Nel contrasto all’evasione, questa volta il Fisco si è mosso su due binari paralleli, il limite di prelievo di contante ai Pos Bancomat, e l’inasprimento delle sanzioni nei confronti degli operatori economici che ancora boicottano i pagamenti di merci e servizi con le carte di debito (bancomat) o di credito
Tante volte se n’è parlato, e anche noi abbiamo dato il nostro contributo, nella convinzione che una delle strade per contenere l’evasione fiscale passi proprio per l’incremento di questi sistemi di pagamento, tecnicamente detti “tracciabili”.
A nostro avviso, e lasciando perdere l’esigua minoranza di coloro che “ideologicamente” contrastano tali sistemi di pagamento, senza rendersi conto dei danni che procurano alla equa ripartizione del carico fiscale sulla intera popolazione, i pagamenti tracciati potrebbero essere determinanti, e chi si oppone è sprovveduto o in malafede.
E’ ovvio che i pagamenti spiccioli non risolvono per intero il problema, perché ad essi si accompagna la grande evasione, quella che richiederebbe interventi drastici fino alla limitazione della libertà personale (carcere per i grandi evasori), ma ogni sistema è valido, purché si raggiunga il risultato.
Vediamo, dunque, cosa ci riserva l’immediato futuro.
In merito al limite di prelievo del contante, che colpisce gli intestatari di conti presso le banche e le poste, c’è subito da chiarire che, in teoria, esso non esiste, così come non esiste, da parte dei dipendenti di banche e poste, un potere indagatorio nei confronti del cliente che si reca allo sportello per prelevare; insomma nessuno può chiedere a un cliente a cosa gli serve quel contante, se non in casi particolari che vedremo in seguito.
Così come non esiste, in teoria, né un importo massimo che si può prelevare in un determinato arco temporale (una settimana, un mese) né l’obbligo per banche e poste di segnalazione quotidiana al Fisco (alias Agenzia delle Entrate) dei prelievi effettuati.
Inoltre all’Agenzia delle Entrate non interessa controllare quanto è stato prelevato dal conto, essa fa esattamente il controllo opposto, vale a dire quanto è stato versato sul conto, perché di tali operazioni, se incompatibili con l’attività e il tenore di vita del contribuente, andrà a chiedere la provenienza.
Ad esempio, se il titolare di reddito di pensione di 5.mila euro mensili, versa tutto sul conto, nessun problema; ma se improvvisamente versa sul conto, ad esempio, 20.mila euro, il fisco potrà richiederne la provenienza, e se il contribuente non riesce a giustificarla, sarà sospettato di aver fatto qualcosa “in nero” e dovrà dare spiegazioni.
E’ logico che l’accertamento va fatto in relazione all’attività svolta: un’azienda può avere un giro di affari che lo porti ad incassare quotidianamente 20.mila euro, ma ciò dovrà risultare anche dalla denunzia dei redditi i cui dati, incrociati con quelli bancari, potrebbero far emergere incongruenze.
Concludendo su questo aspetto, quando si versano dei contanti sul conto o si riceve un bonifico, si hanno due opzioni per evitare successivi accertamenti da parte del Fisco: o li si riporta nella dichiarazione dei redditi (e quindi vi si pagano le tasse) oppure si acquisiscono le prove per dimostrare, a un eventuale controllo, che tali somme non dovevano essere dichiarate perché esenti (ad esempio risarcimenti di un danno, donazioni dai genitori, ecc.) o perché già tassate alla fonte (ad esempio vincite), e la prova sarà data da un documento con data certa (registrato all’Agenzia delle Entrate o autenticato da un notaio o spedito con raccomandata a.r. o pec) perché in tali casi c’è l’attestazione pubblica della data certa.
Da ciò si deduce che nessun cittadino può essere oggetto di controllo fiscale nel momento in cui preleva somme – anche rilevanti – dal proprio conto corrente, fatta eccezione per gli imprenditori (individuali o società), per i quali esiste un limite al prelievo di contanti: 1.000 euro nell’arco della stessa giornata e comunque non oltre 5.000 euro nell’arco del mese.
Superata tale soglia, non scattano sanzioni, ma solo una richiesta di chiarimenti da parte del Fisco che vorrà sapere come sono state impiegate quelle somme affinché non finiscano in investimenti in nero.
Abbiamo detto prima che nessuno, nemmeno i dipendenti di banche e poste, può chiedere i motivi per i quali viene fatto un prelievo, ma in presenza di importi consistenti possono essere chieste giustificazioni in base a leggi che abilitano a contrastare il compimento di reati; un consistente prelievo di contante potrebbe far sospettare, ad esempio, l’acquisto di una partita di droga o di armi.
In conclusione se si prelevano più di 10.000 euro nell’arco dello stesso mese, anche con operazioni tra loro frammentate (ad esempio 350 euro al giorno), l’addetto allo sportello ha il dovere di domandare al cliente l’uso che intende fare del denaro e poi segnalarlo alla direzione della banca. La direzione valuterà se informare di ciò la “UIF – Unità di Informazione Finanziaria”, autorità istituita presso la Banca d’Italia, per la prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, incaricata di esaminare i flussi finanziari, di acquisire informazioni e ricevere segnalazioni di operazioni sospette; di tali informazioni effettua l’analisi finanziaria, utilizzando l’insieme delle fonti e dei poteri di cui dispone, e valuta la rilevanza ai fini della trasmissione agli organi investigativi e della collaborazione con l’autorità giudiziaria per l’eventuale sviluppo dell’azione di repressione.
L’UIF non applicherà alcuna sanzione ma se riterrà che l’operazione è sospetta, farà a sua volta una comunicazione alla Procura della Repubblica che si metterà in moto per verificare se, dietro quel grosso prelievo di contanti, possa nascondersi un’operazione illecita.
Insomma, la segnalazione per il prelievo di contanti in banca non ha nulla a che vedere col fisco ma serve solo a evitare che, dietro tali operazioni , possano celarsi reati anche molto gravi.
Quindi nessuno deve temere conseguenze se preleva entro il 31.12.2022, denaro contante, se fatto per motivi leciti, tenendo comunque presente che lo scambio di contante oltre 2.mila euro tra persone fisiche è sanzionabile; lo si può fare solo con operazioni tracciate (bonifico, carte di debito o di credito, vaglia, carte prepagate).
Quindi, se una persona deve pagare un’altra in contanti, o vuole darle dei soldi contanti in prestito o in regalo, può farlo solo se l’importo non supera 1.999,99 euro. Oltre tale soglia scatta una sanzione amministrativa per entrambe le parti che va da 2.000 a 50.000 euro.
Ma a partire dal 1° gennaio 2023, salvo diverse previsioni normative dell’ultimo minuto, la soglia all’uso dei contanti scenderà a 1.000 euro. Sicché, si potranno scambiare contanti tra persone diverse fino a 999,99 euro.
C’è chi si pone il problema di quanto contante può conservare in casa. Non c’è nessun limite, ma è sempre bene non eccedere, sia per motivi di sicurezza (i ladri sono sempre in agguato), sia perché si potrebbe andare incontro a problemi di diversa natura: nulla esclude che la Guardia di Finanza – se autorizzata dal Magistrato e quindi munita di apposito mandato – possa entrare nella dimora altrui quando ha sospetti di reato, e per evitare che si possa essere inquisiti per evasione fiscale, bisognerà anche conservare le prove della provenienza del denaro: non basta dire che lo si è ricevuto in regalo (a meno che si parli di poche centinaia o migliaia di euro).
In questo caso, viene fatta una comparazione rispetto alle possibilità economiche del contribuente: una persona che guadagna 20.000 euro al mese potrà ben trovarsi in casa 50mila euro, ma un pensionato con un assegno mensile di 500 euro farà molta più fatica a dimostrare la provenienza lecita di una somma così rilevante.
E concludiamo con il secondo percorso messo in campo dal Fisco per contrastare l’evasione fiscale, vale a dire i pagamenti col “POS – Point of Sale”, l’aggeggino elettronico che obbligatoriamente tutti gli esercenti e i prestatori di servizio avrebbero dovuto avere già da tempo: il termine è stato man mano prorogato, ora l’obbligo scatta dal 1° luglio 2022, speriamo che sia la volta buona, perché da tale data vi è anche l’obbligo di trasmissione quotidiana al Fisco dei dati dei pagamenti fatti con carte e bancomat: saranno incrociati con i corrispettivi telematici.
Ma avere il POS significa anche utilizzarlo, l’esperienza quotidiana ci dice che in molti esercizi commerciali e studi professionali non è infrequente il diniego per presunti guasti, linee interrotte, e giustificazioni analoghe.
Oppure il cliente va incontro ad un altro inconveniente, specialmente nei ristoranti, dove è prassi ricevere un “preconto” con la cifra da pagare. Pure saldando il conto con la carta BM o di credito, l’esercente non rilascia la ricevuta, specie se l’importo è al di sotto del limite che richiede la digitazione del pin (20 o 25 euro a seconda della banca); in questo caso finora l’esercente aveva la possibilità di stralciare le operazioni minime, cosa che dal 1° luglio 2022 non potrà più avvenire perché quotidianamente, a fine giornata, dovrà trasmettere all’Agenzia delle Entrate gli scontrini e l’intermediario (banca o poste) trasmetteranno i pagamenti effettuati: l’incrocio dei dati avverrà in maniera automatica.
Insomma, sembra che, se tutto andrà per il verso giusto e non ci saranno ripensamenti all’ultimo momento, anche il nostro paese si metterà al passo con quelli che da questo punto di vista sono più evoluti, quelli dove anche il caffè o il giornale può essere pagato con il POS.