Fine vita più facile
Più volte ho scritto sul fine vita, cioè la possibilità di decidere in vita e in condizioni di lucidità quale vuoi che sia la fine della tua vita se, un giorno, non sarai più in condizione di poterlo fare perché colpito da un morbo che te lo impedisce o perché vittima di qualche incidente o accidente che non consente più di essere lucidi.
Su questo giornale gli ultimi due interventi sono stati pubblicati a febbraio 2018 e dicembre 2019, in occasione della morte assistita del DJ Fabo, e di quella della nuorese Patrizia Coco che fu la prima paziente italiana a fruire della normativa D.A.T. (Disposizione Anticipata di Trattamento) prevista dall’unica legge che il nostro Parlamento è riuscito ad approvare, vincendo inimmaginabili difficoltà da parte di coloro che ritengono che la vita sia un dono di Dio e che nessuno può ad Esso sostituirsi per spegnerla.
Ma questa legge, sebbene sia un importante passo avanti nella soluzione della difficile problematica, è solo un tassello che non risolve il problema nella sua globalità perché impedisce a chi non è riuscito a decidere in perfetta lucidità del proprio fine vita di farsi sostituire da parenti o amici nella scelta.
Le vicende di Eluana Englaro e di Fabiano Antoniani noto come DJ Fabo, o quelle di tanti altri, sono troppo note per dover essere ripetute, e testimoniano le numerose esperienze traumatiche e penose fatte da familiari di persone che per anni hanno dovuto vegetare, corpi totalmente insensibili e senza alcuna possibilità o speranza di potersi un giorno riprendere, prima che venisse loro consentito di porre fine alla vita vegetativa alla quale erano stati condannati: per Eluana Englaro, in coma per 17 anni, fu possibile porre fine alle sofferenze della giovane e dei familiari grazie ad una sentenza della Corte d’Appello di Milano che autorizzò la sospensione dei trattamenti; ed è appena il caso di ricordare che all’epoca lo stesso Premier Berlusconi, per ingraziarsi le gerarchie ecclesiastiche che erano e sono assolutamente contrarie all’eutanasia, ebbe l’ardire di affermare che Eluana avrebbe potuto generare un figlio perché i suoi organi erano perfettamente funzionanti: affermazioni che lasciano un segno, una ferita.
Nel caso dei DJ Fabo furono i familiari, insieme a Marco Cappato, ad accompagnare lo sfortunato giovane in una clinica svizzera per assisterlo nella fase della “dolce morte” e successivamente si autodenunciarono per provocare un processo dal quale, dopo i vari gradi di giudizio, vennero prosciolti perché le loro azioni non costituivano reato.
Ora il caso si ripresenta con la assoluzione, da parte della Corte di Assise di Massa, di Marco Cappato e Mina Welby che si erano autoaccusati di aver aiutato a suicidarsi, nell’aprile 2017 in Svizzera, Davide Trentini, di 53 anni, da trenta malato di sclerosi multipla.
Inizia così la lettera d’addio scritta da Davide Trentini, ammalato di sclerosi multipla, che aveva chiesto di mettere fine alle proprie sofferenze: “Mi chiamo Davide T., ho 52 anni, sono malato di sclerosi multipla dal 1993, per i primi anni in forma più tollerabile, poi, la ‘stronza’ si è trasformata nella forma ‘più stronza’: la secondaria progressiva. Negli anni, le ho provate veramente tutte, dagli interferone, prima quello settimanale, poi quello che mi auto iniettavo (allora le mani funzionavano!) ogni due giorni, poi è cominciato l’orribile periodo della chemio”.
Marco Cappato, impegnato da anni nella disobbedienza civile, ha dichiarato che “l’azione proseguirà fino a che il Parlamento non deciderà sulla proposta di legge eutanasia legale che attende da 7 anni”.
“Siamo stati prosciolti e per me questa decisione è come una cometa che segna al Parlamento cosa deve fare, ovvero una legge per l’eutanasia” ha detto Mina Welby poco dopo la sentenza.
Marco Cappato e Mina Welby, sono stati, anche nella vicenda Trentini, i due angeli che non solo lo hanno accompagnato alla “dolce morte”, ma fedeli alla loro coscienza che impone di lottare fino in fondo perché la politica, ma quella con la “P” maiuscola, si faccia finalmente carico del problema, si autodenunciarono per mantenere viva l’attenzione.
Pure Mina Welby, infatti, ha alle spalle la tristissima esperienza del marito Giorgio Welby il quale, per porre fine alla sua esistenza infelice, pure dovette attendere anni ed lo poté fare solo nel dicembre 2006 dopo che i medici, in virtù della sentenza del Tribunale di Roma -il quale aveva stabilito che, per via del vuoto legislativo in materia, esisteva il diritto di chiedere la interruzione della respirazione assistita e delle connesse terapie di mantenimento in vita- venivano pertanto autorizzati a procedere secondo la volontà più volte espressa dallo stesso Welby, al quale il 20 dicembre 2006 vennero staccate le apparecchiature.
Il caso di Piergiorgio Welby, come tutti gli altri, fece ancora una volta scalpore, perché egli stesso aveva raccontato la sua storia ed espresso il desiderio di morire nel libro a sua firma “Lasciatemi morire”; e al poveretto non venne nemmeno concesso il funerale col rito cristiano perché la gerarchia ecclesiastica configurò l’ipotesi di suicidio e non consentì il funerale in chiesa: una ulteriore inutile crudeltà perpetrata in nome di non si sa bene quale principio di carità.
Poi il medico che aveva accettato di eseguire la sentenza, il dott. Mario Riccio, subì anche il processo penale per omicidio, dal quale venne ovviamente prosciolto.
Tornando al caso Trentini è di tutta evidenza che al momento le due persone più attive siano proprio Marco Cappato e Mina Welby: Cappato in qualità di esponente del Partito Radicale e dell’Associazione Luca Coscioni, Mina Welby quale rappresentante dei familiari di coloro che chiedono una regolamentazione completa dell’eutanasia legalizzata; entrambi, sorretti da migliaia di cittadini, chiedono alla politica di adempiere alla Sentenza della Corte Costituzionale del settembre 2019, che, proprio in occasione del suicidio assistito del DJ Fabo, sancì che l’aiuto al suicidio, contemplato dall’art. 580 del c.p. (prevede pene tra 5 e 12 anni di carcere) non può essere punibile a “determinate condizioni” e prosciolse proprio Cappato.
Ma quella sentenza dice una cosa ancora più importante, e cioè invita il Parlamento a legiferare in merito a quelle “determinate condizioni” di non punibilità; in assenza, sarà la Magistratura a farsi carico di decidere caso per caso.
Comunque non saremo un’apripista perché molti paesi dell’UE hanno già legiferato in proposito, alcuni consentendo l’Eutanasia attiva, con la somministrazione di farmaci che provocano la morte (Olanda, Belgio e Lussemburgo), altri la rinuncia alle cure, con la possibilità di interrompere le terapie di sopravvivenza (Norvegia, Svezia, Finlandia, Gran Bretagna, Danimarca, Irlanda, Germania, Rep. Ceca, Francia, Austria, Svizzera, Ungheria, Spagna e Portogallo), solo la Svizzera, invece, ha optato per il suicidio assistito.
Se ne farà carico la politica? C’è da augurarselo, ma in merito c’è molto scetticismo.
Concludo con uno scritto struggente di Piergiorgio Welby: «Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude. […] Purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita, è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche.»