“Ci sono moltissimi modi in cui un mondo potrebbe essere, e uno di questi è il modo in cui questo mondo è.Ci sono altri mondi che sono gli altri modi in cui le cose sono? Io dico di sì”.
Questo è il dato assiomatico, principe delle convinzioni di David K. Lewis, uno dei più illuminati filosofici del ‘900, scomparso appena sessantenne, che viene analizzato nel suo libro sulla pluralità dei mondi. Lewis, sostenitore accanito del ‘realismo modale’, nel suo voluminoso volume ci stimola alcuni quesiti del tipo: perché dovremmo ammettere cose indisciplinate come i mondi possibili in semantica e ontologia modale? Per esempio, perché siamo in grado di considerare situazioni logicamente impossibili, e di fare discriminazioni su cosa vi accade.
Sappiamo che la semantica a mondi per la logica minimale include mondi non-normali in cui il Terzo Escluso e l’ex falso quodlibet (il principio per cui una contraddizione implica qualsiasi cosa) falliscono. Ma il libro affronta soprattutto i fenomeni ‘modali’, quelli che riguardano i modi in cui la realtà si dà, quindi di determinare, tra le altre cose, che cosa sono, quali sono i loro costituenti (ovvero, le entità che li costituiscono: i cosiddetti possibilia) e le loro proprietà.
Lewis affronta pure il finzionalismo, e realismo, che ci ha lasciati con un numero di problemi aperti e di violazioni della massima di Revisione Minima e del Requisito di Accettabilità: una teoria basata su tre assunti: una semantica a mondi che include mondi impossibili, oltre a mondi possibili; l’ammissione di un Principio di Comprensione per oggetti in forma non ristretta, ma qualificata; e una nozione intuitiva di implicazione esistenziale per proprietà. Un libro per molti aspetti affascinante mentre per altri in bilico tra il fantastico e l’ermetico tuttavia necessario da leggere, soprattutto per chi è appassionato di certa cinematografia come l’ultimo nascituro Westworld.
David K. Lewis
Sulla pluralità dei mondi
Mimesis Edizioni, Milano 2020
pagg.448 – €. 26,00