Il romanzo IL COLIBRÌ di Sandro Veronesi Premio Strega 2020 (ed. la nave di Teseo ottobre 2019), racconta la storia di Marco Carrera, un uomo senza particolarità, un uomo qualunque, IL COLIBRÌ, chiamato così dalla madre, perché piccolo come un uccellino fino all’età adolescenziale ma veloce, veloce soprattutto nel capire gli stati d’animo e i sentimenti delle persone che fanno parte della sua vita. Marco è trascinato dalla corrente e come un colibrì resiste nell’aria, avanza a fatica verso una direzione. Nel romanzo troviamo un rapporto conflittuale con la psicanalisi, da cui si sente perseguitato, ma molti elementi simbolici vengono da lì, per esempio il filo che la figlia, verso i due anni, dice di avere dietro la schiena. Quel filo la unirà sempre al padre, nel senso mentale, perché lo sceglie come modello e nel senso fisico perché sceglie di vivere con lui.
Marco regge molti duri colpi della vita: la separazione, i problemi con la moglie Marina, la malattia dei genitori, la lontananza di Luisa, l’unica donna che ha amato. Dopo la morte dei genitori cerca di coinvolgere il fratello Giacomo,nella sistemazione della casa paterna, piena di oggetti che parlano, raccontano, come la collezione dei libri di Urania che ha lasciato il padre. Perfino ciò che manca ha un senso, una visione che conforta o fa soffrire, prima fra tutto la mancanza della sorella Irene, morta suicida negli anni ottanta. È una storia avvincente se si ha la capacità d’immersione emotiva, negli stati d’animo di quest’uomo, d’immersione nella sua umanità descritta con una narrazione pacata, ma molto efficace.
Ha osato di nuovo Sandro Veronesi, come sempre, come ha fatto altre volte, ha osato non seguire la struttura tradizionale della narrazione, quella classica, temporale. La narrazione moderna per eccellenza cerca di entrare nel pensiero, si accuccia come un “morbo” nell’angolo più buio e malinconico della coscienza e cerca di raccogliere, uno sguardo sentimentale, emotivo. Le emozioni, però, non hanno tempo, non hanno coerenza, si fanno attraversare dagli umori: dolore, gioia, rimpianto, solitudine. Il tempo è solo una traccia in questo libro. A volte esce addirittura di scena per seguire lo spaesamento del protagonista. Allo stesso modo escono di scena molte regole e rapporti tradizionali: padre-figlio, moglie-marito, fratello- sorella. Lo sfondo è di “mancanza ” di uno spazio dove sentirsi al sicuro, non c’è più e quindi non c’è bisogno di discussione o, come sarebbe stato in passato, di contestazione. Piuttosto c’è bisogna di ricerca, ma di che cosa Marco non lo sa.Marco è un uomo del nostro tempo, batte le ali immobile nell’aria “Il colibrì”, la fine e l’inizio sono nello stesso punto è un momento di passaggio e può solo cercare, non ci sono certezze e ci viene in aiuto Montale: “Codesto solo possiamo dirti/ciò che non siamo, ciò che non vogliamo …” (EUGENIO MONTALE, Ossi di seppia -Torino, Piero Gobetti Editore 1925).
E allora che cos’è narrare per Veronesi, in questo e in altri libri?
Narrare è un “io” che cerca la memoria nelle cose che lo circondano, negli oggetti, prima di trovargli una nuova sistemazione, per salvarli dalla storia del singolo, che, anche se gloriosa (come quella del padre di Marco) è sempre finita. Gli oggetti hanno memoria raccontano, i libri più degli altri, si portano dietro le parole, il senso, l’eredità che possiamo accettare, contestare, rifiutare, sono quelle parole che hanno dentro i significati del tempo, il tempo delle emozioni, dei sentimenti belli e brutti, questi ultimi spesso rimossi e negati. Un essere umano è tutto questo e quando se ne va,possiamo, ricostruire la sua storia, portarla fuori dal tempo solo attraverso la narrazione degli oggetti che lascia.
“Questi libri dovrebbero diventare tuoi per le ragioni che sto per dirti …” (p. 72 – IL COLIBRÌ -ed. la nave di Teseo ottobre 2019), scrive Marco al fratello Giacomo e racconta la sua entrata nella stanza della sorella morta: “…ieri mattina non so perché ci sono entrato … e non mi sono limitato a guardare …”
Il narratore cerca, mille altri narratori possono cercare, possono raccontare la stessa storia, seguendo le stesse tracce, come Pollicino, che li riportano a casa.
SANDRO VERONESI,fratello maggiore del regista e sceneggiatore Giovanni Veronesi. Vive a Roma con i suoi cinque figli. Nel 1985 si laurea in architettura a Firenze,il suo romanzo d’esordio è del 1988, Per dove parte questo treno allegro, al quale seguono Gli sfiorati (1990) e Venite, venite B52 (1995), ispirato alla letteratura statunitense e in particolare a Thomas Pynchon. Nel 2000 pubblica La forza del passato, vincitore del Premio Campiello e del Premio Viareggio, e tradotto in 15 lingue; da quel romanzo è tratto l’omonimo film di Piergiorgio Gay. Nel 2001 pubblica il libro Per ragazzi Ring City che vince il Premio Fregene.Nel 2006 vince il premio Strega grazie al romanzo Caos calmo,uscito l’anno precedente, con il quale vince inoltre nel 2008 a Parigi il PrixFeminae il Premio Mediterraneo per gli stranieri. Nel novembre 2015 lascia Bompiani, insieme tra gli altri a Umberto Eco, per approdare a La nave di Teseo, con la quale, nel 2019, pubblicail romanzoIL COLIBRÌ Premio Strega 2020.