno partecipato alla seduta del Senato, come quello della Senatrice a vita Liliana Segre, che ha sostituito l’omologo Giorgio Napolitano introducendo i lavori con un discorso nel quale, oltre a ricordare da dove proviene la nostra Repubblica, i drammatici avvenimenti che portarono l’Italia al fascismo, alle leggi raziali, alla seconda guerra mondiale, ha tracciato la via da seguire, ha fissato i paletti della strada futura.
È ovvio che il paragone non possa reggere, ma è altrettanto ovvio che non si può far finta di ignorare che le radici di personaggi come La Russa e Fontana sono piantate nel terreno del radicalismo e della ortodossia più retriva, nella quale si identifica in modo speciale il neoeletto Presidente della Camera, e non solo non lo nasconde, come ha almeno tentato di fare La Russa, ma se ne vanta.
Fontana evidentemente non ha compreso che presiedere un ramo del Parlamento significa tutelare tutte le componenti dello stesso al di sopra degli schieramenti partitici, significa essere effettivamente al di sopra delle parti, significa che anche i partiti di minoranza attendono tutele per evitare conflitti ed emarginazioni (qualcuno ha improvvidamente evocato un nuovo Aventino), che potrebbero configurarsi proprio nella mancata tutela delle loro prerogative di opposizione.
Ecco il motivo per il quale abbiamo preferito il discorso di saluto del Presidente del Senato La Russa, il quale, da persona più matura e navigata, ha cercato di salvare capra e cavoli, non escludendo nemmeno le celebrazioni rituali della Festa delle Repubblica, della Festa della liberazione, della Festa del primo maggio.
Sul contrasto tra Giorgia Meloni e Livia Ranzulli, è venuto fuori qualche dettaglio significativo.
In una ricostruzione fatta da qualche giornale è emerso che lo stesso ha origini lontane, le due sarebbero avversarie da anni. Entrambe donne volitive, entrambe determinate a puntare in alto, la Ranzulli pretendeva un Ministero di primo piano, che Berlusconi ha testardamente richiesto, gestendo in maniera pessima la vicenda.
La Ranzulli si è intestardita nella sua richieste, fidandosi di Berlusconi, e contando su passati appoggi leghisti. Probabilmente rimarrà delusa.
Comunque da queste due scompigliate giornate è opportuno trarre qualche conclusione, anche per sapere cosa riserva il futuro.
Silvio Berlusconi esce irrimediabilmente ridimensionato, in fase di totale decadimento; indubbiamente vincente Giorgia Meloni che non ha ceduto a ricatti, e l’ha ribadito, ed ha avviato una fase nuova, facendo chiaramente intendere che sarà lei a dettare l’agenda e a guidare con pugno fermo il suo governo; non dubitiamo che Ignazio La Russa saprà guidare il Senato, nutriamo non poche perplessità su Lorenzo Fontana alla guida della Camera.
Su tutto il resto non ci pronunciamo, staremo a guardare con attenzione a chi verranno affidate le ulteriori cariche istituzionali e, in particolare, i Ministeri.
Non è il caso di fare il gioco dei bussolotti ipotizzando incarichi che potrebbero risultare fallaci, preferiamo dare giudizi sulla base di elementi certi.