C’è un momento per la paura e un momento per la speranza, accantonare l’egoismo e l’indifferenza e pensare anche agli altri. Quindi, assoggettandoci a quelle poche regole che ci riguardano direttamente, in modo da non essere cagionevoli verso il nostro prossimo.
Questa epidemia sta dimostrando che la solidarietà è un requisito fondamentale, che ogni uomo dovrebbe attuare. Dimostra come a volte la solidarietà e l’impegno dell’uomo si facciano vedere. Così solidarietà e volontariato si saldano in un nuovo percorso di crescita delle società democratiche. Ma è soprattutto crescita dell’uomo, che solo così può abbandonare l’individualismo tipico della nostra epoca. Individualismo in cui spesso i valori materiali e terreni come il piacere e il divertimento assumono, erroneamente, grande importanza, facendoci dimenticare lo scopo principale della nostra esistenza, quello di amare e aiutare gli altri.
È assiomatico come nei momenti di difficoltà planetaria, l’intera umanità accantona, anche momentaneamente, contrasti e dissapori personali, mette da parte animosità e ripicche individuali, insomma interrompe quella ‘cultura del risentimento’ che affligge e attanaglia la vita ordinaria per mostrare quello che alcuni ritengono sia la parte migliore di noi, vale a dire la disponibilità umana, la comprensione verso il prossimo, la partecipazione all’altrui disagio e così via. Una parvenza di ciò si vede in questi giorni tristemente scanditi dai bollettini immarcescibili dei disastri che il contagio da Covid 19 sta producendo nella vita di tutti noi, e conseguentemente a livello globale.
È d’uopo una riflessione sui limiti civili e culturali che la nostra éra ‘liquida’ alimenta ogni giorno, al di fuori delle eccezionalità contingenti come quella attuale, per ritrovare -ma più ancora per convalidare- si spera anche quando tutto sarà finito, una nuova concezione della vita. E in questo caso il mondo delle Lettere ci viene in aiuto. A tal proposito, in questo periodo di paura universale, alcuni hanno fatto riferimento a uno dei capolavori di Albert Camus, ‘La peste’, per richiamare la straordinaria simbologia con cui il grande scrittore francese affronta l’epidemia del titolo al fine di riflettere sulle insidie, sempre presenti e reiterabili nel destino dell’umanità. Ma ancor di più ci viene in soccorso la poesia a conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che proprio in essa si contempla e ‘risolve’ il destino dell’uomo. Il testo illuminante a cui alludo in questa tragica circostanza è del più grande poeta lirico di sempre, quel Giacomo Leopardi che compose proprio a Napoli “La ginestra”: una sorta di ultime volontà terrene e spirituali destinate alle generazioni a posteriori.
Ad una profonda analisi di quel poema si evince il ‘summa’ che servirebbe per essere poi diversi e migliori e per capire da dove e perché provengono le sciagure dell’umanità presente e futura. Il lemma è luminescente: tutti i periodi storici si illudono di possedere il mondo, di dominarlo in qualche modo, ignorando quanto sia fragile la sorte di ciascuno. Tuttavia si è rivelata fatale un’occasionale epidemia per sopraffare l’intero mondo, alla stregua del canto leopardiano, l’episodica eruzione di un vulcano per distruggere inesorabilmente storia e vita epocali. La morale che ci deve far riflettere è quella della pochezza dell’uomo, della precarietà della sua vita, confinando presunzioni e illusioni incoerenti quando non del tutto stolte, come recita Leopardi: nell’avvicendarsi del potere, dei popoli e dei linguaggi, e l’uomo che si arroga ancora di essere eterno.
Non indugiando sul coraggio con cui affronta il proprio destino, la “ginestra” leopardiana lancia un esemplare monito: se lo scatenarsi degli eventi naturali ci mette inesorabilmente in ginocchio, noi come esseri umani uniti e solidali possiamo almeno fronteggiarlo e non solo, come in questo momento, nelle catastrofi ma nel minimalismo quotidiano.