Recovery Fund: l’Europa c’è… ora tocca all’Italia
Non è stato facile ma alla fine l’Unione europea ha raggiunto l’accordo ed ha varato il Recovery Fund. Dei 750 miliardi di euro stanziati, all’Italia toccherà la quota maggiore di aiuti europei, con 209 miliardi in totale: 82 miliardi in sussidi e 127 miliardi in prestiti.
In altre parole, una montagna di soldi.
Pare più che scontata la soddisfazione del nostro Governo e delle forze politiche che lo compongono, ma a dover essere contenti dovrebbero essere tutti gli italiani, a prescindere dalla propria collocazione politica.
E’ indubbio che in Europa è cambiata musica, soprattutto dopo il coronavirus. Certo che ha giocato un ruolo anche la paura dell’avanzata sovranista e la volontà di contrastarla con una politica diversa da quella finora sostenuta in prima linea dalla Germania, ovvero quella della austerità.
Macron e Merkel, bisogna dar loro atto di ciò, hanno giocato un ruolo fondamentale in questo cambio di rotta e per il sostegno dato al nostro Paese. Sia chiaro, d’altronde, che questo accordo mette in sicurezza l’esistenza stessa dell’Unione europea. Inutile negare ciò che è evidente.
Questo, però, non sminuisce il lavoro diplomatico e la tenacia del nostro premier Giuseppe Conte. Bisogna dargli atto che non ha mai mollato, ha tessuto alleanze, ha lavorato tutelando la dignità oltre che gli interessi del nostro Paese. Anche questo, è un dato di fatto che va riconosciuto a prescindere dalle opinioni politiche.
Detto ciò, è altrettanto giusto evitare pericolosi oltre che inutili trionfalismi. I quattrini, tanto per cominciare, sono a disposizione dell’Italia, ma non sono ancora nostri e comunque questo non avverrà che gradualmente a partire sostanzialmente dal prossimo anno.
A ciò si aggiunge un aspetto per nulla trascurabile: serve progettare gli interventi per cui servono i quattrini che si richiederanno. E questi quattrini bisognerà inoltre spenderli in tempi ragionevoli oltre che bene.
E qui, purtroppo, entriamo nei verbi difettivi.
In primo luogo, l’Italia è tra quei paesi che sono nelle posizioni di coda per quanto riguarda la capacità di spendere le risorse europee. Siamo chiamati a sveltire la nostra burocrazia e a snellire le procedure. Non è un’impresa da poco.
In secondo luogo, questo Governo, con le sue divisioni interne e la scarsa omogeneità politico-culturale delle forze che compongono la sua maggioranza, è capace di compiere delle scelte strategiche e progettuali in tempi brevi e in modo chiaro? Qualche dubbio in proposito è a dir poco pacifico.
A tutti noi deve essere chiaro che questo del Recovery Fund è davvero un’occasione storica per avviare un profondo processo di rinnovamento del Paese. Per promuovere un processo di sviluppo a lungo termine. Per affrontare e puntare alla soluzione di questioni annose, dal Mezzogiorno alla messa in sicurezza del territorio, a quelle legate all’ammodernamento del paese, come la digitalizzazione e l’innovazionne tecnologica. In altre parole, mai come adesso abbiamo nelle nostre mani il nostro destino e quello dei nostri figli e nipoti. Mai come adesso possiamo cambiare in qualche decennio la faccia del Paese. Sotto certi aspetti, infatti, questo del Recovery Fund è per noi quello che fu il Piano Marshall dell’immediato secondo dopoguerra per i nostri nonni e genitori.
Insomma, non possiamo sbagliare. Non dobbiamo sbagliare. E la politica in tutto ciò ha un ruolo importante, anzi, determinante ed essenziale.
E’ comprensibile, allora, in un simile scenario, brindare alla ritrovata generosa solidarietà europea, ma nello stesso tempo è forte la preoccupazione sulla nostra capacità di impiegare le risorse finanziarie europee. In questa ottica, d’altronde, possiamo comprendere e guardare con occhio più benevole anche le resistenze dei cosiddetti paesi frugali. La verità è che all’estero in molti non si fidano dell’Italia, alla stessa stregua della scarsa fiducia che noi stessi diamo ai nostri politici.
Sarebbe bene, quindi, che rispetto al futuro da disegnare ci fosse, nella distinzione dei ruoli, un dialogo molto stretto e serrato tra maggiorana e opposizione.
Per questo, tornerebbero utili la sincera disponibilità al confronto, la statura morale, il senso di responsabilità e dello Stato, l’amore per il proprio Paese. Al contrario, sono da evitare eccessi di entusiasmo, tifo da stadio, scarsa propensione al confronto e derive ideologiche.
Per questo, tanto per fare qualche esempio, sarebbe auspicabile che Zingaretti non parlasse per slogan ma si sforzasse di articolare ragionamenti più complessi un tantino all’altezza di chi lo ha preceduto in quel posto. Allo stesso modo, sarebbe assai meglio che Salvini cambiasse musica sull’Europa. La smettesse, quindi, di parlare dell’accordo di ieri come di una fregatura e si concentrasse sulle cose da proporre. Non tanto e non solo per gestire il presente, bensì soprattutto su come progettare il futuro.
Ci riusciranno? Non crediamo, in tutta onestà, ma ci speriamo.