Non deve essere stato facile vivere in quel lontano 1816 quando – un anno prima – si verificò la violenta esplosione del vulcano Tambora, in Indonesia.
L’Europa era appena uscita dalle guerre napoleoniche ed erano cominciati – nel 1814 – i lavori di restaurazione e riassestamento geopolitico attraverso il Congresso di Vienna. Un momento già delicato, minato da un evento che avrebbe sconvolto non solo il Vecchio Mondo ma il globo intero.
Nel 1815 – presso l’isola di Sumbawa – nell’attuale Indonesia (allora erano le Indie orientali olandesi), il monte Tambora si risvegliò ed un potente boato scosse quelle terre. Colonne di fumo si levarono in cielo, lingue di fuoco zampillarono dall’edificio vulcanico e la lava cominciò a colare copiosamente.
Per dare un’idea della potenza distruttiva del fenomeno, su una scala di misurazione delle eruzioni vulcaniche che va da 0 a 8, il Tambora si colloca al settimo posto.
In Indonesia le vittime dirette ammontarono a più di diecimila ma le conseguenze più gravi avvennero nel medio e lungo periodo. Le nubi piroclastiche, trasportate dai venti, schermarono la Terra dai raggi del sole. Così il 1816 divenne l’anno senza estate.
Le temperature si abbassarono in ogni angolo del mondo, il freddo ed il gelo danneggiarono i raccolti. Il prezzo del grano si impennò e la carestia fu una naturale conseguenza. In alcune zone d’Europa – come in Italia – nei mesi estivi si assistette a nevicate fuori stagione. Gli effetti si estesero fino a tre anni dall’eruzione.
È curioso come il periodo in cui l’umanità rischiò l’estinzione sia correlato ad uno dei romanzi di letteratura gotica più famosi al mondo. Perché, nell’estate del 1816, Mary Shelley era al lago di Ginevra. Le temperature e la pioggia la obbligarono ad un domicilio forzato ed il suo passatempo fu quello di buttare giù qualche riga per quella che sarà la sua opera più nota: Frankenstein.