In questo mese entrano in vigore due disposizioni che cambieranno la nostra vita nel prossima futuro: la modifica della imposizione Imu e Tasi e la limitazione dei pagamenti in contanti.
Per l’IMU, Imposta sugli Immobili Urbani, che, come tutti sanno, grava sugli immobili diversi dalla prima casa, in misura notevole, che raggiungeva anche il 10,3 per mille, dal 16 giugno prossimo essa incorporerà anche la TASI – Tassa sui cosiddetti Servizi Indivisibili, vale a dire quei servizi che il Comune non ha la possibilità di ripartire a carico dei singoli che ne fruiscono (la illuminazione pubblica, ecc.).
Ma la Tasi è solo formalmente abolita in quanto i due balzelli sono stati solo fusi; quindi nessuno sconto per i contribuenti perché, essendo la Tasi accorpata all’IMU, di fatto graverà sempre sulle nostre tasche; è solo un artificio contabile-amministrativo dal quale nessun beneficio trarremo, se non quello di evitare un doppio pagamento.
E’ il caso di ricordare che sulla cosiddetta “prima casa”, cioè l’abitazione principale di un nucleo familiare che costituisce la residenza e dimora abituale, non va pagata né Imu né Tasi, a meno che non sia classificata come casa di lusso (Cat. A1, abitazioni signorili; A8, Ville; A9, castelli, palazzi artistici o storici): ma questo è un discorso che interessa solo pochi “fortunati”.
Può essere utile un cenno agli altri immobili sui quali gravava Imu e Tasi, ora solo Imu.
Salvo i casi di esclusione, l’Imu deve essere versata per il possesso di qualunque immobile, terreno o area edificabile; i terreni erano esclusi dalla Tasi.
Pure le “pertinenze” (box, garage, magazzini, depositi, sottotetti) della abitazione principale sono escluse da Imu e Tasi, a meno che non siano più di una.
Le aliquote dell’Imu e della Tasi erano deliberate dai Comuni, i quali decidevano anche in merito a tanti casi particolari, come, ad esempio, le case concesse in comodato gratuito ai figli, o le abitazioni lasciate da persone anziane ricoverate in pensionati, eccetera.
Con la nuova imposta unificata nulla cambia, saranno sempre i Comuni a decidere aliquote e quant’altro.
Per la limitazione del contante nei pagamenti, invece, le disposizioni prevedono che dal prossimo 1° luglio la soglia massima si riduca da 3.mila a 2.mila euro.
E dal prossimo 1° gennaio 2021, la soglia si ridurrà ulteriormente a 1000,00 euro.
La limitazione dei pagamenti in contanti si basa sulla convinzione, che molti ritengono sbagliata, che tramite essi si aggira il fisco e si alimenta il commercio in nero.
Quindi, in pratica, con essa si vuole arginare l’evasione fiscale, quanto meno quella spicciola: ovviamente la evasione spicciola non è detto che non comporti nei fatti una evasione consistente, perché tante gocce pure riempiono una botte.
Il contrasto al pagamento contante spinge ad incrementare l’utilizzo delle carte di debito, i bancomat, e quelle di credito, che oramai tutti gli esercenti sono obbligati ad accettare e in verità sono pochi quelli che ancora si intestardiscono a non installarle i relativi Pos, e che possono anche essere multati.
Il pagamento elettronico è anche un vantaggio ed un incentivo ad acquisti pure se non programmati, perché non ci si deve più preoccupare di approvvigionarsi preventivamente e portarsi dietro danaro contate.
Indubbiamente chi non ha niente da nascondere, non ha difficoltà ad effettuare il pagamento elettronico; chi ad esso si oppone è chiaramente, nella maggior parte dei casi, un potenziale evasore o un fiancheggiatore, anche involontario, degli stessi, e questo non va bene e qualifica chi lo fa.
Una certa resistenza viene fatta dagli stessi esercenti commerciali i quali, in presenza di un pagamento elettronico, non possono non rilasciare lo scontrino fiscale o la fattura; infatti in caso di verifica da parte delle Guardie di finanza una delle cose che viene controllata è la rispondenza fra gli incassi elettronici e la emissione degli scontrini, e nei casi di discordanza sono guai.
Purtroppo non sono poche le forze politiche, specialmente di centro destra, che strenuamente si oppongono; hanno posto e porranno tanti ostacoli perché il provvedimento venga revocato, o almeno venga elevata la soglia.
D’altra parte c’è da ricordare che lo stesso Berlusconi, all’epoca dei suoi governi, gridava contro il fisco ladro e sanguisuga e, nonostante il suo ruolo istituzionale, incitava ad evadere; da questo si comprende facilmente da chi vengano guidati gli agguerriti sostenitori del contante, prevalentemente di centro destra, anche se le critiche sono trasversali perché pure a sinistra c’è qualche mugugno.
Fra l’altro, proprio mentre scriviamo, è stata resa pubblica la relazione di Vittorio Colao, che verrà presentato agli “Stati Generali” convocati dal Premier per il fine settimana; tra le altre cose è prevista una tassa che graverà sui prelievi in contante di importi rilevanti, finalizzata proprio a disincentivare l’utilizzo del contante, e immediatamente si è scatenata la bagarre da parte di Giorgia Meloni, la quale è partita, come di consueto, lancia in resta, per contestare tale proposta; che da parte di Colao ha una valenza tecnica/politica, mentre da parte della Meloni la contestazione ha, ovviamente, un valore esclusivamente politico: mandare a casa il governo.
Comunque, allo stato, in presenza di questi vincoli, chi fa un pagamento contante di importo superiore alla soglia fissata (1999,00 dal 16 giugno, 999,00 dal 1° gennaio prossimo) commette un reato di natura fiscale perseguibile con una prima sanzione che va da 3.mila a 50.mila euro, ma potrebbe anche scattare quella del pagamento del 40.% della somma trasferita, previsto in una precedente legge.
Tuttavia non appare semplice, per il fisco, venire a conoscenza di tali pagamenti, ma se avvengono con ricorrenza quotidiana potrebbe essere lo stesso Istituto di credito, per le somme che sono state prelevate da un conto corrente o da un deposito, a segnalarlo se ha il sospetto che si tenta di aggirare il vincolo.
Più difficoltoso appare perseguire chi il gruzzolo di contante lo tiene depositato in cassette di sicurezza (e sembra che non siano in pochi), rinunciando in tal modo a metterlo a frutto, con il doppio danno per se stesso e per l’economia del paese.
Una considerazione finale va fatta in relazione al ruolo preminente del nostro Paese in ambito europeo che non coincide con analogo livello di trasparenza fiscale né con quello di efficienza, laddove si pensi che siamo i fanalini di coda nell’utilizzo dei pagamenti elettronici nel mentre in tantissimi paesi perfino il caffè o il giornale si è abituati a pagare col bancomat.
In conclusione, tutti dovrebbero tendere a ridurre la circolazione di moneta contante, anche per aumentare la sicurezza e ridurre i rischi connessi proprio alla rilevante mole di contante che gira nel paese: meno c’è ne sarà, meglio vivremo tutti.