Il lockdown e la debolezza della politica
In questi giorni abbiamo appreso, dai verbali de-secretati del Comitato tecnico scientifico per l’emergenza Covid, che veniva consigliata solo la chiusura di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, mentre poi il Governo Conte decise il lockdown per l’intero Paese.
Era inevitabile che una notizia del genere suscitasse delle polemiche, anche sopra le righe. Sia chiaro, ragionare con il senno di poi è facile anche se è un esercizio non particolarmente utile. Il premier Conte indubbiamente ha preferito maggiore prudenza. Si è assunto una responsabilità, un onere e, secondo i punti di vista, anche un merito.
Detto ciò, alcune considerazioni vanno fatte.
La prima, è che la chiusura anche delle altre regioni, non solo di quelle meridionali, ha comportato una perdita economica e della nostra capacità produttiva che pesa per almeno un centinaio di miliardi di euro. Forse si poteva e si doveva evitare. I timori, però, di una diffusione del contagio al Meridione, dove le strutture sanitarie sono meno forti ed organizzate, era reale. Dobbiamo comunque riconoscerlo.
La seconda, è che, in ogni caso, quando si è percepito che al Sud il contagio era sotto controllo, il lockdown poteva terminare dopo una quindicina di giorni, al più una ventina. Insomma, nel centro sud dal mese di aprile si poteva e doveva riaprire.
La terza, è che a giustificazione dei tentennamenti del Governo Conte c’è stata la pressione forte della Confindustria, che non voleva la sospensione delle attività produttive in Lombardia. Da qui, poi, le incertezze e la grave colpa per le mancate chiusure di Nembro e Alzano, ma anche la scelta del lockdown per l’intero Paese per far digerire meglio la decisione all’associazione degli industriali. Mah, di sicuro la Confindustria ha alzato la voce, ma la domanda è legittima: in questo nostro Paese chi decide, gli industriali o il Governo?
La quarta, in ragione di quanto detto prima, trova conferma ciò che si era pensato e noi stessi avevamo scritto alcuni mesi fa, ovvero se il contagio invece che in Lombardia si fosse diffuso da noi in Campania o in Sicilia, Conte avrebbe chiuso tutto il Paese o invece solo la Campania, o la Sicilia, e buttata via la chiave? Siamo oggi ancora più convinti che il lockdown avrebbe riguardato solo noi meridionali.
In conclusione, però, non gettiamo la croce addosso al premier Conte, quantunque resti per chi scrive un raffinato quanto sgradevole levantino. La verità è che anche in questa complessa e tragica vicenda è valsa la legge del più forte. La Lombardia, il motore economico del Paese, e il Nord in generale contano molto, ma molto di più delle regioni del Centro e del povero ed arretrato Sud.
Non solo.
La politica nel suo insieme, non soltanto Conte, ha dato ancora prova della sua debolezza, della sua poca autorevolezza, della sua scarsa qualità. E nella legge del più forte la politica, non da ora purtroppo, cede il passo agli industriali, ai manager, alla finanza, ai sindacati, alla magistratura, alla burocrazia…
La politica ormai è un colabrodo che perde acqua da tutte le parti. E’ scontato che la classe politica è la prima responsabile della propria debolezza. Ci mancherebbe pensare il contrario. Tuttavia, ci siamo impegnati un po’ tutti a svilirla, a mortificarla, a deprezzarla, a deriderla. Lo abbiamo fatto, certo, nei confronti dei politici, dei loro vizi e privilegi, delle loro manchevolezze, della pochezza del loro spessore culturale, professionale ed etico, ma ad uscire bastonata, sminuita e ridicolizzata, è stata la politica, l’arte del governo della cosa pubblica.
Il guaio, purtroppo, è che senza la politica, senza una buona politica, la democrazia va a farsi friggere e con essa, irrimediabilmente, il benessere e la crescita del nostro Paese.
E così il cane si morde la coda…