Ponte Renzo Piano, risolto il problema con autostrade? Si, no, forse…
Prima di ogni cosa dobbiamo dimenticare il nome del Ponte Morandi, che deve rimanere nei nostri cuori solo per la pietà verso le 43 vittime della tragedia di metà agosto 2018.
Oggi il nuovo deve chiamarsi “Ponte Renzo Piano”, anche per rendere onore a questo nostro grande architetto e urbanista, eccellenza italiana nota in tutto il mondo, il quale ha offerto alla sua città il nuovo ponte che ci inorgoglisce sia per la bellezza e semplicità, ma anche per la tecnologia utilizzata e la velocità con la quale è stato costruito.
Ma in questi ultimi giorni sembra che non siano stati pochi gli italiani che abbiano atteso con legittima curiosità e qualche apprensione l’esito della riunione del Consiglio dei ministri convocato per il pomeriggio inoltrato di martedì 14 luglio dal Premier Conte per decidere in merito alla questione Autostrade.
Le fibrillazioni all’interno della coalizione rosso-verde erano note, e crescevano sempre di più con il trascorrere delle ore, ed uno dei sintomi evidenti di esse è il testo dell’avviso di convocazione che inusualmente sembra abbia avuto come unico punto all’o.d.g “varie ed eventuali”; e non si deve essere i grandi esperti di amministrazione per sapere che, nella generalità dei casi, tale argomento in genere viene messo come ultimo punto all’odg, e su tale argomento nessuna deliberazione può essere assunta.
Evidentemente Conte non aveva deciso cosa indicare nell’odg, per cui ha pensato bene di mantenersi sul generico, e questo dice tutto.
L’argomento non era semplice da affrontare e sul quale decidere, e persino il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella negli ultimi giorni è stato sul chi va là, seguendo l’andamento delle fibrillazioni momento per momento, perché c’era in ballo prima di tutte la questione morale, vale a dire le responsabilità della strage che, pure se dovranno essere stabilite dai Magistrati, è fuori dubbio che ricadano totalmente sul concessionario della rete autostradale ma anche sul Ministero delle infrastrutture per omesso controllo; ma c’era in ballo anche la tenuta del governo.
E la politica aveva un obbligo morale principalmente nei confronti dei parenti delle 43 vittime innocenti, ed aveva assunto impegni precisi sul da farsi, parlando sin dal primo momento di “revoca” della concessione, emozionalmente spinta dall’evento traumatico, probabilmente senza ben ponderare le parole: ma ormai in dado era tratto, e sarebbe stato difficile rimangiarsi ciò che era stato promesso senza un minimo di approfondimento.
Ora sembra che, dopo un tormentato ultimo confronto nel corso della riunione notturna, le fibrillazioni si siano attenuate perché al punto in cui siamo, a parte i tempi certamente non brevi che occorreranno alla magistratura per l’accertamento delle responsabilità, la revoca della concessione sembra sia stata definitivamente accantonata, nonostante i mugugni del M5S e, in particolare, dell’ex capo politico Luigi Di Maio il quale si vede sempre più emarginato nonostante sia ancora la prima forza politica della coalizione perché in Parlamento vale ancora il 32% circa.
Alla fine sembra che l’unico ad invocare la revoca sia rimasto solo lui giacché lo stesso Premier, in teoria ha mantenuto il punto, in pratica sembra abbia brigato per evitarla.
E’ stata una partita molto complessa e la soluzione è stata certamente molto sofferta e non è mancata la disponibilità degli stessi gruppi imprenditoriali in campo, Benetton in testa con le due società ad essi facenti capo, l’ATLANTIA e l’ASPI-Autostrade per l’Italia, per evitare le revoca, che oramai sembra definitivamente accantonata.
Ma per avere un quadro chiaro, sebbene sintetico della situazione, occorre fare un rapido esame delle due Società direttamente interessate, proprio Atlantia e Aspi.
Atlantia spa è la prima azienda italiana, quotata alla borsa di Milano, attiva nel settore delle infrastrutture autostradali, aeroportuali, e dei servizi legati alla mobilità, e opera in undici paesi nel mondo: è la principale società della Famiglia Benetton, che partecipa per il 30,25%; il 46,70% è il cosiddetto “flottante”, vale a dire azioni possedute dal mercato; rimangono ancora l’8,14% di azioni in possesso di un Fondo di Singapore, il 5,05% in possesso di Lazard Asset, il 5,01% posseduto da HSBC Holding plc, uno dei più grandi gruppi bancari del mondo, primo in Europa, con sede a Londra; il restante 4,85% è in possesso della Fondazione Cassa di Risparmio di Torino.
Ma Atlantia non gestisce direttamente la rete autostradale, affidata invece ad ASPI, una spa non quotata in borsa, il cui pacchetto azionario è per circa il 90% detenuto da Atlantia e la restante parte in possesso di società collaterali ai Benetton.
Il tutto per significare che, sebbene vengano citati in ballo i Benetton e Atlantia, direttamente oggi la vera responsabile della rete è proprio Aspi.
La questione della revoca o meno della concessione, appariva quindi ulteriormente difficoltosa per la comparsa sulla scena di una terza società, anche nei confronti della quale sarebbe stato necessario agire.
Ma alla fine la “moral suasion” di tanti big della politica, tra i quali non si può escludere lo stesso Presidente Mattarella, comunque sempre defilato e rispettoso dell’autonomia dell’Esecutivo, ha ottenuto il suo effetto: i Benetton hanno fatto il loro storico passo indietro, ammettendo, in questo modo, le loro responsabilità, Conte ha avuto il via libera per giocare la carta della non revocare e di far passare tutta la gestione della rete autostradale dal privato al pubblico, affidando l’incarico alla Cassa Depositi e Prestiti di definire in tempi strettissimi (si parla della scadenza del 27 luglio) l’acquisizione del pacchetto azionario dei Benetton i quali, per il loro “passo indietro” potrebbero essere gli unici veri beneficiari della intera operazione.
Vediamo perché.
La Cassa Depositi e Prestiti subentra ai Benetton nella Società Aspi, Autostrade diventa di fatto una public company, e i Benetton progressivamente usciranno. Restano all’inizio con un 10-12% e poi escono definitivamente nel giro di qualche mese. Se l’accordo raggiunto nella notte non dovesse essere rispettato dai Benetton la revoca è sempre sul tavolo. Ma i Benetton certamente rispetteranno l’accordo.
L’operazione sarà seguita anche dai Ministeri dell’Economia e dei Trasporti, frattanto il risarcimento per la vicenda del ponte caduto resta fissato a 3,4 miliardi di euro, una cifra notevolmente inferiore a quella inizialmente ipotizzata.
L’intesa prevede anche la ridefinizione delle clausole della convenzione per adeguarle all’art. 35 del recente decreto-legge “Milleproroghe” del dicembre 2019, il rafforzamento dei controlli sul nuovo concessionario e l’aumento delle sanzioni anche per lievi violazioni; è prevista anche la rinuncia, da parte del nuovo concessionario, a tutti i giudizi promossi fino a questo momento, e ai collaterali ricorsi relativi alla avvenuta ricostruzione del Ponte Renzo Piano; rimodulazione della revisione dei pedaggi.
Giunti a questo punto rimane solo da chiedersi chi abbia veramente perduto o guadagnato in tutta questa vicenda: e non è facile pronunciarsi perché sembra che tutti abbiano avuto contemporaneamente vantaggi e svantaggi.
Per la politica è da fare certamente un plauso al Premier Conte che ha giocato bene le sue carte su tutti i tavoli, mettendo nell’angolo il suo maggiore sostenitore/ avversario, Luigi Di Maio che va sempre più giù in popolarità e consensi.
Ma pure tutti gli altri alleati hanno di che vantarsi, e la conferma giunge proprio dai partiti della opposizione che con le loro critiche non fanno che confermare il successo del governo.
Ripetiamo che chi ha guadagnato di più è stato il Gruppo Benetton, il quale, col suo passo indietro e la sua disponibilità a farsi da parte non solo ha fatto una “bella figura”, ma ha guadagnato parecchi miliardi, e si è salvato da azioni giudiziarie in sede civile il cui esito era tutt’altro che scontato.
Chi ci rimetterà sarà il settore pubblico che ripiomba nella gestione di infrastrutture dalle quali decenni fa si era gradualmente defilato, in quanto non c’è certezza che oggi lo Stato possa fare, in questo campo, meglio che in passato, dal che vien facile giungere alla conclusione che alla fine a rimetterci potrebbero essere proprio i cittadini.
E vogliamo concludere proprio con un commento “tranchant” di Silvio Berlusconi secondo il quale la gestione statale delle strutture pubbliche è una vicenda chiusa nel secolo scorso, e non è stata mai positiva.
Ed è difficile dargli torto.