scritto da Carolina Milite - 24 Ottobre 2019 13:59

102 anni fa la disfatta di Caporetto. Cosa è rimasto oggi di quella tragedia italiana?

Il 24 ottobre 1917, l’esercito austro-tedesco inflisse alle nostre armate una devastante disfatta che rischiò seriamente di far perdere la guerra al giovane Stato italiano. Fu quella che passò alla storia come la disfatta di Caporetto, una delle più disastrose sconfitte subite dall’Italia, tanto da essere entrata nel nostro vocabolario quando si vuol intendere un tracollo.

In quella località che oggi è in Slovenia e si chiama Kobarid, si consumò uno degli episodi più drammatici della nostra storia, dove il valore dei singoli fu offuscato dal tracollo collettivo a partire dalla catena di comando.

Oggi ricorre l’anniversario di quel giorno infausto di 102 anni fa.

Era il terzo anno di quella che è passata alla storia come la I Guerra Mondiale, la Grande Guerra, alla quale l’Italia prese parte dopo un lungo  dibattito interno tra neutralisti ed interventisti. Alla fine prevalsero questi ultimi e il nostro paese si schierò contro quelli che erano in origine i nostri alleati della Triplice Alleanza, Germania e Austria.

L’esercito italiano scese in guerra nel maggio del 1915 assolutamente impreparato: militarmente e moralmente. Entrammo in guerra con un armamento preistorico. Le bombe a mano erano sconosciute, gli ufficiali parteciparono ai primi combattimenti con la sciabola e vestiti in modo da essere subito colpiti, l’aviazione non funzionava. Fra l’artiglieria e le fanterie nessun serio collegamento, nessun segnale: l’artiglieria nostra finiva per sparare sui nostri fanti. Si pretendeva tagliare i reticolati con le pinze a mano e con i tubi di gelatina. In questo impossibile compito furono sacrificati i migliori elementi della fanteria. I superiori  mandavano al macello, contro reticolati intatti, masse di uomini.

Erano queste le condizioni in cui versava l’esercito regio in quella fatale alba. Alle 2 del mattino iniziò la battaglia con un intenso fuoco delle artiglierie austriache e tedesche. I comandi italiani, che avevano ordinato alle truppe di adottare un assetto difensivo, non avevano dato ascolto alle “intelligence” che avevano raccolto le confessioni di alcuni disertori rumeni. Una comunicazione tedesca intercettata fissava anche l’ora dell’attacco: le 2 del mattino. E l’attacco puntualmente partì, devastante, con il lancio di gas e colpi di cannone. Alle 15,30 le divisioni nemiche, dopo aver raggiunto Caporetto, dilagarono attuando nuove tattiche di una guerra non solo di posizione, ma anche di movimento. A fine giornata la conta delle perdite italiane fu altissima. Le trincee italiane furono travolte e, dopo due giorni di battaglia, il generale Cadorna ordinò di ritirarsi dietro il Piave, 200 km a sud-ovest rispetto alle posizioni iniziali.

La situazione ormai stava precipitando velocemente anche a livello politico: a Roma il presidente del Consiglio Paolo Boselli, dopo aver perso un voto di fiducia, si dimise. Il 26 ottobre Cadorna cercò di nascondere la verità al Paese con dei bollettini ottimistici, ma ormai era chiaro: l’azione compiuta da parte degli austro-germanici aveva portato ad una disfatta del fronte italiano.

La battaglia di Caporetto durò fino al 12 novembre e costò la vita a 12mila soldati italiani, altri 30mila furono feriti e 265mila fatti prigionieri. Cadorna fu rimosso e sostituito dal generale Diaz. Migliorò il trattamento dei soldati e si presero misure importanti per sollevarne il morale. La linea del Piave resse e fu da lì, il 24 ottobre dell’anno successivo, che partì l’offensiva finale che il 4 novembre 1918  a Vittorio Veneto pose fine vittoriosamente alla I Guerra Mondiale.

Cosa rimane di questa ecatombe militare? Un custode della memoria di Kobarid (Caporetto) raccoglie da anni oggetti riemersi da una terra che ha sepolto nel fango insanguinato migliaia di vite. Il suo nome è Bojan Rustia.

Nel saggio storico «Caporetto. 24 ottobre-12 novembre 1917: storia della più grande disfatta dell’esercito italiano» di Arrigo Petacco e Marco Ferrari, i due autori descrivono questi oggetti salvati dall’oblio: “Una scatoletta ancora intatta di alici piccanti prodotta dalla ditta Torrigiani di Sesto Fiorentino; una bottiglia Maggi contenente concentrato di brodo; un classico barattolo di pomodoro Cirio; un antipasto della vivandiera sempre in contenitore di metallo con pesci della Norvegia; vasetti in vetro di mostarda tedesca con impresso il motto Gott Mit Uns!; calamai di ogni tipo e di ogni nazione; lenti per occhiali italiani antiriverbero e antischegge degli alpini; pacchetti di sigarette; borse dell’acqua calda con la base in latta da attaccarsi al collo, di proprietà di un ufficiale facoltoso; una griglia per cuocere il pesce; una confezione ancora intatta di Ersatz Caffè”.

 

Diplomata al liceo classico, ha poi continuato gli studi scegliendo la facoltà di Scienze Politiche. Giornalista pubblicista, affascinata da sempre dal mondo della comunicazione, collabora con la rivista Ulisse online sin dalla sua nascita nel 2014, occupandosi principalmente di cronaca politica e cultura. Ideatrice, curatrice e presentatrice di un web magazine per l'emittente web Radio Polo, ha collaborato anche col blog dell'emittente radiofonica. Collabora assiduamente anche con altre testate giornalistiche online. Nel suo carnet di esperienze: addetto stampa per eventi e festival, presentazione di workshop, presentazioni di libri e di serate a tema culturale, moderatrice in incontri politico-culturali.

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